Non so perché abbia comprato questo libro. Non so nemmeno chi me l’abbia consigliato, forse e molto probabilmente Jackdaw. E in ultimo, ammetto di non comprendere neanche cosa di questo piccolo romanzo mi abbia attirata davvero: magari il titolo, cinque parole semplici e dirette che sembrano presagire se non un risvolto sentimentale sicuramente un happy ending, o forse induce a pensare che tra le righe del romanzo, permeato di vocaboli essenziali, minimali ma “grandi”, densi di vita e significativi, si cela la vera felicità, quella gioia che si nasconde non nella sfarzosità o nella prova evidente e sempre più imponente di avere, di possedere tutto ciò che una persona normale certamente non potrebbe annoverare in ciò che possiede effettivamente, dimostrando soprattutto a chi ci vede da fuori che siamo felici, appagati da questa follia maniacale, il chiodo fisso attorno al quale sembra ruotare la nostra vita, ma nei dettagli, nelle piccolezze che a un occhio disattento e superficiale paiono sciocchezze sterili, inezie senza le quali la nostra esistenza andrebbe avanti comunque, evitando le quali il tempo scorrerebbe in ogni caso, rivelando una vita forse meno oberata, meno impegnata e impegnativa, guadagnando minuti preziosi usati ora nella maniera “corretta”, cioè per ciò che necessita davvero delle nostre attenzioni, nessuna futilità inclusa; magari la copertina dove spiccano il nome “Paris” e la Tour Eiffel, elementi che permettono di farsi un’idea ben precisa sull’ambientazione del romanzo, sottolineando inoltre una determinata atmosfera, non solo romantica, dato che la già nominata città è considerata la capitale dell’amore, dove ogni suo edificio, luogo, ogni suo più insignificante aspetto richiama tale sentimento, come se un’essenza che provoca un galoppare frenetico del cuore inondi tutto l’ambiente circostante, baciandolo con foga e passione, travolgendolo con un affetto senza limiti, abbracciandolo calorosamente bloccandogli il respiro, ma anche decisamente invernale, natalizia forse, clima particolare identificabile dalla presenza di minuscoli e fitti fiocchi di neve che cadono, illuminando a giorno anche la notte più buia nell’animo più desolato che esista, un biancore necessario per chi ha bisogno di vedere ciò che realmente lo circonda, accecandolo con la sua purezza che forse rende i peccati meno peccati, le gioie più gioie.
Di preciso, quindi, non conosco il moto interiore che mi ha spinta verso tale romanzo, fatto sta che, quando la Feltrinelli ha messo in promozione alcuni libri da poter comprare in coppia a soli 9.90 euro, ho deciso di prendere l’occasione di petto, facendo ricadere una delle due scelte su La felicità delle piccole cose di Caroline Vermalle.
Fréderic Solis ha tutto. Avvocato divorzista di personaggi famosi, ha un meraviglioso appartamento nel cuore dell’Ile Saint-Louis, nel palazzo all’angolo tra quai d’Anjou e rue Poulletier, una dimora decisamente fascinosa dove vive completamente nel lusso, circondato dagli oggetti di antiquariato che ama collezionare, tra cui si iniziano ad annoverare i primi quadri impressionisti da lui comprati, la corrente artistica adorata da Fréderic, forse alla follia, dal quasi quarantenne, ricordi di un’infanzia felice e triste insieme, strascichi di quello che era ma che adesso non è più. Ovviamente è anche un bell’uomo: lineamenti marcati, ricci castani, un’abbronzatura costante invidiabile, e non poteva mancare sicuramente l’espressione da divo del cinema di tempi ormai lontani, praticamente una sorta di Ken che però sembra cambiare la sua Barbie in continuazione, l’ultima delle quali è la famosa Marcia Gärtener, modella notoria che dà il volto alla pubblicità di “Chanel” e che è apparsa in copertina su “Vogue”. Sembrava che con questa donna avesse una relazione stabile, rispetto ai precedenti legami amorosi di cui era il protagonista maschile. Appunto, sembrava, almeno fino a otto mesi prima, quando, inspiegabilmente, di comune accordo con la controparte femminile, ha deciso di troncare il rapporto in maniera definitiva.
Siamo davvero sicuri che dietro questa facciata da rotocalco tutto vada nel verso giusto? E se scoprissimo che in realtà l’avvocato è indebitato fino al collo? Se non fosse realmente felice, come la prendereste? Ma soprattutto, al suo posto, ricevendo una strana eredità, una scatola di cartone con una bizzarra mappa del tesoro e quattro biglietti, rispettivamente per un viaggio in treno, una gita in barca, l’entrata al giardino di Giverny e la visita al Musée d’Orsay, voi come vi comportereste? La scelta deve ricadere tra il mollare tutto per la sensazione lontana ma esistente della possibilità di raggiungere la famosa chimera a cui date la caccia da anni e il perseverare con questa vita, continuando come se nulla fosse, tenendovi stretto a sé, in caso, il rimorso per non aver tentato il tutto e per tutto. Uno come Fréderic come potrebbe mai agire in una situazione simile? Per scoprirlo, basta leggere La felicità delle piccole cose.
L’aggettivo “piccolo” si accosta decisamente bene a questo libro. Troviamo questa apposizione nel titolo, che sembra sottolineare, come già ampiamente detto nell’introduzione, la rilevanza dei dettagli e delle minuzie, i quali, a dispetto del loro significato e della natura che li caratterizza, paiono divenire tasselli fondamentali del nostro mosaico personale, non mere decorazioni o suppellettili aggiuntivi, ma collanti e ponti necessari a congiungere le parti della nostra vita, aspetti che ci fanno comprendere ciò che davvero è importante, imponendoci una visione diversa e più vera, indirizzandoci verso quello che effettivamente è il perno della nostra esistenza, un centro di gravità sottovalutato e quasi dimenticato.
Possiamo notare, inoltre, agilmente la dimensione esigua del libro stesso, un romanzo minuscolo che rappresenta per il lettore una boccata d’aria essenziale dopo l’apnea della sua routine quotidiana, una pausa che, seppur breve, diventa quasi vitale, per poter rallentare il ritmo, per non perdersi quei ristretti momenti di tranquillità che rendono il tran tran di ogni giorno più umano e meno definito, macchinoso, quadrato, aggiungendo delle sinuose curve sul tracciato che percorriamo da e per sempre, interessanti svolte che vivacizzano la strada, rendendola meno monotona e incolore di quanto potrebbe mai essere realmente.
Come dimenticarsi, poi, i piccoli capitoli che caratterizzano La felicità delle piccole cose, brevi scene descritte in maniera impeccabile, da cui traspare uno stile fresco, accattivante, emozionante, capace di instillare nel lettore il seme della gioia e, alle volte, imporgli di aprire le ghiandole lacrimali, togliendo la diga che bloccava la fuoriuscita di acqua, permettendo, perciò, di esprimere effettivamente le emozioni scaturite dalla lettura di semplici parole marchiate a fuoco sulle pagine, dimostrando ancora una volta quanto la scrittura, quella che impatta, si scontra con il cuore del lettore ed entra di prepotenza nei cunicoli privati, intimi che conducono fino al profondo del suo animo, sia un’arma potente, ineguagliabile, distruttiva. In aggiunta, Caroline Vermalle è riuscita a rendere scorrevole una storia che prevede punti di vista diversi, con all’orizzonte, quindi, cambiamenti di personaggio principale, quasi sottolineando come tutti siano in qualche modo legati l’un l’altro, come se la vita di uno dipendesse, in maniera totale o meno, da quella del prossimo, creando, di conseguenza, una sorta di connessione tra le persone, diverse ma anche simili, lontane ma anche limitrofe. Da come si può intuire, questi “salti” narrativi risultano essere fluidi, caratteristica che concede il dinamismo proprio dei romanzi avvincenti, parti di una stessa unica entità, elementi frastagliati che combaciano alla perfezione, consentendo al pubblico una lettura continua, ininterrotta, portandolo alla fine della storia quasi senza accorgersene, verso quella pagina 218 tanto odiata e tanto amata contemporaneamente.
Le “piccole cose”, quindi, sono onnipresenti in questo romanzo e sono proprio questi minuscoli aspetti ad avere un ruolo fondamentale nel cambiamento graduale e radicale di Fréderic: con alle spalle un passato che ha segnato la sua infanzia, rendendolo ciò che è ora, obbligandolo a un’evoluzione improvvisa e completa all’età di sette anni, ponendogli davanti agli occhi l’unica vita che avrebbe mai potuto avere in un futuro, negandogli il beneficio del dubbio, costringendolo a non porre la fiducia nel nucleo famigliare, meta molto gettonata e ambita dalle persone comuni ma che lui si impone di denigrare con tutto se stesso, l’avvocato divorzista si ritrova a fare i conti con la realtà effettiva che lo circonda, non la sberla che lui aveva preventivato, ma una tenera carezza, lieve tocco del presente con un sentore antico richiamante un’era temporalmente andata, quella parentesi della sua esistenza che nascondeva gelosamente a tutti, proteggendola nel suo cuore temprato dalle vicissitudini vissute, preservandola intatta grazie ai ricordi che aveva e che ha, rimembranze non per forza veritiere ma che gli hanno permesso di vivere serenamente ciò che gli era rimasto e di possedere, tangibili ed effimeri insieme, i segni di ciò che era stato, un pugno di mosche forse, ma unico strascico del bambino che ancora vive in lui, quella fanciullezza celata nell’oblio cavernoso del suo animo. Come se qualcuno accendesse la luce in una stanza completamente al buio, Fréderic di colpo si vede catapultato in un mondo differente, dove ogni sua convinzione si sgretola e ogni suo pensiero razionale viene distrutto: aprire gli occhi, davvero e finalmente, non palesa sempre brutte sorprese, anzi, illuminando a giorno il panorama, permette a noi osservatori di guardare in faccia la realtà e comprenderla veramente in tutti i suoi particolari, niente più mezze verità, niente più bugie camuffate per indorare la pillola, ora solo ed esclusivamente i fatti come sono accaduti, per filo e per segno, riscoprendo così quanto faccia bene all’anima tormentata il conoscere ciò che si ignora, il comprendere ciò che non si era capito a pieno, il realizzare quanto tempo perso a credere a determinate confessioni e usato per arrovellarsi su qualcosa che effettivamente non era concreto.
A questo punto, ogni singolo elemento viene visto in chiave differente, a 360 gradi. Il concetto di “famiglia” viene rivalutato e ampliato, introducendone anche un significato che sembra essere nuovo e inedito, ma che invece è intrinseco al valore di questo sostantivo, un abbraccio fraterno e amorevole, un caldo rifugio per chiunque ne abbia bisogno.
Si dice che la famiglia non ha niente a che vedere con i legami di sangue, ma con la mano che qualcuno ci tende.
Tutti vengono accettati in questa dimora umana accogliente. Tutti possono farne parte, nessuno può esserne escluso. Non importa se il sangue non è il fattore comune ai componenti della famiglia, non importa se essi appartengono a etnie differenti, non importano i divari sociali che possono intercorrere tra questi individui. Ciò che conta è l’amore e l’amicizia nutrite per l’altro, potenti emozioni che permettono, a chi le percepisce nel profondo, di aprirsi davvero, di non avere paura delle sfumature più particolari di questi due sentimenti, di rendersi conto che non esiste una vera distanza tra sé stesso e l’altro, che non sussistono confini da non superare, limiti che, invece, devono essere varcati per poter provare davvero affetto sconfinato verso qualcuno, che ideologie come il razzismo non dovrebbero assolutamente infangare il nostro animo con gli scarti tossici di questa industria malevola, la quale porta alla creazione di distacco, lontananza e odio ingiustificati.
A tutto questo e molto altro, fa da sfondo l’impressionismo, corrente artistica che aleggia lievemente nelle righe della storia, la quale va a focalizzarsi, in maniera particolare, sul padre di questo movimento pittorico, e cioè Claude Monet. Anche chi non è avvezzo all’arte o comunque non la ama particolarmente, non potrebbe non rimanere affascinato dall’atmosfera sorta ne La felicità delle piccole cose, un’aura romantica, magica, invitante, una sorta di ragnatela creata da Caroline Vermalle in grado di catturare e imbrigliare a sé il lettore, veicolarne la sua attenzione, ponendolo quasi di fronte alle opere trattate nel libro, come se stesse intraprendendo una visita guidata, un percorso definito dall’autrice in ogni suo particolare, mano a mano con Fréderic, accompagnandolo nel museo che è stata, è e sarà la sua vita.
Scheda libro
Titolo: La felicità delle piccole cose
Autore: Caroline Vermalle
Casa editrice: Feltrinelli
Pagine: 218
Anno di pubblicazione: 2015
Traduttore: M. Pesetti
Genere: Narrativa contemporanea
Costo versione cartacea: 8.00 euro
Costo versione ebook: 5.99 euro
22 Ottobre 2016 at 21:57
io avrei scelto la visita al Musée d’Orsay 🙂
22 Ottobre 2016 at 22:03
Signorina, devi seguire tutto l’iter 😉 Quindi tutte e quattro le tappe eheh 😛
30 Ottobre 2016 at 15:49
Ammetto che anch’io ero stata attratta da questo libro quando è stato messo in promozione, ma poi la trama mi ha fatto optare per “Giuda” di Amos Oz, insieme a “La meccanica del cuore” (che volevo leggere da tempo). Mi è piaciuta la riflessione sulla famiglia, non bisogna mai limitarsi ai legami di sangue, assolutamente.
30 Ottobre 2016 at 16:26
Vabbé dai 🙂 Poi mi dirai per Malzieu <3
Quella parte sulla famiglia è davvero bellissima... Semplice e profonda al tempo stesso 😀