Una carezza, un bacio al volo, un sorriso, leggera curva che illumina a giorno il momento anche più buio, il vento tra i capelli, una passeggiata mano nella mano con l’amore della nostra vita, una scampagnata con gli amici, una risata per una battuta sciocca che abbiamo appena sentito, una buona tazza di cioccolata calda, vista la stagione, in buona compagnia, il cane che, lanciatogli il bastone, ce lo riporta indietro o più semplicemente il nostro fido che ci fa le feste quando torniamo a casa dopo aver passato fuori tutto il giorno. Questi sono solo alcuni esempi che io definisco come Banali momenti speciali, attimi di vita piena, durante i quali condividiamo con qualcuno o anche e solamente con noi stessi un pezzetto di quella felicità che in un istante ci ha arriso e coinvolto, minuti preziosi che potrebbero migliorare la nostra giornata in uno schiocco di dita, una fulminea eternità che si incide, indelebile e in profondità, nella nostra mente e nel nostro cuore, lì nei luoghi dove possiamo mandarla in replay tutte le volte che vogliamo e quando più necessitiamo, una rimembranza questa che si vuol far sentire, che ci impone la sua presenza, ingombrante, sì, ma solo nel suo essere speciale e indimenticabile.
È questo ciò che vuole (ri)vivere la protagonista del libro di Silvia Maira, Isabella, chiamata da tutti Isa, figlia quarantenne di Luisa e Riccardo Valentini, sorella di Mirko, sposata con Sergio, dal quale ha avuto due bambini, Kevin, ormai diciassettenne, e Vittoria, una ragazzina di nove anni. Sembra tutto ordinario, la più tranquilla normalità di sempre, eppure questa è solo una facciata, la punta di un iceberg gigantesco che affiora dalle profondità marine. Fin dalla sua infanzia, Isa è stata sola e mai amata. I suoi genitori l’hanno sempre trattata con distacco, prediligendo il fratello che, a differenza di lei, ha intrapreso la carriera del padre, conseguendo la laurea in giurisprudenza, titolo che, allora come ora, la nostra protagonista di origini siciliane non ha mai voluto conquistare, preferendo, invece, il campo della moda, altro indirizzo di studi che non ha impiegato troppo tempo a essere abbandonato e posto quasi nel dimenticatoio: ovviamente, tra questa scapestrata e il figlio modello, era chiaro come il sole chi mai potesse essere il preferito dai coniugi Valentini, che dirigevano verso Isa solo il più completo e totale disinteresse, accompagnato da una freddezza, soprattutto da parte della madre, che poco ha in comune con il classico amore dei genitori verso i figli, un affetto speciale e distintivo, una chimera impossibile da raggiungere e anche solo da auspicare se si pensa alla situazione famigliare poco piacevole di questa donna che, con lo scorrere delle pagine, si impara ad apprezzare, sia nei vizi che nelle virtù. La solitudine, vissuta un tempo e sconfitta, almeno provvisoriamente, dal suo matrimonio e dalla sua nuova vita, prepotentemente ritorna a farle visita, tenendola in trappola, chiusa in una cella dorata ma che non riesce più a tollerare, segregata nella torre più alta del suo castello da favola e lì lasciata, in compagnia della sua tristezza odierna, dei ricordi dolorosi e del contemporaneo in cui si ritrova a lottare contro le conseguenze dei due eventi che hanno permesso alla malinconia dell’isolamento di ripresentarsi a lei, rinfacciandolesi nella sua immensità: da una parte, il matrimonio si sta rilevando un enorme fallimento, nel quale il coniuge sta emergendo nel suo più totale menefreghismo, lui, Sergio, che è sempre più impegnato nella sua carriera di cardiologo, dove ovviamente Isa non è mai contemplata, lui che passa così tante ore in ambulatorio da cenare sempre da solo, Sergio che trascura la sua famiglia, quasi fosse sposato prima con il suo lavoro e poi con la moglie legittima, in una parola Sergio che non è più il marito di un tempo, colui che coccolava la consorte e la faceva sentire speciale anche per delle sciocchezze, delle minuzie da poco; dall’altro lato, la morte della nonna Isadora, pilastro dell’infanzia di Isa, il suo cosiddetto “cantuccio caldo”, il rifugio dove lei si nascondeva e da cui tentava, con ogni sua forza, di non riemergerne mai per poter essere amata sempre, senza interruzioni, senza limiti, colei che rappresentava il suo porto sicuro e nella cui casa a Bellarosa ha trascorso le estati più belle e spensierate, quel magico luogo dove ritrovava la pace, in compagnia della cugina Bianca, nonostante i periodi bui a Milano, vissuti con la propria famiglia, sotto lo stesso tetto, respirando la stessa aria pesante, elettrica delle tensioni accumulate, così tesa da poterla tagliare con un coltello neanche tanto affilato.
Partire per la sua terra natia, ora, è necessario per dare l’addio definitivo all’unico volto che Isa si rammarica di non aver più rivisto per vent’anni. Dopo tutto questo tempo, lei ha l’occasione di tornare là dove tutto è cominciato, là dove tutto forse può finire: questo viaggio rappresenta il suo personale stacco dalla vita quotidiana, che ormai non la soddisfa più e la sta soffocando, una tregua che sarà anche la chiusura del suo cerchio personale, dove capirà ciò che davvero vuole, dove riuscirà a risolvere tutto quello che c’è da risolvere, dove sarà in grado di ritrovarsi e ricominciare.
La routine quotidiana, il classico tran tran che rappresenta lo scopo del nostro alzarsi dal letto ogni giorno, quello schema quadrato e preciso che ci induce a ripartire tutte le mattine, dopo una nottata ristoratrice atta a ricaricare le batterie del corpo stanco dalla sera precedente, questa profilassi che caratterizza le nostre vite è sinonimo di sicurezza, solidità, una fortezza così protetta da precludere qualsiasi via esterna di accesso, evitando quindi che terzi tentino in ogni modo di assediarla, conquistarla, depredarla, impadronendosi per sempre di quelle fondamenta della nostra esistenza, le basi senza le quali non potremmo più fare a meno, essendone ormai troppo assuefatti, oltre il limite consentito. Tuttavia, non è sempre oro ciò che luccica. Questo baluardo, infatti, potrebbe essere anche considerato come una specie di prigione: sebbene gli agi ci circondino, sebbene possediamo tutto ciò che un uomo vorrebbe possedere per se stesso, sebbene sembriamo condurre una vita più che appagante, nonostante questi aspetti che paiono condurre esclusivamente verso la felicità, una persona in una tale circostanza sarebbe portata a sentirsi rinchiusa, reclusa, bloccata in un mondo magnifico ed ameno all’esterno, marcio e decadente all’interno. L’apparenza inganna sempre e non è detto che il fuori rispecchi effettivamente e totalmente il dentro. Isa vive esattamente questo momento, una stasi in cui non riesce più a rimanere imbrigliata, un vicolo senza uscita la cui presenza non riesce più a tollerare: l’unica via di fuga che le si prospetta, la sola che riesce a immaginare in quell’istante è chiaramente fare dietro front, tornare alle origini, là dove quel passato di felicità, una gioia che ormai sembra averla abbandonata, ma che forse può ritrovare se solo guarda lontano, verso l’orizzonte dell’infanzia, anni e anni prima, dove, spensierata, raggiungeva il sorriso in men che non si dica, una meta che ora, non come allora, sembra fuori portata, difficile da cogliere, fors’anche impossibile. Bellarosa è il suo rifugio, scrigno di antichi ricordi, rimembranze di tempi andati dove la protagonista di Banali momenti speciali può rintanarsi per trovare la pace necessaria a rimuginare sulla sua situazione da una diversa prospettiva, senza frenesia, senza accelerazioni brusche, senza alcun tipo di velocità, alleata speciale dell’agitazione e nemica giurata della tranquillità, lavorando sulla sua sfera emotiva, su ciò che prova davvero, su quell’io profondo che sembra aver perso la bussola quel poco sufficiente a farle smarrire l’orientamento, inducendola a una fermata forzata e a guardarsi intorno, in cerca di qualche segno distintivo che le permetta di tornare in carreggiata e ripartire da dove il suo cammino si era interrotto improvvisamente, senza alcuna ragione plausibile. Staccare la spina dalla vita di ogni giorno è una scelta obbligata per Isa perché deve riflettere a fondo su tutti gli aspetti di questa esistenza che ormai non riconosce più come sua, che oramai è scaduta, che a questo punto non è più capace di rispecchiare l’ideale che la giovane protagonista, ai tempi, si era creata, immaginata, sognata.
Il presente di ognuno di noi è tale semplicemente grazie al passato che ci ha caratterizzati e accompagnati nella crescita obbligatoria imposta dalla vita, tenendoci per mano quando transitavamo da una fase critica a un’altra, reagendo con noi in maniera positiva o negativa a seconda di quanto richiesto dalla situazione specifica, mai allontanandosi troppo perché comunque formava e forma ancora un tutt’uno con il nostro essere, nato e sviluppato dagli anni che furono, vivo grazie agli anni che sono, in continua maturazione merito degli anni che saranno. Ritornare sui propri passi aiuta, quindi, a percepire meglio i mutamenti avuti nel corso del tempo, studiandone le forme e tutti gli aspetti nei minimi particolari, comprendendo a pieno in che maniera si è arrivati dove siamo ora, arrivando a conoscerci sempre più, aiutandoci a focalizzarsi su quel problema che da una vita tentiamo di risolvere ma che ancora, purtroppo, rimane un’incognita non indifferente, accompagnatrice instabile e incomoda di ogni giorno. Tuttavia, se da una parte il rimembrare e, quindi, il rivivere ciò che è stato risultano essere un validissimo aiuto per riemergere dalle tenebre del presente, per respirare una gioia antica, assopita e per, semplicemente, mettere in stand-by il quotidiano ingombrante e di disturbo, dall’altro lato rappresentano l’ennesimo oblio, ingannevole, lusinghiero, promettendoci una serenità accattivante e ardua da non accettare, una parola che sa di non poter mantenere perché facente parte di un tempo che fu e che ora, chiaramente, non è più, un ulteriore pozzo senza fondo dove il rimanerne ancorati non è la soluzione ai problemi dell’oggi: scappare dalla propria realtà e lasciarsi circondare dai ricordi felici della nostra infanzia, cercando di riviverli, riportarli alla luce del sole, non è la soluzione giusta perché, nonostante tutto, il passato è, come dice il suo nome di battesimo stesso, passato, andato, superato e un’entità siffatta non potrà mai sostituire ciò che abbiamo ora, il presente, un dono che dovremmo mantenere tale e, a volte, proprio per questo motivo, cercare di migliorarlo, per noi stessi, per chi amiamo e ricambia il nostro sentimento, per la nostra famiglia.
La perfezione non esiste in quanto ci sarà sempre qualche difetto, qualche minuzia che stonerà con questa caratteristica, il cui fine ultimo è la celebrazione della completezza, della pienezza e dell’eccellenza di qualsiasi aspetto al quale legare tale peculiarità, ma si può sempre cercare di avvicinarsi all’idea, un passo per volta, apportando delle ottimizzazioni a ciò che abbiamo ora, a ciò che la nostra vita ci ha abituati fino ad adesso, ponendo le basi di un futuro sicuramente più roseo e migliore della prospettiva che avevamo delineato prima dei suddetti cambiamenti. Niente deve essere dato per scontato, tutto deve essere calibrato e ponderato, eppure spontaneo, non costruito, bisogna cercare di donare sé stessi e accogliere i regali che i nostri cari vogliono farci, senza esclusione di colpi, senza limitarci, senza aver paura di giocarci il tutto per tutto per conquistare il premio ambito: è sufficiente dedicare un secondo in più alla nostra metà, un istante ulteriore che, nella sua semplicità, può cambiare davvero le carte in tavola perché, alla fine, i dettagli, quelli che sembrano insignificanti, vuoti, inutili, fanno quella differenza che tanto stavamo cercando, ancora e ancora.
Il cerchio della sua vita si era chiuso, adesso si sentiva al posto giusto.
Silvia Maira, con uno stile semplice, fresco, accattivante che spinge il lettore più emotivo a simpatizzare per Isabella, per la sua storia a tratti strappalacrime e malinconica, è riuscita a dimostrare che, sebbene le incomprensioni, i rimpianti, i dolori passati affrontati e quelli presenti ancora tutti da vivere, sebbene i ricordi forti e rigogliosi che irrompono nel nostro quotidiano e ci impongono di riflettere alla luce di quanto ora stiamo vivendo, nonostante tutto questo, la realtà attuale è quella che conta davvero perché il passato può solo portarci a meditare, capire davvero e riscoprire ciò che già stringiamo per le mani, quella bellezza che pensavamo di non possedere, eppure è lì, presente, dono della fortuna che ci ha baciati anni prima e che credevamo morta da tempo immemore. Non campiamo scuse per aria, non disdegniamo la nostra vita senza neanche combattere un pochino per migliorarla: siamo pronti ad accogliere questo regalo, abbracciarlo nella sua interezza, viverlo senza rammarico, e ricominciamo da lì, scartandolo.
Chiacchierando con Silvia…
Cosa ti ha spinto a intraprendere la tua carriera di scrittrice?
Iniziare a scrivere è stato un caso e non pensavo che dopo il primo romanzo ne avrei scritti altri.
Ho iniziato a scrivere perché ho sentito il bisogno di dare sfogo a delle emozioni che provavo, scaturite in seguito alla perdita di una persona cara.
Dove hai trovato l’ispirazione per il tuo romanzo?
Ogni romanzo è scaturito da un momento diverso. “Banali Momenti Speciali” è nato in estate, sfogliando un album di foto antiche. Da lì hanno preso vita uno dopo l’altro i personaggi, dalla nonna Isadora alla dolcissima Pina, fino ai personaggi più giovani e passionali, come Damiano.
Pensi che per una persona sia importante il passato? Quanto può influire sulla sua vita presente?
Il passato è il bagaglio di esperienze che ci portiamo e che sono convinta ci aiuta a vivere il presente e ci guida nel futuro. Ogni esperienza di vita, positiva o meno, ci lascia qualcosa.
Leggendo il tuo libro, mi è parso di percepire tra le righe l’immensa importanza della famiglia. Credi che, nonostante le difficoltà di qualsivoglia natura, un nucleo famigliare, se combatte e dà tutto sé stesso per sopravvivere, può riuscire a riemergere e tornare in auge?
La famiglia è alla base di tutto. Avere una famiglia solida è condizione di serenità e di equilibrio. Le difficoltà sono banchi di prova e, se insieme si riescono a superare, allora si è una grande famiglia che può resistere alle tempeste.
Alla fine del libro, dopo l’epilogo, ci sono dei bellissimi versi dedicati a tua nonna, toccanti e dimostranti il profondo affetto che provi per lei. Ti occupi anche del genere letterario della poesia? Se un giorno avessi la possibilità di lanciarti in quel campo, scarteresti l’idea?
Ti ringrazio per aver apprezzato i versi scritti per mia nonna. La poesia l’ho scritta “a caldo”, dopo la sua morte. Era una persona con cui avevo un rapporto speciale e che mi manca.
Non ho mai scritto poesie e non mi ritengo una poetessa. Sono solo una scrittrice per passione, ma non scarto l’idea di poter scrivere poesie. Tuttavia ritengo che per scrivere le poesie occorre avere delle motivazioni e delle emozioni ancora più forti e intense di quelle che si possono avere per scrivere un romanzo.
Scheda libro
Titolo: Banali momenti speciali
Autore: Silvia Maira
Casa editrice: Genesis Publishing
Pagine: 177
Anno di pubblicazione: 2016
Traduttore: –
Genere: Romance, Narrativa contemporanea
Costo versione cartacea: 11.60 euro
Costo versione ebook: 3.99 euro
7 Dicembre 2016 at 19:54
Una bellissima recensione che mette in luce il personaggio di Isa, la protagonista. Grazie!
7 Dicembre 2016 at 19:58
Grazie a te, Silvia 😀 Per la (tanta) pazienza e l’opportunità che mi hai dato <3 🙂 È stato davvero un bel viaggio e ti ringrazio molto ^-^