Classico momento di frustrante stasi letteraria. Sarà successo anche a voi, ci scommetto. Dopo svariate sedute zen, un nome dimenticato da tempo è riaffiorato dalle nebbie encefaliche: Daniel Pennac, grazie a cui sono incappata in Benjamin Malaussène, protagonista della cosiddetta serie di Belleville, quartiere periferico parigino teatro delle vicende narrate.
Il ciclo comprende sei romanzi (Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola, Signor Malaussène, La passione secondo Thérèse e Ultime notizie dalla famiglia) che raccontano la vita strampalata di Benjamin e della sua tribù, stravagante uragano di fratelli e sorelle lasciati alle cure del fratello maggiore dalla madre, che, innamorata dell’amore stesso più che dei suoi amanti, appare alla porta solo in prossimità del parto. A sua volta, la tribù vede l’avvento, la comparsa e il trapasso dei personaggi più disparati, antitesi assoluta del concetto di stereotipo, le cui vicissitudini si mescolano caoticamente come i frammenti colorati di un caleidoscopio. Posso assicurarvi che con un catalogo del genere di casi umani non ci si annoia mai leggendo, anzi a lettura finita sentirete addirittura la mancanza della vecchina che spara come Clint Eastwood, degli occhiali rosa del Piccolo, persino della presenza pestilenziale di Julius, cane visionario della famiglia… proprio di tutti insomma, senza esclusione di colpi.

Pur avendo strutture diverse, i romanzi della serie hanno alcune caratteristiche comuni, prima tra tutte il personaggio di Malaussène stesso: la chiave di volta degli eventi è la sua sventurata natura di capro espiatorio, ovvero l’innata capacità di beccarsi sempre la colpa o di trovarsi sempre inconsapevolmente nell’occhio del ciclone. Arriva a farne addirittura la propria professione – prendersi una piazzata, piangere e far impietosire i clienti per indurli a ritirare il richiamo -, ben remunerata tra l’altro. Più volte tenta di rinnegare questa sua tendenza, ma ogni volta, rassegnato, è costretto ad accettarla nuovamente dopo che gli piomba tra capo e collo.

Vede, il Capro Espiatorio non è solo quello che, all’occorrenza, paga per gli altri. È soprattutto, e anzitutto, un principio esplicativo, signor Malaussène.

E immancabilmente Benjamin diventa l’indiziato numero uno degli efferati delitti commessi nel corso degli anni nei dintorni del suo quartiere e della sua vita, acquisendo meritatamente il titolo di agnello sacrificale capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Infatti altra peculiarità del ciclo è la sfumatura noir che ne tinge le pagine. Solo che a Belleville i rapporti di colpevolezza si capovolgono: il meno sospettabile è il peggiore degli orchi e il più sospettabile è l’innocenza fatta a persona. Quasi a sottolineare quanto ormai il male sia banale, l’orrore spesso viene reso con la leggerezza di una metafora, così da tramutare un cranio saltato nella corolla di un fiore purpureo.
Oltre a questa ondata di brutalità, la realtà bellevilliana viene deformata dalla lente surreale che mette a fuoco tutti i libri, creatrice di istantanee al limite dell’assurdo analizzate dall’occhio pacatamente pessimista di Malaussène, che incassa con amara ironia tutto ciò che il dio Caso gli scaraventa addosso, senza però perdere mai un briciolo della sua bontà d’animo.

Il peggio, nel peggio, è l’attesa del peggio.

Interessanti anche le tematiche sociali affrontate in questa serie, ancora parecchio attuali oggi nonostante la storia si sviluppi nei primi anni Ottanta, tra le quali l’integrazione tra etnie diverse – la famiglia in un certo senso acquisita di Ben ha origini arabe -, la droga e la questione sugli aborti.
Ultime parole prima del passo-e-chiudo riguardo lo stile di Daniel Pennac, per cui l’ago della bilancia propende o per l’odio o per l’amore. Caratterizzato da una prosa fluida e particolare, ha un modo di scrivere che segna e che non si può dimenticare, assolutamente inconfondibile. Pur trattando di cose serie, dà quasi l’impressione di non prendersi mai troppo seriamente, stemperando il tutto con la forza dell’umorismo, a volte sottile come carta velina, altre nero come l’inchiostro che ho quasi il sospetto gli scorra nelle vene.
Il meglio lo riversa senza dubbio nelle riflessioni di Benjamin, personaggio che ha sicuramente una colpa verificata tra le tante che gli hanno affibbiato ingiustamente: l’avermi fatta affezionare a lui e alla sua tribù. Spero con tutto il cuore che capiti anche a voi.

Gli orari della vita dovrebbero prevedere un momento, un momento preciso della giornata, in cui ci si potrebbe impietosire sulla propria sorte. Un momento specifico. Un momento che non sia occupato né dal lavoro, né dal mangiare, né dalla digestione, un momento perfettamente libero, una spiaggia deserta in cui si potrebbe starsene tranquilli a misurare l’ampiezza del disastro. Con queste misure davanti agli occhi, la giornata sarebbe migliore, l’illusione bandita, il paesaggio chiaramente delineato. Ma se si pensa alla propria sventura tra due forchettate, con l’orizzonte ostruito dall’imminente ripresa del lavoro, si prendono delle cantonate, si valuta male, ci si immagina messi peggio di come si sta. Qualche volta, addirittura, ci si crede felici!

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titoli: Il paradiso degli orchi; La fata carabina; La prosivendola; Signor Malaussène; La passione secondo Thérèse; Ultime notizie dalla famiglia
Autore: Daniel Pennac
Casa editrice: Feltrinelli
Pagine:
Anni di pubblicazione: tra il 1985 e il 1996
Traduttore: Y. Mélaouah
Genere: narrativa contemporanea
Costo versione cartacea copertina flessibile: tra i 7,50 e i 10,00 euro
Costo versione ebook:tra i 4,99 e i 6,99 euro