Quando Ornella De Luca mi ha offerto gentilmente la possibilità di leggere in anteprima L’ultima lanterna della notte, non ho potuto rifiutare la sua proposta, sebbene sapessi di avere un’infinita schiera di letture da affrontare, altrettante recensioni in arretrato da scrivere, innumerevoli eventi a cui partecipare dopo aver aderito alle appena citate iniziative dando la mia totale disponibilità e infine, ma non meno importante, quintali di pagine da studiare per la sessione universitaria in spietato avvicinamento.
Quindi, perché mai accettare se consapevole della mia situazione decisamente critica e in un punto di non ritorno? Neppure volendolo, avrei potuto dire di no a questa scrittrice: prima di tutto, la gentilezza con cui sempre si pone convincerebbe anche i più scettici a darle ascolto, indipendentemente dall’argomento vertente la conversazione o dall’esatta ragionevolezza delle sue parole; in secondo luogo, ogni suo libro si rivela essere una perla rara e, perciò, lasciarsene sfuggire anche solo uno sarebbe proprio un peccato di proporzioni cosmiche, in pratica un errore madornale che nessuna scusa potrebbe mai giustificare davvero; da ultimo, la mia curiosità di conoscere la storia di Lennox, un personaggio che già in Adesso apri gli occhi mi aveva affascinata, sebbene le sue comparsate fossero esigue e sorprendentemente brevi, ha avuto la meglio sulla mia organizzazione così scrupolosa e razionale da far concorrenza a una clinica psichiatrica.
Pertanto decisi di fare il passo più lungo della gamba, lanciandomi fiera in questa impresa: non mi sono affatto pentita e quest’oggi lo scoprirete visto che è arrivato il momento di parlare del secondo volume della serie The Orphanage.
Lennox Foster non può fare altrimenti: deve andarsene alla svelta da Boston, se non vuole complicare ulteriormente una faccenda già di per sé difficile. Quindi, radunati i pochi effetti personali, senza quasi avvisare della sua partenza la famiglia, quei compagni di avventure fratelli di Villa Sullivan e amici da una vita, imbraccia la sua Cow Glide, una Harley Heritage Softail Nostalgia FLSTN del ’93, e se ne va verso Nord, lungo la strada I-95.
Gli bastano dei chilometri e una breve sosta per trovare altri guai, piccoli grandi problemi capaci di rintracciarlo anche quando lui non ne è in cerca, praticamente una persecuzione sotto forma di nuvola di Fantozzi, nembo nero quanto il SUV che fa sbalzare il ragazzo fuori tracciato.
Resosi conto delle conseguenze collaterali che la caduta ha arrecato alla sua moto, il gipsy si ritrova a Bar Harbor con lo scopo principale di trovare un meccanico e magari anche quel nuovo inizio verso cui il destino lo ha sospinto.
Scegliere non è mai semplice. Ogni giorno, anche quando sembra che la routine sommerga placidamente le nostre ore scandendo il tempo esistenziale a noi fornito, la sorte ci pone di fronte a una rosa di alternative, possibilità simili eppure diverse, sfumature sottili che, a un occhio disattento, paiono le stesse tonalità di colore, punte vivaci a cui sono associati differenti destini e altrettanti traguardi, sulla strada verso i quali giocano a nascondino gli ostacoli, semper fidelis a chi cercano di complicare la vita, ostruendone il percorso e sbarrandone le scorciatoie, erte vie di fuga che fanno desistere pure gli avventurieri più coraggiosi e audaci.
A quel punto, tuttavia, una decisione potrebbe cambiare totalmente le carte in tavola: propendere verso una direzione piuttosto che un’altra coinvolgerà la nostra persona in eventi distinti tra loro che ci accompagneranno al cospetto di orizzonti inediti calamitanti con l’attrattiva potente di cui sono permeati, fiamma che avviluppa le nostre membra modellandoci a suoi piacimento e discrezione, una sfera di fasciante calore che coinvolge anche le nostre fidate ombre, quella famiglia pilastro portante della nostra anima, una casa che plasma le pulsazioni del nostro cuore, un rifugio da tenere al sicuro ad ogni costo, persino mettendo a repentaglio l’esistenza che ci appartiene di diritto e l’avvenire che diventa così ancora più incerto e nebuloso, un sacrificio suicida scelto consapevolmente e accettato di controvoglia, a cui ormai abbiamo voluto abituarci, ennesima opzione verso cui ci siamo dovuti buttare, ipotetico bene degli altri, concreto male per noi.
Adattarsi alla nuova situazione risulta il mantra che stimola la nostra avanzata nel domani, se mai riuscissimo ad arrivarci, incolumi nel migliore dei casi, spezzati nel peggiore, monchi individui che continuano a procedere imperterriti, zoppicando, incespicando, lasciandosi dietro pezzi di sé, briciole di pane che nessuno raccoglie e delle quali tutti si dimenticano, persino noi che, guardandoci allo specchio, vediamo un’altra persona, simulacro di qualcuno che non esiste più.
Se già così la vita non era neanche lontanamente rosa e fiori, il rovescio scomodo di cui sempre una medaglia è costituita si deve ancora mostrare del tutto, gocce di olio che non si amalgamano all’acqua, macchiette che si localizzano facilmente, una volta esibite con evidenza: prevaricazioni di ogni tipo si ergono inclementi e ci calpestano, zerbini che tutti usano quasi a sproposito senza alcun riguardo o rispetto, violenze fisiche e psicologiche che, ovviamente, lasciano un segno permanente sulla nostra epidermide, nuove cicatrici che si sommano alle vecchie e dimostrano ai loro provocatori la potenza intrinseca ai mezzi disdicevoli usati per raggiungere i fini personali decisamente egoistici che essi ambiscono più di ogni altro, compravendita di beni senza prezzo che paiono accessibili alle profonde tasche abbienti.
Eppure, l’alta marea non è soltanto sinonimo di distruzione, ovvia conseguenza del suo arrivare e travolgere chi si trova malauguratamente sulla sua traiettoria, birilli abbattuti senza pietà né possibilità di ripresa, ma può assumere anche il ruolo di scopritrice, portando alla luce dei tesori inestimabili col suo ritirarsi per tornare quieta da dove è venuta. E così, diventiamo i protagonisti di improbabili incontri, appuntamenti non preventivati che all’inizio acquistano una connotazione insignificante e forse, in qualche modo, pure disturbante, confronti faccia a faccia che a poco a poco si insinuano sotto pelle dandoci l’opportunità di saggiare con mano emozioni viscerali che arpionano il cuore, sentimenti nati in sordina, quasi solo accarezzando l’idea di un profondo legame indissolubile, ed esplosi in mille e più deflagrazioni, al culmine di una crescita lineare, uniforme tragitto che dimostra quanto le radici di un affetto genuino siano ormai ben piantate al suolo.
Rovesci di novità, quindi, cominciano a manifestarsi, conducendo con sé inediti uragani che sconvolgono anche le fondamenta dell’edificio più saldo e performante, palazzo abituato a quelle tempeste che, però, si ritrova spiazzato dalla notevole irruenza riscontrata, pesce fuor d’acqua disorientato che ha perso la via di casa.
La domanda adesso concerne l’atteggiamento da far nostro di fronte a situazioni di siffatta natura: cedere al turbinio di vita che ci investe oppure allontanarci con paura dalle conseguenze a esso legate, rifugiandoci nel tran tran di sempre, la cui aura abitudinaria ci fa sentire al sicuro, un bozzolo caldo che, seppur si identifichi con una prigione dalle dorate fattezze, regala sicurezza e stabilità alle nostre povere membra stanche?
La risposta oscilla tra due scelte completamente opposte, da una parte l’accontentarsi dell’esistenza che abbiamo fatto nostra e a cui non riusciamo ad abituarci, nonostante si dica che il tempo lenisca tutte le ferite se solo gli permettiamo di scorrere secondo le sue regole ancestrali, dall’altro lato il vivere un brivido lungo la spina dorsale, cubetto di ghiaccio che, sciogliendosi, scava un solco infuocato capace di condurci verso mete paradisiache, lontano dal riflesso dei nostri occhi, vicino al vero essere che ci abita, un io non conoscitore del percorso ma esperto del traguardo.
È un attimo e subito la libertà inizia a circolare freneticamente nelle vene: arrestarla è, in questo caso, impossibile e, soprattutto, indesiderato poiché, una volta conosciuta la sensazione, non la si vuole abbandonare per niente al mondo, ambrosia che fluisce nella gola e incide il suo sapore divino in tutto il nostro corpo, elettrizzandoci da ogni terminazione nervosa, animandoci attraverso tutti i pori disponibili, rinvigorendoci dalle punte dei capelli alle dita dei piedi, ovunque e per sempre, marchiati a fuoco.
Finalmente abbiamo preso una posizione dominante in quell’esistenza che si vociferava soltanto fosse nostra di diritto, una modalità di comportamento data dall’assoluto bisogno di pensare un po’ anche a noi stessi, propensione forse quasi individualistica che assume connotati differenti se si getta uno sguardo al nostro pregresso, passato che non esterna alcuna tipologia di amore da e per la nostra persona, individui abbandonati a loro stessi che, sebbene ora abbiano trovato una parvenza di serenità, non permettono alle utopie di immergere la loro mente nella bambagia accogliente, abbraccio confortante che scalda le ossa intirizzite, lasciando, invece, uno spiraglio da cui fuggire, uscita d’emergenza per scappare dagli ipotetici castelli in aria creati ad hoc per un futuro roseo che possono crollare al suolo da un momento all’altro, con un semplice alito di vento ben incanalato verso la destinazione assegnatagli.
Diventa, perciò, lecito chiedersi se è davvero il destino a scrivere le righe della nostra storia oppure, in qualche modo, il fato ci permette di barcamenarci, almeno un poco, in questa vita tutta in salita, un itinerario obbligatorio che molto spesso, appena ricevuto il nulla osta dalla sorte, decidiamo di influenzare affinché ci indirizzi verso una meta precisa, un target che tra tutti incarna meglio la redenzione agognata, l’unica maniera che ci consente di fare ammenda per i peccati commessi, colpe incalcolabili che reclamano una punizione esemplare, una parentesi chiusa che pone un fermo definitivo alla sregolatezza di sempre, un punto finale che decreta l’epilogo di un’esistenza e l’inizio di una sua nuova gemella, incipit che, sebbene battezzi l’entrata in una vita inedita, non ci farà dimenticare il luogo da cui siamo partiti, un inferno che a volte ci richiama a sé, ricordandoci cosa è successo, ciò che abbiamo perduto e quello che, forse, un giorno, non lontano da qui, potremmo ricevere quale dono infausto, scottatura da ustione che brucia, logora, marchia.
Tuttavia, non dobbiamo comunque concedere alla disperazione terreno utile per avanzate repentine e impreviste poiché in fondo al tunnel c’è sicuramente una luce opalescente ad attenderci, quella famosa quiete dopo la tempesta che guida con calma e costanza i nostri futuri passi, rischiarandone il cielo: anche se nel mentre tuoni e fulmini fanno la loro comparsa in scena, in seguito al nostro lungo peregrinare, si affaccia all’orizzonte la limpidezza del firmamento, non più una chimera inarrivabile, ma una realtà incontrovertibile, confutando in un modo quasi sottile e lieve che tutti noi meritiamo letizia dal tempo dispensatoci, la proverbiale seconda opportunità che deve essere colta appena la maturità accenna la sua presenza, l’ultima possibilità affinché pure noi viviamo addosso il miracolo di questo universo perituro poiché, alla fin fine, l’amore è faccenda di tutti, non di privilegiati.
L’ultima lanterna della notte è emozione pura: in un’altalena costante che culmina nel suo apice grazie a una climax ascendente, Ornella De Luca travolge con un maroso di parole il cuore del lettore, lessemi in fuga che urlano a squarciagola la loro presenza e scalpitano per essere prima assorbiti e poi compresi dal loro pubblico, sbocciando nella rosa di sentimenti veementi che non faticano a emergere nella loro più sontuosa natura. Suggestiva e toccante è la storia di Casey e Lennox, due personaggi che spiccano per il tocco di realtà di cui sono decisamente caratterizzati, un’atmosfera vera che in maniera inevitabile cattura, lasciando noi avventurieri in completa apnea, assoluta agonia narrata in modo tale da infiltrarsi sotto pelle e trascinare nelle sue spire, giri di boa che stritolano e imprigionano portandoci con loro in un universo parallelo di mera vita, dove, nonostante tutto, è la speranza l’ultima a morire, fascio di luce che fende l’oscurità, vividi raggi di innumerevoli opportunità, faro che ci indica la strada e ci porta lontano. Dove vorremmo essere, dove saremo, dove siamo.
Scheda libro
Titolo: L’ultima lanterna della notte
Autrice: Ornella De Luca
Serie: The Orphanage Series #2
Casa editrice: –
Pagine: 382
Anno di pubblicazione: 2018
Traduttore: –
Genere: Narrativa, Romance
Costo versione cartacea: 12.76 euro
Costo versione ebook: 1.99 euro
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