Eccoci alla penultima tappa di Cuori in Viaggio, l’iniziativa che ha coinvolto ben 28 blog che, girando per il mondo, hanno voluto celebrare l’amore in tutte le sue sfumature: per maggiori dettagli e sapere dove approderà l’ultimo appuntamento di questo speciale blogtour, cliccate semplicemente qui e tutto vi sarà più chiaro.

Vi è mai capitato di comprare a occhi chiusi un libro perché tanto avete letto tutti i romanzi pubblicati da quell’autore e siete certi al 95%, lasciando comunque un margine di rischio, che sarà una bellissima avventura, come del resto lo sono state le precedenti? A me sì, succede spesse volte: essendo un’accumulatrice seriale, è molto semplice diventare anche una collezionista maniacale, aspetto della mia personalità che si manifesta proprio di fronte a tutte le opere di uno scrittore che non posso fare a meno di adorare. In questa lista, un posto di tutto rispetto è occupato da Anna Premoli, autrice italiana che mi fa impazzire con le sue commedie romantiche ed esilaranti, adorabili non solo per l’intreccio che le caratterizza, ma anche grazie ai personaggi stessi delle varie storie, creati abilmente e scaturiti dalla penna di questa scrittrice. Chiaramente, già il 3 novembre dell’anno scorso comprai È solo una storia d’amore, la sua ultima fatica, per ora, e, fin da quel giorno, ho notato le tantissime recensioni non troppo entusiaste del suddetto titolo. Capirete che colpo possa essere stato per il mio povero cuore e comprenderete benissimo la mia paura nell’intraprendere questa lettura poiché, appunto, non volevo guastarmi il ricordo dei suoi precedenti capolavori, rimanendo quindi delusa e avvilita. Si dice che il mondo è bello perché è vario e io ne sono più che contenta! Forse per il fatto che non nutrivo grandissime aspettative, colpa delle sopracitate opinioni di terzi trovate online, ho posticipato la lettura di questo romanzo rosa e, a conti fatti, dopo averlo terminato in un solo pomeriggio, posso affermare quanto il mio pregiudizio fosse infondato: È solo una storia d’amore ha delle pecche, che vi spiegherò esaustivamente nel corso della mia recensione, ma non è stato quel fiasco che pensavo, anzi, magari proprio perché non confidavo in un simile risultato, la mia sorpresa è stata decisamente più evidente e forte.

Aidan Tyler è nei guai. Ha mezzo milione di buone ragioni per strapparsi i capelli ad uno ad uno: la casa editrice vuole vedere il nuovo libro che sta scrivendo, anche solo qualche capitolo, come dice il suo agente e amico Norman Morrison, tanto per tenerla buona e far vedere che comunque sta lavorando e qualcosa in pentola bolle. Peccato che sia tutto fumo e niente arrosto. Il nostro scrittore, infatti, la cui opera prima, pubblicata cinque anni fa, ha vinto nient’altro che il premio Pulitzer, una cosuccia da poco praticamente, non ha ispirazione. Ebbene sì, non ha ancora scritto una riga e dal suo impegno di pubblicare un secondo romanzo sono passati già tre anni. Ora, la situazione è terribilmente catastrofica. Né lui, né Norman, uomo decisamente riservato, amante degli abiti classici, che lo rendono più vecchio di quello che è, non sanno da che parte girarsi: quali pesci pigliare adesso e in tutta fretta? L’amico gli consiglia di scrivere qualsiasi cosa, non necessariamente un altro titolo che entrerà negli annali della storia letteraria, ricordato come un capolavoro senza eguali, no, va benissimo anche una storia modesta che venda un numero discreto di copie, per esempio una storia d’amore che tanto in questo periodo va di moda e viene sempre accolta da una grandissima fetta di lettori. Aidan non è certo tipo da abbassarsi a un tale livello di idiozia e mediocrità. Cosa mai vuol pretendere il buon Normy? È tutto uno scherzo, vero? E invece è la mera e cruda realtà. Tanto che il suo agente lo invita, molto molto caldamente, a leggere uno dei tanti libri pubblicati da una sua altra cliente, Delilah Lee, scrittrice rosa di dodici romanzi in soli cinque anni. Affranto e decisamente umiliato dalla situazione venutasi a creare, il signor Pulitzer prende quel libro, Ti prego lasciati odiare, con la copertina fucsia sgargiante, e se ne va. Ma non deve disperare completamente: non tutto, infatti, è andato così male! È riuscito a guadagnarsi, senza alcuno sforzo, un’intervista a un talk show serale, dove affiancherà la famosissima autrice di banali romanzetti da strapazzo. Perfetto… O forse no?

A volte può capitare di confrontare i propri gusti letterari con quelli degli altri lettori, dando il via a discussioni istruttive ed interessanti, scambiando battute che permettono una conoscenza più approfondita del nostro prossimo, magari trovando, grazie a esse, nuovi titoli da leggere, nuove opere da amare e custodire gelosamente nei nostri cuori, nuove avventure da vivere sulla propria pelle. Eppure, può succedere che si creino situazioni imbarazzanti che pongono le basi di un profondo disagio, sfociante, in alcuni casi, in litigi più o meno rilevanti, possibili distruttori di amicizie anche di lunga data, se non si pone l’attenzione necessaria a evitare di sproloquiare e di eccedere, quando sarebbe invece d’obbligo rimanere abbottonati ed evitare qualsiasi maniera di far sorgere diatribe inutili e sciocche: sappiamo bene che esistono delle persone le quali criticano i loro interlocutori, bocciando i libri che i tali individui amano e adorano, disapprovando quei romanzi in maniera non costruttiva e magari senza nemmeno averli letti, solo per sentito dire, come se le voci di corridoio ascoltate avidamente in precedenza abbiano un fondamento pressoché indissolubile, tanto da, magari, allargare il raggio d’azione delle maldicenze includendo, in maniera universale, il filone letterario a cui le suddette opere appartengono, denigrandolo, bollandolo come una terribile idiozia, una piaga che dovrebbe essere sconfitta, un’onta da cancellare definitivamente dalla letteratura, purgandola di questa malattia infestatrice.
Uno dei tanti esempi più lampanti di critica letteraria è quella mossa nei confronti del romance, il genere rosa, pastello o shocking che sia, a seconda del piacere personale. Se da una parte abbiamo uno stuolo di fan, accaniti lettori di queste storie d’amore, pubblico che osanna tali favole moderne, assuefatto dal loro essere decisamente zuccheroso, dall’altro lato, troviamo tranquillamente orde di cinici individui, allergici a tutto ciò che rimanda all’emozione tanto declamata in questi libri, tragici personaggi che ritengono tali opere mediocri, banali, senza spessore alcuno. Da cosa cominciamo? Chiaramente dalla trama! La solfa è sempre la stessa, gira e rigira, perché ci sono un lui e una lei che si incontrano, per caso, grazie al destino che vuole forse far loro un piccolo enorme favore, dopotutto Dio li fa e poi li accoppia, cominciano a conoscersi, capiscono di odiarsi, scontrandosi più e più volte in duelli all’ultimo sangue, o all’ultima battuta, come più volete chiamarli, e infine? Ovviamente si innamorano perché l’amore non è bello se non è litigarello, giusto? Nessuno sta dicendo che non ci siano aspetti originali in tutti o quasi i romance, ma, se togliessimo questi ornamenti, i vari fronzoli e quelle trine che lo arricchiscono, troveremmo un filone narrativo del genere, niente di che, la prevedibilità fatta a intreccio, in pratica. La trivialità e la scontentezza del rosa danno quasi l’idea che chiunque possa scrivere una storia di questo “colore”: dopotutto, se ci riescono delle donne probabilmente bisognose di affetto, tanto tantissimo affetto, malate di zitellaggio perenne, letteralmente sommerse da gatti di ogni razza perché sono le uniche creature che possano amare e adorare, scommettiamo che un individuo a caso possa scrivere un libro come loro per quel pubblico, in maggioranza femminile, il quale, come un fido gregge di pecorelle smarrite, ritrova la strada e la retta via grazie alla sua “capo branco”? Molto probabilmente uscirebbe un best-seller migliore di decine e decine di romanzi di queste autrici, se così possiamo definirle tali, una storia vera e reale, non quelle utopiche che tanto fanno gola all’uditorio, non quelle che mai e poi mai troveranno la loro gemella nella vita di ogni giorno, non quelle che, manco con un miracolo, si concretizzeranno, continuando così a instillare nel gentil sesso brame e desideri fuori portata, illudendo queste povere donne, che un po’ se la cercano, nutrendole voracemente di vane speranze senza un lieto fine. Sono solo favole, signore, solo ed esclusivamente favole.
E se non fosse proprio così? E se non tutte queste donne fossero davvero frustrate e desiderose di un affetto con cui non vogliono avere a che fare se non attraverso le righe di un romanzo e gli occhi di un’altra loro simile? E se per scrivere un libro rosa si potesse attingere dalla realtà, rimaneggiando fatti che ci capitano ogni santo giorno, incontri che ci cambiano anche solo per un nanosecondo, apparizioni sorprendenti di persone vere, concrete, vicini di casa o avventori in un bar, i capi o magari i colleghi, individui che esistono, davvero, e si possono trovare intorno a noi, se solo ci guardiamo intorno, aprendo davvero i nostri occhi, lasciandoci inondare dal maroso della nostra vita? E se le autrici del romance non fossero proprio sensibili nei confronti dell’amore e magari fossero spietate nei suoi confronti, come se non si aspettassero altro da quest’emozione, se non una totale e completa indifferenza, ricambiata di buon grado, proprio per alcune delusioni avute in passato e che ancora bruciano per ricordare che ci sono state e, beh, non se ne andranno facilmente? E se, soprattutto, queste scrittrici odiassero la sfumatura di colore per cui sono famose? Come la mettiamo, alla luce di questi fatti?
Spesse volte capita di lasciarci coinvolgere dalle voci, dicerie per sentito dire che si insinuano sotto pelle e lì ristagnano, portando a galla i preconcetti altamente diffusi che alimentano determinate sensazioni dirompenti, atte solo a offuscare il nostro giudizio e a non permetterci una panoramica generale esatta, più che fedele rappresentazione di ciò che è, non ciò che sembra anche solo alla lontana. Farsi travolgere dall’opinione della massa è semplice, come bere un bicchiere d’acqua e perdersi in esso, senza possibilità di ritornare a galla ed essere i pochi salmoni contro corrente. Tuttavia, il più dei casi è l’invidia a parlare per noi, facendo le nostre veci e inducendoci a credere fermamente ai pregiudizi, per poterci rendere la vita leggermente più godibile, leggermente più apprezzabile, leggermente più digeribile di quanto non lo sia davvero. C’è sempre qualcosa che non possediamo e vogliamo avere ad ogni costo, qualcosa che bramiamo a tal punto da vederla in ogni dove, come se facesse apposta a comparire nei luoghi più impensati, indicati con una gigantesca insegna al neon che non passa certo inosservata. O, almeno, siamo noi a non riuscire nell’impresa di ignorarla. Davanti ai nostri occhi, cominciano a scorrere fotogrammi su fotogrammi, nei quali persone, che non hanno niente in più di noi, all’apparenza, riescono a raggiungere gli obiettivi che da tempo ormai cerchiamo disperatamente di acciuffare, fini che scivolano dalle nostre mani in un battibaleno, scappando da noi sempre più lontano, come se fossimo cariche di egual segno che si respingono, creando una distanza in continua crescita verso l’infinito, oltre i limiti che potremmo mai conoscere.
Tuttavia, l’invidia distrugge solo chi la prova, rodendolo dall’interno e lasciando unicamente terra bruciata di tutto ciò che il suo incedere incontra sulla sua strada. E forse il nostro intento è proprio questo, cioè trovare un pretesto per ribadire e sottolineare ancora una volta il nostro fallimento, il nostro declino, convincendoci che alla fine non valiamo assolutamente niente, comprovando che la nostra solita e costante paura di non essere abbastanza è lì che ci guarda, che ci osserva beffarda dall’alto del suo piedistallo, ferendoci sempre più con il suo ghigno, mezza luna stridente con il concetto di felicità che dovrebbe portare un sorriso in quanto tale. Tutto, però, ha una sua fine: un’epoca, un’attività, una vacanza, un amore, perfino il regno del terrore di quel verde che non sa di speranza. Basta solo uno sgambetto, asso nella manica giocato nel giusto momento, e tutti cadono, persino i più attenti e più stabili. Provare per credere.

Nonostante la presenza di errori ortografici, i primi che noto in un romanzo cartaceo di Anna Premoli e quindi causa di un leggero colpo al cuore per una sua fan come lo sono io, Grammar Nazi per definizione, e l’assenza di alcuni collanti tra una scena e l’altra, creando perciò in me non pochi dubbi sull’effettiva dinamica dell’evento a cui stavo assistendo come pubblico non pagante e intruso, È solo una storia d’amore celebra il cliché dei cliché, dimostrando quanto le convinzioni ben radicate possano fuorviare e portare a vedere in maniera errata la realtà quotidiana, nostra compagna di sublime bellezza, inducendoci a guardare con occhi diversi ciò che abbiamo intorno, aiutandoci a capire che ogni individuo di questo mondo può essere una vittima prescelta dall’amore, predestinata da una qualche forza più grande e decisamente persuasiva a vivere una fiaba dalle tinte rosa, dove i principi e le principesse, unici e classici protagonisti di tali storie, prendono vita, rinascendo in noi e per noi, donandoci una nuova speranza e un’inedita visione della nostra ordinarietà. Perché, alla fine, è la realtà la vera favola.

Nella vita si gioca, si rischia e qualche volta si vince pure. Incredibile ma vero.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: È solo una storia d’amore
Autore: Anna Premoli
Casa editrice: Newton Compton
Pagine: 314
Anno di pubblicazione: 2016
Traduttore:
Genere: Romance
Costo versione cartacea: 9.90 euro
Costo versione ebook: 4.99 euro
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