In questa occasione durante la quale vi elargirò il mio ennesimo parere personale su una delle letture affrontate recentemente, vi svelerò un piccolo segreto: ho iniziato ad amare la letteratura russa dalle medie, quando, nel momento di scegliere un libro tra i proposti dalla professoressa di italiano, il mio sguardo si pose su Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, un romanzo che aveva da sempre destato in me una forte curiosità, legata sia al significato quasi misterioso ed enigmatico del titolo, sia alla sua fama di opera imponente nella sua mole, riflessiva nello scavare nell’animo umano, difficile nelle tematiche affrontate e nel linguaggio tramite il quale viene dispensata. Sono bastate poche pagine per convincermi, esigui capitoli per travolgermi, una manciata di ore per terminare un viaggio che non dimenticherò mai.
Per questo motivo, quando ho scoperto che Fazi Editore avrebbe pubblicato La felicità domestica di Lev Tolstoj, ho creduto fosse giunto per me il momento di conoscere in maniera ravvicinata un altro esimio collega, leggendone una piccola opera per saggiarne lo stile e la bravura di cui ero certa mi sarei abbeverata avidamente dalla sua fonte di carta: non potete immaginare quanto sia euforica e lieta di aver avuto ragione un’altra volta.

Màscia e Sonia sono appena diventate orfane dopo la dipartita della madre in autunno: ora solo Katia, una vecchia amica di famiglia che le ha allevate quale governante, fa compagnia alla ragazzine nel gelido inverno in quel della campagnola Pokròvskoie. Così, nella solitudine che il mondo esterno decide di riservar loro onorando all’estremo il lutto delle giovani, i mesi cominciano a trascorrere lenti e inesorabili proprio al pari della bellezza della protagonista che sfiorisce, poco per volta, di fronte all’evidenza, un isolamento a cui la disperazione e la noia hanno iniziato a frapporsi, obbligandola ad adattarsi a questa nuova condizione dopo aver gettato, quasi senza remore, ogni speranza che avrebbe potuto nutrire nell’animo.
Tuttavia, quando il destino ormai sembra aver scritto indelebilmente ogni parola a caratteri cubitali, in scena entra Serghièi Mikhàilovic, un vicino prossimo che era anche amico del padre delle sorelle, sebbene la differenza d’età tra i due uomini fosse davvero evidente. Questo nuovo incontro dal passato non porta solo un’ovvia ventata di aria fresca nelle quattro mura entro cui Màscia si è rintanata suo malgrado, ma rappresenta anche la potenziale svolta per la vita di questa giovane donna che si ritrova adesso catapultata in un universo ancora per lei sconosciuto, una realtà che imparerà ad apprezzare prima e adorare poi, cioè l’amore con le sue innumerevoli possibilità.

Essere giovani non implica necessariamente avere un’esistenza appagata e scanzonata. Infatti, anche se nel fiore degli anni si dovrebbero prevedere per antonomasia leggerezza e gioia in maniera esclusiva, stati d’animo che ci dovrebbero accompagnare sempre, falcata dopo falcata, verso nuove mete ignote, traguardi che si stagliano all’orizzonte nella loro lontana magnificenza incutendo un notevole timore referenziale agli occhi di noi povere persone comuni, coppia di emozioni che, grazie al tris fiducia ottimismo e speranza, giocano con brio una mano vincente, nonostante, quindi, il full sopra descritto, fortunata mano di carte che bacia la sorte di chi la riceve quale manna dal cielo, rare volte può accadere l’impensabile, manovra scioccante che il destino ha deciso di muovere nei nostri confronti, smacco definitivo che, con il cambio di una sola consonante, distrugge il re in poche mosse precise, mattanza di uno che incide su molti.

Nell’altalena che ognuno di noi ha in comune con l’altro, quasi a voler compensare l’entusiasmo che sa avvolgere in un abbraccio caloroso da brividi, tra capo e collo appaiono selvaticamente i dolori, lame taglienti che squarciano la carne, dapprima lente e sadiche, poi veloci e profonde, compiendo giri di giostra così da causare maggior sofferenza e distruzione, stiletti affilati che usano il nostro corpo, già provato dalle precedenti perforazioni, come un puntaspilli, cuscinetto di spirito e cuore che, per espletare i propri compiti, silenzioso accetta il suo destino, senza sollevare obiezioni o proteste, come se non volesse in qualche modo creare ulteriori scompigli rischiando magari di ottenere in cambio ennesimo tormento, addendo da sommare a quello che già ci tiene in pugno stritolandoci, cifra che si aggiunge alle altre per attingere, con esse, dalla nostra linfa vitale il sostentamento necessario per ferirci ancora una volta, quasi a volerci ricordare la loro presenza infausta e opprimente.

Tuttavia, sebbene la sorte abbia deciso di porre sul nostro cammino gli ostacoli più difficili da superare indenni, pesi che sul cuore stazionano e rendono ardua qualsiasi strategia atta a riprendere in mano la propria realtà agli inizi, cercando di voltare pagina, senza successo, non è detto che non possa decidere di cambiare idea e tornare sui propri passi, desiderando questa volta compiacerci e quindi dispensando finalmente qualche occasione da non perdere, momenti speciali che potrebbero apparire banali e vuoti, nascondendo invece tra le loro trame fitti significati la cui profondità è nata per essere esplorata minuziosamente, un baratro in cui perdersi è un attimo, infiniti occhi specchio di un’anima che cerca pace e libertà, l’unico e adeguato cambiamento radicale che deve essere afferrato e vissuto solo nel momento giusto, un qui ed ora che non passa mai.

In un frangente del genere, è normale che emergano aggressive paure latenti, assopiti timori mascherati che albergano in noi da tempo immemore, sensazioni sgradevoli che, con quelle radici infette, si insinuano diffondendo la propria natura nociva fin dove viene concesso loro, attecchendo alle pareti palpitanti del nostro cuore, ferendole e crepandole il sufficiente per indebolirle, rinsecchito riflesso di una psiche ormai appassita e priva di vita. Il panico generato dall’affiorare di sentimenti affettivi sconosciuti ne è un esempio lampante: qualsiasi sia l’istante in cui siamo destinati a vivere l’amore, non esistendo, in questo caso, un momento davvero opportuno e consono per fare l’esperienza più bella di sempre, trovarsi di fronte alla meraviglia che l’esistenza ci riserva chiaramente spiazza e scombussola, inducendoci a interrogarci per comprendere come affrontare tale rivoluzione interiore, quasi chiedendoci in che modo sia stato possibile che proprio noi siamo caduti in quella dolce trappola, nonostante credevamo non ci fosse più concesso di sperare in un simile lieto evento, come se dopotutto la nostra persona non fosse abbastanza per essere amata da qualcuno. Di conseguenza, ne deriva un’altra ansia con cui essere costretti a convivere, quell’affanno legato all’errata comprensione dei segnali ricevuti, sguardi rubati al loro vero ruolo, respiri diversi dal solito interpretati come sospiri anelanti di noi, parole sussurrate lungo il filo dell’amore e sospese sull’oblio della tangibilità.

Eppure, tutte queste preoccupazioni impallidiscono al cospetto del dono ritrovato che porta automaticamente a una felicità insperata e totalizzante, quel presente che, attraverso la sua magia, surclassa qualsiasi paura, perfino il timore cucito a doppio filo all’enigmatico avvenire da cui siamo intimiditi proprio a causa della sua aleatorietà indefinita e misteriosa. Una volta scartato, il regalo viene aperto e mostra i suoi tesori custoditi con gelosia, fuori portata dagli occhi dei meno meritevoli, calma che sprizza da ogni poro, dimostrando che pure i dettagli possono meravigliare, piccole inezie senza importanza che abbagliano e scuotono dal profondo del cuore.
Il conseguente percorso di crescita è già in atto prima ancora di rendercene davvero conto. Nuovi obiettivi e realizzazioni concrete scoprono le loro carte sul nostro tavolo, infinite eventualità sospinte nell’insieme verso un unico traguardo che prevede il compiacimento del prossimo nei nostri confronti, imbarcandosi, quindi, quasi di straforo in imprese più grandi di noi che ci chiamano a gran voce, tacita accettazione dell’altro verso la persona che siamo, una giovane talea che fiorisce e dischiude i suoi petali alla sensazione recuperata di benessere, bassa marea che lambisce i lidi del nostro io ora libero e sereno come fin dall’inizio avrebbe dovuto.

In questa maniera, prende forma nella nostra mente un’inedita coscienza che si offre come diversa prospettiva attraverso la cui luce guardare il panorama che spicca davanti al nostro sguardo: solo così sottolineiamo il valore di ciò che stiamo perdendo, non curanti e troppo presi da noi stessi, individui egoisti che forse per l’età anagrafica avevano deciso di osservare la vita da un’angolazione differente e limitata, sebbene essa possa dar luce a una saggezza di fondo che si rivela sincera ed essenziale, discernimento ampliato che adesso ci propone tutte le salse del solito universo a cui eravamo abituati all’eccesso. Perciò, il qui ed ora, ancora una volta, assume il ruolo di protagonista interpretando un assolo che lo innalza all’Olimpo dei grandi attori, un ambiente patinato e scintillante degno solo degli astri più lucenti: il valore del presente tocca picchi mai raggiunti prima, sottolineando che esso non deve essere sostituito dal passato o dal domani poiché ogni istante, un qualsiasi momento congelato nel tempo, è incastonato nel suo posto d’onore, solo a lui destinato, dimostrando che c’è un attimo preciso e giusto per ogni avvenimento o evento memorabili. Basta saper attendere quel quanto senza richiamare alla mente antichi fasti, echi di un’esistenza ormai terminata, o future previsioni, rosee aspettative che molto spesso sono edulcorate dalla speranza nutrita e decisamente mal riposta.

Difatti, l’ottimismo nell’avvenire, anche solo con lo scorrere dei semplici mesi, comincia inevitabilmente a smorzarsi: le prospettive di vita che avevamo organizzato in modo così scrupoloso sembrano annullarsi pian piano, lasciando spazio ad altro, qualcosa di così assoluto in grado di offuscare tutto l’ambiente circostante, mettendo in ombra ogni caratteristica che pareva essere significativa alla nostra persona, valorizzando ora qualità decisamente individualiste fino a giungere a una maniacale venerazione, provando quasi che la personale contentezza raggiunta possa considerarsi un peccato capitale, dipingendoci alla stregua di pecorelle smarrite in cerca del gregge scomparso mentre brucavamo l’erba sentendoci al sicuro da ogni male possibile, nuvole scure che, qualsiasi sia il momento attuale, possono coprire il cielo più sereno e terso di sempre. E, arrivati a questo punto, si riscontra che la fugacità dell’istante fa evaporare gradualmente l’ardore iniziale che ci animava: la fiamma che ci scaldava lo spirito non è in grado di avvolgerci ancora come un tempo, accogliendo quel corpo che ora è irriconoscibile ai suoi occhi di fuoco, entità fisica che la maturità interiore ha plasmato in modo tale da renderla quasi insofferente all’oggi, come se auspicasse farle intendere che si sta accontentando del niente e dovrebbe ambire a ben altro.

Tuttavia essa sa che, per trovare il tesoro, è sufficiente scavare e andare oltre le apparenze, un esame di coscienza che solo una crescita dell’animo può portare a farsi, convincendoci anche a non fermarci alla linea orizzontale che con il cannocchiale vediamo al termine dell’eterno mare, ma a perpetrare il nostro cammino, passi decisi verso la meta e ben ancorati al suolo, un’escursione che non porta a castelli in aria ma nemmeno ci fa perdere la vivacità del passato, forza imbrigliata e trattenuta con l’età, energia dirompente che mai verrà cancellata o sostituita. Ed è con questa gagliardia che si guarda al passato in modo completamente differente: iniziamo a pentirci dei desideri pregressi, scoprendoci smaniosi di inediti stralci di vita, dalle cui acque esistenziali affiora la necessità di dinamismo per rinfocolare il trasporto di un tempo, manifestando l’entusiasmo giusto per buttarsi nella mischia, imponendo così la propria presenza al mondo, quasi palesando che, sì, ci siamo anche noi qui.

Esprimere le emozioni risolute covate in seno è necessario, non solo per evitare tracolli devastanti che potrebbero inficiare sulla nostra persona, ma anche per riuscire a collimare le divergenze tra noi, scendendo a patti e compromessi che solo il coraggio di esternarsi all’altro può generare. Però, è d’obbligo ricordarsi che, ormai, l’età non è più quella di allora: il tempo, in fin dei conti, è giudice e giuria in questo nostro universo, in una maniera tale da vedersi conferito un potere immenso che forse non si merita in toto. Fanciullezza e maturità cozzano in uno scontro senza pari, rendendo lampante l’enorme divario tra le due, ovvia disparità a cui non si può certo far fronte, contigua distanza che, per quanto ampia, non separa del tutto: la bilancia, anche se ben calibrata, non penderà mai verso l’una o l’altra perché è stare nel mezzo l’unico risultato finale della battaglia, la sola verità che è lì, davanti ai nostri occhi, in attesa di noi quando saremo pronti davvero. Dopotutto, solo chi è in grado di vedere aldilà può comprendere effettivamente il di qua.

Sebbene sia un viaggio letterario molto breve e, quindi, ipoteticamente veloce da affrontare, La felicità domestica esprime intensità da ogni suo paragrafo, un vigore permanente su carta che viene riverberato dalla difficoltà della lettura e dall’assimilazione dei concetti, semplici eppure ostici, desunti dalle righe del romanzo: l’uso magistrale delle parole, che non solo traspare dalle descrizioni dei luoghi menzionati nel libro, pittoresche tele definite in ogni loro più piccola pennellata realizzata ad arte, ma anche nel particolare tratteggio che l’autore ha dedicato ai suoi personaggi, una minuziosa panoramica che dona a questo capolavoro in miniatura l’introspezione necessaria affinché il lettore si senta chiamato in causa e partecipi in modo attivo alla scena, sentendosi quasi un personaggio uscito direttamente dalla penna dello scrittore russo, denota la grande abilità di Lev Tolstoj nell’identificare la giusta collocazione dove dislocare in maniera precisa ogni lessema che utilizza, vocaboli che perderebbero di profondità qualora venissero strappati dalla loro posizione e introdotti a forza in qualsivoglia altra parte, luogo che mai potrebbe esaltare il suo occupante come chi legge, famelico, si aspetterebbe.
Di conseguenza, La felicità domestica è un’avventura da sfogliare con calma e concentrazione, 144 pagine di centralizzante presenza che fanno percepire nei cuori del suo pubblico l’enorme mancanza conseguente all’aver raggiunto la parola Fine, un romanzo che, con lo scorrere implacabile dei capitoli, prosciuga di tutto per dare in cambio altrettanto.

L’antico sentimento si è ridotto a una cara rimembranza di cosa senza ritorno, mentre un nuovo sentimento di amore verso i bambini, e verso il padre dei miei bambini, ha segnato l’inizio di un’altra vita, ma ormai ben altrimenti felice, nella quale io migro ancora al momento attuale…

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: La felicità domestica
Autore: Lev Tolstoj
Casa editrice: Fazi Editore
Pagine: 144
Anno di pubblicazione: 2017
Traduttore: Clemente Rebora
Genere: Classici
Costo versione cartacea: 17.00 euro
Costo versione ebook: 9.99 euro
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