Ritornare a leggere e recensire dopo più di un mese di inattività è un po’ come riemergere dai fondali acquifere in seguito a una nuotata compiuta in assoluta apnea, radicale cambiamento di stato nel quale, prima o poi, si viene catapultati senza pietà, autorizzando, infine, quell’obbligato risveglio dal letargo che non avrebbe mai esalato da solo l’ultimo respiro accordatogli dal caso pernicioso di un’eterna stasi dalla nulla sostanza: la percezione di impotenza che attanagliava il mio profondo desiderio di agire bloccava qualsiasi piano di fuga ideato, scappatoie che, ostruite fin dall’inizio della loro genesi, non mi avrebbero mai permesso di visionare il classico e distante fascio di luce in fondo al tunnel, una galleria nero cupo che, priva di qualsiasi speranza di allegria lontana, sarebbe stata in grado di accompagnarmi, in maniera alquanto selettiva, verso l’ennesimo oblio di desolazione e perdita, un fondo del barile da raschiare all’infinito che mi avrebbe di certo dissuaso dal raggiungere un qualsiasi miglioramento al suo orizzonte, completo blackout da cui nessuna preghiera di insita speranza sarebbe riuscita a destarci.
La tristezza sorta di conseguenza ha rappresentato un ulteriore colpo basso da dover subire dritto alla bocca dello stomaco, olio di ricino che, dovutolo ingoiare su costrizione del destino, ha saputo ferire ancora una volta il mio cuore affaticato dagli eventi infausti, l’unico motore principale affinché le emozioni abbiano la possibilità di prendere piede, fronteggiando e sovrastando la razionalità del momento, propulsore indefesso che può indurre a percepire sensazioni differenti a seconda delle scene affrontate durante una spassionata lettura oltremodo piacevole in grado di immortalare istantanee di universi paralleli dove la vita di fantasia sembra reale quanto la nostra.
Capirete, quindi, che il presente Thr33 Words identifica proprio il riscatto di cui avevo un disperato bisogno, un rientro a pieno regime nella giusta carreggiata della blogosfera che, di nuovo, mi accoglie a braccia aperte come se non fossi mai sparita dalla circolazione, splendente strada maestra che sa indirizzarmi verso l’esatta destinazione della mia anima letteraria bisognosa di libertà espressiva, una meta ritrovata per cui devo ringraziare moltissimo sia l’autrice, Laura Cassie, sia la sua opera, Ti prometto la felicità, un piccolo tesoro in copia digitale concessomi dalla sua medesima collana, Literary Romance di PubMe: posso assicurarvi che, in modo del tutto inconscio, il romance, a cui oggi assocerò le tre abituali parole a mio avviso calzanti con il racconto lungo preso in esame, mi ha saputo realmente garantire quella contentezza della quale il titolo stesso si fa suo incondizionato portavoce.

Per i lettori onnivori come il qui presente spirito errante, cambiare genere letterario ogni lasso di tempo è una pratica necessaria per poter sopravvivere alla noia da routine d’abitudine, una tediosa catena di montaggio che nasconde tra le righe l’elevata probabilità di condurre all’esasperazione persino il più santo tra i malcapitati, un docile agnello che, trasformandosi in fiera ingovernabile, cerca in tutti i modi di trovare la salvezza di fronte al non eludibile, un’uscita d’emergenza che, però, stenta a farsi riconoscere nella bruma spessa delle tenebre limitrofe; un’esperienza sulla medesima lunghezza d’onda si verifica anche per quanto concerne il carattere del libro stesso, una tipologia precisa che denota, a seconda delle circostanze, pesantezza o leggerezza intenzionali, opposti che si attraggono rifuggendosi e si disdegnano adulandosi, una lotta sempiterna che differisce nei secoli con la stessa voracità di un affamato da carestia d’indigente portata.
Ed è stato per l’appunto in un simile contesto che io ho optato di smorzare, a grandi linee, quel fastidioso languore, scegliendo nella miriade di titoli a disposizione la favola di Lorena e Matteo per passeggiare indisturbata tra le vie della sua ambientazione toscana, una personificazione di ramingo che mi ha portata a credere di star fronteggiando un’avventura banale e superficiale con i lineamenti caratteristici di un viaggio non richiedente l’attenta concentrazione pretesa in escursioni da Nanga Parbat letterari, montagne dalla dominante arroganza di provare sulla scorza granitica l’esplicita immedesimazione nei calvari personali degli osanti cimentarsi là dove nessuno ha mai tentato l’ardire di esserci.
Quest’idea balzana partorita dal mio cervello forse in ferie anticipate si è rivelata uno sbaglio davvero ignobile, passo falso che, erroneo, non ha impedito a riflessioni poco lusinghiere di cristallizzarsi nella mente della sottoscritta, luminosi pensieri che miravano ad adombrare una fiamma inestinguibile: Ti prometto la felicità ha saputo, infatti, smentirmi sull’intero complesso delle mie sicurezze, birilli impettiti che, dopo essere stati colti in flagrante dalla sfera notturna con tre fori, inevitabilmente sono rovinati al suolo, decretando lo scacco matto a cui non sono riuscita a non arrendermi poiché, attraverso un pugno di capitoli, Laura Cassie ha dispensato una storia forte adoperando, ai limiti del concepibile, una delicatezza da manuale, metodologia astuta che, sebbene possa magari non essere edottamente associata a un ventaglio di argomenti dalla colossale valenza emotiva, grazie al suo essere Delicato e gradevole, evidenzia quella smisurata attitudine in grado di palesare la maestosità nell’elementare, concetti di specie inverse che, affini, si sposano nel breve periodo e si custodiscono intatti nel lungo gemello.
L’eleganza sintomatica della prosa collabora con il sopra descritto affinché lo scorrere delle frasi non vada ad appesantire il pellegrinaggio letterario dell’uditorio, astanti in cerca del niente che si trasforma in tutto, distruggendo il singolo da piena insignificanza: la bellezza di questa mossa da fuoriclasse enfatizza i sentimenti emergenti dal testo, stille di acqua esistenziale che rinfrescano, portando finalmente ristoro, e soffocano nel mentre, togliendo anche l’ultima speranza, fiamma imperitura che, al pari di un giuramento per la vita, continuerà ad ardere solo se i due garanti, vicendevolmente, ci saranno l’uno per l’altra, sempre.

Una delle carte vincenti di un libro affinché venga ricordato dal suo pubblico in quell’oceano brulicante di suoi simili è sicuramente la caratterizzazione a tutto tondo dei personaggi, figli di carta dalla mutevole personalità comportamentale che l’autore ha deciso di perlustrare a fondo, fin nei suoi reconditi meandri dal segreto tratteggio, per presentare al pubblico quel completo sviluppo di cui ogni lettore va inconsciamente in cerca, ricchezza psicologica che getta basi significative per una storia capace così di entrare a ragione in quelle migliori affrontate negli ultimi tempi. Quando un avvenimento del genere dispiega le sue ali in un volo pindarico affiorante dalle nebbie del banale senza spessore, trasformandosi in nitidezza opaca dai margini (s)velati, l’anima errabonda mai sazia di vocaboli, pronta a salpare verso i lidi inesplorati dell’ennesimo nuovo porto a cui attraccare il proprio vascello, percepisce i brividi lungo la spina dorsale, inebriante euforia che, zampillando da ogni poro, travolge l’organismo ospitante, milioni e milioni di cellule qualificate che ricevono in cambio quanto danno e forse di più: la bellezza della cognizione di causa atterra al pari di un incidente frontale, muro di cinta smaterializzato davanti al nostro sguardo terrorizzato che incontra senza troppi complimenti il volto attonito di chi ancora non ha ben compreso in quale situazione si è andato, suo malgrado, a cacciare, un’intuizione così arzigogolata da rivelarsi come un enigma astruso da risolvere, oscuro arcano dal codice genetico misterioso che, una volta spifferato, enfatizza la magnificenza del poco prima nascosto, studio abissale dei sé trovati nella risma dagli usci spalancati per permettere il transito di cuori in attesa da cui, a mano a mano i curiosi si addentrano nella storia ormai non più occulta, emerge una sequenza sconfinati di iceberg per futuri Titanic, scogli elefantiaci che, spiccanti nell’acqua dal cianotico brio, non si possono perdere di vista, sottolineando ciò che rappresentano, amici fruscianti con cui il lettore non può fare a meno di legarsi e nei cui panni calarsi, riflessi allo specchio di una vita dove i margini non più netti ritornano la nostra identica figura, immagine di quel fantomatico sosia che all’universo tutti, si vocifera, dovremmo avere.
Anche sotto questo aspetto, Laura Cassie ha personificato un moderno Guglielmo Tell di fronte all’ennesima mela da infilzare al primo incocco di freccia, donandoci un altro centro da far impallidire addirittura Robin Hood: profondità e intensità sono le reggenti prerogative dei characters di Ti prometto la felicità, individui a dir poco reali il cui background impreziosito di ogni possibile dettaglio non passa inosservato perché il baratro della psiche che esso sfiora prima e stritola poi è così illimitato da assorbire completamente il mondo dell’uditorio in ascolto, modificandolo fin dalla prima radice assestata nel terreno e ponendo, con questo specifico atto di fucina all’opera per plasmare argilla bagnata, l’inizio di una forte e totalizzante empatia, tuffo ad angelo in quelle esistenze all’inizio accennate e in seguito impinguate, realtà sviluppate che si rifrangono nei sentimenti percepiti dalle persone coinvolte, una gamma di colori emotivi che variano a seconda della vicissitudine in atto e della voce narrante implicata, tonalità sgargianti e tenui che si scoprono e si vivono solo in coppia, un due che, a lungo andare, prima di unire e fortificare, può dividere e indebolire in qualsiasi momento, buono o cattivo secolo di un’era alla lontana passeggera. Tuttavia, nonostante le controindicazioni da foglio illustrativo sopra descritte da non sottovalutare nemmeno per scherzo, è meglio munirsi del giusto coraggio poiché questo è il momento di essere e non osare per paura di perdere non è di certo contemplabile: in fin dei conti, è l’istante in corso che deve essere vissuto; del domani non ci deve ancora importare.

Arrivati a questo punto, direi che è giunta pure l’ora di confessarvi un minuscolo segreto denotante, senza ombra di dubbio, una mastodontica superficialità da parte mia, disonorevole neo che potrebbe altamente infangare il mio buon nome di sbranatrice instancabile della carta scritta.
Quando si affaccia all’orizzonte l’istante durante il quale si chiude in maniera definitiva la lettura di un libro, un tramonto romantico che a volte stupisce per la conquista di tonalità sfumate in modo così perfetto da identificarsi quasi con le pennellate di un Monet all’apice della sua carriera artistica, a volte delude per il mancato traguardo delle aspettative nutrite poiché le nuances ottenute non rispecchiano i canoni da noi desiderati, sorge spontanea la necessità di una decisione in merito alla successiva opera da affrontare, l’ennesima realtà parallela che non vediamo l’ora di esplorare in lungo e in largo pur di riuscire nell’impresa di accaparrarci ogni angolo di quel paradiso su piccola scala, dettagli su dettagli che alimentano l’immaginazione della nostra persona, accompagnandola a braccetto verso un’aurora boreale d’indelebile inchiostro: la suddetta prassi di routine è ovviamente adottata anche dalla sottoscritta che, non esimendosi dalla quotidianità dell’essere lettrice, porta fieramente avanti la tradizione del nuovo subentrante al vecchio, inedita alba di vita che rischiara la notte appena conclusa.
Il preambolo così elargito serve a indorarvi la pillola, introducendo con immensa cautela il peccato capitale in cui io sono solita inciampare e cadere, libero arbitrio che, purtroppo, sfoggio con troppa costanza: la verità è che io tendo sempre a dirigere il mio interesse verso quei testi la cui mole non sia né considerevole né limitata, una via di mezzo che di solito risulta essere il connubio perfetto tra quantità e qualità, nero e bianco che solo fusi riescono a sottolineare la propria bellezza di valore aggiunto, un modus operandi che, nella mia carriera di serial killer delle pagine, appare all’ordine del giorno, una sorta di tutela a fronte di possibili delusioni letterarie che ognuno di noi brama ampiamente evitare con qualsiasi mezzo utilizzabile. Ho collezionato una moltitudine pressoché infinita di effettive dimostrazioni comprovanti la mia tesi di partenza, ma scoprire l’eccezione nella selva di alternative è stato un evento assai memorabile. Laura Cassie è stata in grado, infatti, di convincermi che pure un romanzo breve può evidenziare quell’approfondimento solitamente individuabile negli elaborati più corposi, esprimendo con accertamenti di tutto rispetto che una narrazione veloce può non tralasciare alcun particolare, insignificanti macchioline di sviluppo che, sebbene la natura espressa dall’attributo assegnato all’insieme delle stesse cozzi con la loro reale funzione, rappresentano la chiave di volta per un impeccabile prodotto finale: tale celerità, enfatizzata dal ritmo che l’autrice ha deciso di conferire a Ti prometto la felicità, un vertiginoso incedere che permette comunque al suo uditorio di respirare a pieni polmoni e incamerare l’atmosfera di Firenze, manifesta l’abilità della scrittrice nell’usufruire di pochi e semplici lessemi, manciata di parole che riassume due esistenze diverse eppure uguali, da una parte, osannandone l’essenzialità e, dall’altra, arricchendole fino al paradosso.
Dopotutto, perché abbandonarsi a chiacchiere inutili se si può schivare dalla propria traiettoria
un pericolo del genere?

 

 

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Ti prometto la felicità
Autrice: Laura Cassie
Casa editrice: PubMe (Literary Romance)
Pagine: 133
Anno di pubblicazione: 2018
Genere: Romance, Narrativa contemporanea
Costo versione ebook: 2.48 euro
Costo versione cartacea:
Link d’acquisto: Amazon (ebook)
Sinossi: Lorena ha subìto un grave incidente: è stata investita. Per lei è inevitabile, ora, avere il controllo delle proprie giornate, delle ore, di qualsiasi attimo. Programma tutto, annotando con dovizia di dettagli un diario che porta sempre con sé. Ha anche un blog, che aggiorna spesso, dove mette nero su bianco le emozioni, certa che il suo passato non sia poi così diverso dagli utenti che la seguono. Per lei, giovane commessa, nulla può essere lasciato al caso, pena la solitudine. Un giorno, uscendo dal negozio in cui lavora, è letteralmente travolta da un tizio che fa jogging. Si tratta di Matt, un musicista, soffocato dalla recente perdita di un amico e arrabbiato con Dio oltre che con se stesso. Ha bisogno solo di ricominciare, di aprire di nuovo gli occhi e lasciare che torni a scorrere in lui la voglia di vivere e, perché no, innamorarsi. A seguito del loro scontro, Lorena perde il diario e, sorprendentemente, tutti i sogni, i desideri che ha annotato, iniziano ad avverarsi un po’ per volta…