Vi capita mai di avvertire, nel profondo, la sensazione che, in qualche modo, ancora a voi ignoto -e forse arcano lo rimarrà per sempre-, il baricentro del vostro corpo, svigorito dalle esperienze della vita di ogni giorno, risulti fuori dal suo asse d’equilibrio, come se fosse capitato qualcosa nel quando e nel dove che gli ha intimato di girovagare tra le vostre membra, spostandosi alla cieca con malcelata irruzione da caterpillar desideroso di abbattere ogni entità presente sul suo cammino dal futuro già spianato?
Alla sottoscritta, momenti del genere incarnano, malauguratamente, dei sempiterni habitué, usuali facce conosciute che, in maniera ciclica, tornano al punto di partenza con il fastidioso esserci circolante nel loro sangue, il ritrovo tormentato da fratelli di sventura che, insieme a una gravosità sprizzante troppa dinamicità in bella mostra, fanno i voluminosi oneri di casa, entrandovi alla luce del sole con la scortesia tipica dell’imbucato senza convocazione ufficiale di sorta: innanzi ad analoghe problematiche oltremodo scomode, è necessario avere le idee ben chiare per riuscire ad affrontare il toro e prenderlo per le corna, tenendo testa alle conseguenze dolorose che impatti emotivi di una simile fattura possono provocare nelle indoli più sensibili, punching ball eccellenti per ganci destro e sinistro micidiali da fracassa-mascelle e lussa-mandibole.
Ognuno, quindi, deve possedere, nascosto negli anfratti del suo intimo, un lenitivo personale da esibire negli istanti in cui diventa indispensabile giocare il tale asso nella manica per ribaltare la partita in atto e sconfiggere definitivamente l’avversario, uno scontro tra titani per cui verrà sancita la fine solo quando uno dei due re riceverà lo scacco matto, istante scolpito nell’eterno ticchettare dell’orologio, accensione di miccia che invita ad agire e contrattaccare.
Non so quale sia il vostro, ma il mio jolly ha un nome proprio, assai famoso che probabilmente conoscete, almeno per sentito dire: Paulo Coelho, scrittore brasiliano della cui bravura ho appurato l’esattezza a partire da L’alchimista, risma di mera e semplice esistenza nella quale la pace dei sensi e la consapevolezza di sé stessi rappresentano due colonne portanti delle fondamenta solide d’inchiostro, è la cura dei miei mali meglio radicati, maremoti interiori che solo lo stile inconfondibile di questo autore può quietare, rappresentando il famoso sereno che sbuca, in una climax ascendente, tra le nubi nere della tempesta ormai scemata, lontano ricordo di un’era da abbandonare nel pozzo infinito di rimembranze non desiderate.
Nel presente Thr33 Words, mi dedico proprio a Il cammino dell’arco, l’ultima fatica letteraria di un uomo che, con magnanimità e semplicità, avvince i suoi simili a torrenti scroscianti parole in grado di (de)stabilizzare anche l’indefesso trapezista per antonomasia.
Piccolo per definizione e considerato erroneamente insignificante dai più, anche un filo d’erba nasconde, dentro il suo involucro verde speranza, la pura e totale essenza della natura, infinita vastità che, racchiusa in un luogo circoscritto parecchio minuto, riesce comunque a manifestarvisi senza limiti, rivelazione di bellezza sincera che colpisce per la semplicità peculiare di cui si nutre con fermezza, giorno dopo giorno, un’ora qualsiasi che segue la sua precedente gemella, continuo rincorrersi per avere una nuova consapevolezza di sé, ennesima scoperta che aggiunge, ai già notori significati, ulteriori importanti accezioni, sensi unici capaci di arricchire e dar voce a ciò che non è mai stato baciato dall’uso consapevole della parola.
Nell’interminabile vallata di questo campo sprizzante vita ed energia, tra i ciuffi lussureggianti che ondeggiano al respiro diuturno del vento, spicca per magnificenza singolare e luminosità accecante Il cammino dell’arco, un virgulto smeraldo che, pervaso dai caldi raggi del sole, offre di riflesso un’opalescenza indimenticabile, esprimendo un chiarore in grado di fendere il buio assoluto di un cieco alla nascita: le pagine dell’ultimo libro di Paulo Coelho sprigionano l’immensità propria di un intero universo, mondo che, segregato nella carta stampata dagli estesi confini di china, si rilascia progressivamente, primaria lentezza che, goccia a goccia fin dalle iniziali battute, cede, quasi in sordina, a uno tsunami ignorante dei freni, potenza dirompente che, a ovvia conseguenza della sua entità basilare, investe il lettore uno sfogliare meccanico dopo l’altro, molteplici valori che si incontrano e si amalgamano in un’unica preziosa storia spartita fra tanti, attecchire spontaneo di una pianta cognitiva che deflagra in quell’intensificazione esplosiva agognata dagli avventurieri delle sue pagine ebbre di esistenza.
La pienezza delle parole utilizzate dall’autore brasiliano non passa di certo inosservata agli occhi clinici del suo pubblico in attesa, individui erranti alla sempiterna ricerca del sé perduto e oltremodo propensi a ritrovarlo tra quei lessemi frementi che, a spintonate e carezze, in base all’attimo preso in esame, si infilano tra le crepe dell’ospitante anima in pezzi, scrutatrice che accoglie e riceve, spalancando di buona lena le porte, affinché il balsamo offertole da quell’amico tanto caro penetri e rimargini le ferite con la sua connotazione di quieta e paziente culla dove immagini vocaboli e suoni prendono forma e, al pari di frecce scoccate da un abile Robin Hood in fuga dallo sceriffo di Nottingham, trafiggono il bersaglio palpitante, catturandolo all’amo con l’esca succulenta che un cambio di prospettiva coinvolgente può apportare alla solita realtà di sempre. Tuttavia, elargire grandi concetti allegorici in scioltezza non è un’attitudine che si può annoverare con facilità: esclusivamente uno studio attento e l’uso sapiente della dialettica scritta consente di guadagnare vette così elevate, adottando una semplicità che sa disarmare per il suo imprevedibile utilizzo desueto e conosce i tasti da premere per atterrire, bravura inaspettata che emerge quale sorpresa da ricordo scolpito nella memoria a lungo termine.
Come il migliore dei farmaci miracolosi, la penna di Paulo Coelho, coadiuvata dalla resa perfetta di una trama quasi mistica e romantica, agisce subito nell’organismo interessato dal suo raggio d’azione mirato, non appena essa sfiora con delicatezza e agilità la superficie intima del lettore, conduttrice naturale per brividi emotivi di echi lontani, abili espressioni di piacere sopito risvegliante dal letargo dei sentimenti lo spirito di vita che ci mancava: in un battito di ciglia, ci rendiamo conto della mancanza che attanagliava la nostra persona, disturbo di salute che andava peggiorando in maniera proporzionale all’addentrarsi pacato ne Il cammino dell’arco, problema sconcertante la cui gravità non è mai semplice da comprendere visto che la situazione all’opera pesa gravosa sul cuore ricalcitrante all’evidenza, portando, quindi, alla luce piaghe da decubito necessitanti dell’unguento adatto per l’occasione attuale, faccia a faccia con un bersaglio da colpire e nessuna idea geniale per farlo. Gli spettatori, però, non sono in obbligo di impegnarsi per scovare la strategia migliore e rispondere prontamente alla minaccia di contagio poiché è l’autore di Rio De Janeiro a prendere in mano le redini e dirigere lo stallone verso il centro del target.
Sebbene ci si possa concedere ore addizionali per gustarsi le fragranti attenzioni su carta che Paulo Coelho ci dedica durante lo svolgersi del racconto di Tetsuya, minuti che ulteriormente soccorrono noialtri nella digestione senza reflusso delle toccanti nozioni procreate da frasi concise ed esplicite, formule ancestrali che anche nel presente fermano l’attimo e inducono a trattenere il respiro, la tempestività della suddetta assimilazione medicamentosa accompagna a braccetto la velocità della lettura, scorrere inesorabile di pagine che, solerti e dolci, quasi come una genitrice professionale nella messa in atto del suo impiego prioritario richiesto a gran voce dalla prole smaniosa, sospingono, il tempo di uno schiocco di dita, verso il concludersi della climax indotta, lampo abbacinante che, in una manciata esigua di secondi, rischiara a giorno la pece della notte più nera, stordendo da qui all’eternità il testimone capitato per caso e per fortuna sul posto dell’istantanea caduta elettrica, iattura improvvisa che, sebbene la fugacità della sua essenza intrinseca, permarrà nelle notevoli rimembranze dell’osservatore ignaro nel quale un cambiamento drastico vedrà tra breve l’implacabile battesimo del fuoco annunciato: il movimento nel tumulto delle parole in fermento guida a una mescolanza speciale in tutti i sensi, la realtà dell’oggi che si combina al passato di ieri e al futuro di domani, un fondersi vicendevole di periodi a sé che, distanti e differenti, sopraggiungendo da direzioni opposte, si incontrano in un raccordo anulare, bivio di strade che ci consente di riflettere sul pregresso già vissuto e sulla miriade di possibilità in divenire da accogliere, ennesimo apprendimento che è avvenuto all’epoca, avviene ora e avverrà un giorno.
Di fronte al pentagramma ancora vergine, impaziente delle note che lo abbelliranno con scaltra agevolezza, il compositore giudizioso deve prestare l’abbondante concentrazione del caso poiché anche solo un attimo di sbadataggine potrebbe essergli fatale, costando quel prezzo troppo caro affinché il suo portafoglio scevro di pecunia possa sostenerne l’aggravio senza bucarsi irreparabilmente: infatti, per realizzare l’armonia impeccabile, è necessario scegliere con cura assennata ogni abitante del rigo musicale, crome che, silenziose o meno, si alternano alle parenti bis e semibis in un connubio di suoni, attraverso mordenti, trilli e altre figure loro similari, un avvicendamento di tonalità con diesis e bemolli in grado di colorare la realtà seguendo la corrente inclinazione dell’animo, profusione di sospiri tranquilli e respiri concitati che combattono ad armi sguainate per impadronirsi di una fetta territoriale in più. Da abile musicante quale si dimostra in ogni sua opera pubblicata, Paulo Coelho sa bene quanto equilibrare i componenti a disposizione appaia di fondamentale beneficio per il lavoro ultimato, apoteosi d’epilogo dove la fatica e l’impegno culminanti hanno trovato il giusto peso, bilancia che non propende vantaggiosamente verso alcuno dei due piatti, stabilità per l’ennesima volta ottenuta solo dopo aver lungo peregrinato in compagnia di quel discepolo di Tetsuya ingordo di scibile a portata di dardo, personificazione del lettore stesso che, arrivato alla fine, si accartoccia sulla mente affaticata, decisamente più leggera e pesante insieme.
La fulminea brevità utilizzata per elargire con suprema maestria gli insegnamenti che si inalano tramite le pagine de Il cammino dell’arco produce accordi di bellezza eterea quasi primordiale, disincantato giardino dell’Eden dove la pace regna sovrana e i motivi d’aria trastullano le orecchie del viandante letterario, atmosfera magica che, grazie al retrogusto di dolce casereccio, abbraccia le membra provate dei suoi avventori, conducendoli per mano al nirvana dei sensi, armistizio di calma riflessiva dove fermarsi sul serio e riprendere fiato, l’unica sola maniera per conquistare inedite prospettive attraverso cui osservare la vita e parteciparvi in prima persona, protagonista indubbio dei tanti minuscoli elementi di pari importanza dei quali l’esistenza è formata, stupefacenti ovvietà che dispongono della possibilità di ammaliare ogni giorno come nessuno, apprezzamento del vecchio che, eclissato, nuovo compare: la drastica coscienza si ripercuote nelle fondamenta dell’essere, echeggiando come un urlo spaventoso di infausta natura che precede la quiete dopo la burrasca, cielo rischiarato dalle nubi temporalesche pregne di pioggia che, afflitta, ha già lavato via il malcontento generale, un germoglio che nasce tra i rovi e permette alla speranza di rifiorire con esso, esiguo favore che la Madre, accondiscendente, concede senza sforzo. E la soavità del tema si esaurisce nella misura finale, spazio che, tra le due stanghette verticali di appartenenza, perpetuo pulsa di battiti cardiaci, dentro e fuori di noi in un tutt’uno di tregua con l’universo circostante.
Scheda libro
Titolo: Il cammino dell’arco
Autore: Paulo Coelho
Casa editrice: La nave di Teseo
Pagine: 151
Anno di pubblicazione: 2017
Genere: Romance, Narrativa contemporanea
Costo versione ebook: 9.99 euro
Costo versione cartacea: 14.00 euro
Link d’acquisto: Amazon (ebook), Amazon (cartaceo)
Sinossi: Tetsuya è il miglior arciere del paese, ma si è ritirato a vivere come un umile falegname in una valle remota. Un giorno, un altro arciere venuto da lontano lo rintraccia e si presenta a lui per confrontarsi col migliore di tutti. Tetsuya raccoglie la sfida, in cui dimostra allo straniero che non basta l’abilità tecnica per avere successo, con l’arco e nella vita. Un giovane del villaggio ha assistito al confronto, e implora Tetsuya di insegnargli il cammino dell’arco di cui ha tanto sentito parlare.
Il maestro cede all’entusiasmo del giovane e decide di rivelargli i suoi segreti, che non faranno di lui soltanto un bravo arciere, ma soprattutto un grande uomo. Il ragazzo, attraverso una serie di consigli ed esempi, impara così a scegliere con cura gli alleati, a concentrarsi sul giusto obiettivo, a lavorare su di sé con costanza per migliorarsi, trovando la serenità anche nei momenti burrascosi.
Vent’anni dopo il successo mondiale del Manuale del guerriero della luce, Paulo Coelho regala ai suoi lettori una nuova intensa storia di formazione. Un libro, illustrato da Christoph Niemann, che ispira la vita di ciascuno di noi per superare le difficoltà attraverso l’impegno quotidiano, la determinazione e il coraggio di prendere decisioni importanti.
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