Mentre impazzano i preparativi in onore della ricorrenza spaventosa per antonomasia -vi state chiedendo cosa farò io stasera? Beh, se tutto va bene, leggasi come “se finisco il racconto del mese entro un’ora accettabile”, penso mi imbottirò di film dell’orrore, una sorta di tradizione per me, fino a quando non ne avrò un’altra, magari da condividere con il fidanzato-, un momento di comunione fra amici e parenti che, a mio avviso, andrebbe ascoltata un po’ di più e capita decisamente meglio, andando quindi oltre il suo mero essere oltremodo commerciale con maschere e scherzi Made in America, per festeggiare al 100% il 31 ottobre apro i battenti del blog alla rubrica Storytelling Chronicles, l’angolino di scrittura creativa che, iniziato a febbraio di quest’anno quasi per scherzo, sta diventando una vera e propria routine anche per altre personcine volenterose, quanto la sottoscritta, di cimentarsi insieme nella ars scribendi.
Vestendo i panni di un Capitan Ovvio assai lapalissiano, considerato che, al sondaggio per ottobre, abbiamo concordato di adottare nel nostro scritto un’Ambientazione spaziale spettrale -se le idee non scarseggiano, prometto che a dicembre non parleremo di Natale o affini, eh-, stamattina la carissima Simona Busto ci porta con sé in uno spiazzo rischiarato dall’essenzialità di un falò misterioso, fiamme crepitanti i cui segreti nascosti sanciranno il destino di alcune giovani donne come la protagonista Averil, spalancando per loro porte impossibili da varcare sia in solitaria sia assieme.

Creazione a cura di Tania, admin del blog My Crea Bookish Kingdom

 

Alzai la testa a guardare il falò che svettava potente nella radura. Le lunghe lingue rosse e gialle si innalzavano verso le stelle dell’inverno, quelle che i comuni mortali chiamavano Pleiadi.
Avevo rinunciato a un’altra festa per essere lì. Niente buffe maschere da zombie o da vampiro per me quella notte. Niente alcolici bevuti di nascosto dietro la palestra della scuola.
E soprattutto niente Liam Beufort.
Non quella sera.
La notte appena iniziata segnava per me il passaggio senza ritorno dalla vita di una normale sedicenne a quella di qualcuno che nel mondo reale non sarebbe dovuto neppure esistere.
Per me era Samhain, non Halloween, ed era anche la mia iniziazione. La prima volta che avrei partecipato a un falò rituale. La fine di ogni parvenza di normalità.
Certo, avrei continuato a frequentare la scuola e a essere, in sostanza, Averil Dupont agli occhi di tutti. Nessuno avrebbe dovuto avere il minimo sospetto sul potere che di lì a poco avrebbe iniziato a scorrere in me.
Nemmeno Liam.
Soprattutto non Liam.
Sapevo fin dall’inizio che lui non era per me. Adesso era giunto il momento di farmene sul serio una ragione.
Dopotutto non stavamo neppure davvero insieme. Tra noi c’erano stati solo pochi baci. Per quanto il ricordo della sua bocca delicata e feroce insieme fosse ancora vivido nella mia mente, dovevo accettare l’inevitabile. Legarmi a qualcuno che non fosse come me sarebbe stato troppo pericoloso. L’esempio dei miei genitori ne era la prova lampante.
Mentre la notte avanzava e le lingue di fuoco proseguivano la loro danza, la voce della nonna prese pian piano possesso della mia coscienza.
Parole per metà in francese e per metà in una lingua più esotica e misteriosa. Frasi che non avrebbero avuto alcun senso per un estraneo, ma che erano invece molto chiare a chi, come me, era stato cresciuto per l’istante in cui avrebbe potuto usarle.
Quando venne il mio momento avanzai verso il falò a mani tese, i palmi verso l’alto. La mia voce si unì alla litania della nonna. Insieme a quella delle altre iniziate.

Fonte: Pixabay
Artista: Alexas_Fotos

Eravamo in cinque quell’anno, tutte ragazze stavolta. Le conoscevo tutte fin da quando eravamo piccolissime. C’erano le bambine normali, che condividevano le bambole. Poi c’eravamo noi, che condividevamo le sbirciare furtive ai grimori, con la paura che gli adulti ci scoprissero a sbirciare le magie proibite.
A sette anni avevo scoperto l’incantesimo per generare il fuoco. Quando l’avevo pronunciato ad alta voce avevo rischiato di incendiare la chiesa protestante del vecchio pastore Simmons. Per fortuna nonna era vicina, abbastanza da spegnere subito le fiamme.
Ricordavo ancora lo sguardo che mi aveva rivolto allora, un misto di collera, stupore e ammirazione. Ne avrei compreso il significato solo molti anni dopo, appena iniziato l’addestramento.
I pensieri rischiavano di distrarmi e di compromettere la riuscita della mia iniziazione. Li scacciai con rabbia. Sapevo bene quanto fosse importante per tutte noi.
Le streghe, a Belfidal così come in tutta la Virginia, erano sempre meno. Una stirpe in via d’estinzione. Io dovevo riuscire nel mio intento.
Lasciai libera la mente. La svuotai di ogni ragionamento. Finché anche le percezioni corporee parvero svanire in una nebbia ovattata.
Esisteva solo il fuoco, la mia voce che però non pareva più appartenermi e la magia che dalla terra confluiva in me attraverso le parole antiche. La sentivo come mai prima, potente e pericolosa, ma anche splendida.
Era una percezione inebriante, che mi portava vicina al limite dell’autocontrollo. Dovetti riattivare la mente per un istante, abbastanza a lungo da ricordare le parole della nonna: «Tu la sentirai diecimila volte di più delle altre. Se non la controlli ti consumerà, fino a ridurti in cenere. Lotta per restare in te, prima di ritrovarti a essere anche tu uno di quegli spettri che stiamo evocando.»
Con un brivido ricacciai la memoria in un angolo della coscienza.
Non avevo mai smesso di salmodiare, nemmeno per un secondo, ma non sembrava bastare. Le altre voci si erano arrestate all’improvviso. Sapevo cosa significava: il velo tra i mondi per loro si era già squarciato.
Io sola continuavo a provare, sostenuta dalla magia di mia nonna.
Perché? Perché nonostante il mio potere venisse definito incommensurabile, la porta non si apriva per me?
Un moto di rabbia mi travolse. Lo sentii sconquassarmi. Incontrollabile. E con quello il consueto potenziamento immediato della magia. La furia da sempre era il mio modo d’incanalarla. Il più pericoloso di tutti era proprio quello che mi era toccato in sorte. Dovevo soccombere alle mie emozioni più oscure per riuscire.
Strinsi i denti finché le mascelle non mi fecero male, nel tentativo di mantenere la concentrazione.
Poi eccola finalmente apparire.
La litania era cessata, le fiamme svanite. Eravamo solo io e quella diafana lingua azzurrognola che pareva inghiottire la notte. Al suo centro una figura più scura, indistinta, dai contorni sfumati e vaghi.
Inghiottii il nodo che mi serrava la gola mentre la guardavo avanzare rapida verso di me.
Paura e speranza si mischiavano nella mia anima. Non c’era modo di sapere chi avessi richiamato dal mondo dei morti.
Quando si fermò a pochi centimetri da me un’ondata di gelo mi squassò le membra.

Fonte: Pixabay
Artista: Free-Photos

Rimasi a fissarla e dalla figura mi parve provenire un sorriso gentile.
«Mamma?» azzardai, mentre di nuovo l’assurdo canto della speranza lusingava il mio cuore.
Il sorriso si tramutò in un ghigno malefico, mentre una mano guizzava fuori dalla fiamma azzurra e mi artigliava il polso.
«No, piccola. La tua anima e i tuoi poteri non sono abbastanza affini per richiamarla. È me che hai evocato in questo mondo. Io sarò la tua mentore e la fonte del tuo potere. Io… Martine Duval.»
Le mie vene si tramutarono in ghiaccio. Martine Duval… la strega folle che aveva sterminato interi accampamenti di soldati, prima di finire bruciata sul rogo nel 1813.
Era colpa sua se le congreghe avevano dovuto vivere nascoste e nella menzogna per tutti i secoli che erano seguiti al suo passaggio in questo mondo.
Martine Duval: la strega che non ci era neppure concesso nominare.
Lei sarebbe stata la mia mentore. Il mio vincolo tra il mondo dei vivi e quello dei morti. La vera fonte del mio potere.
Il panico mi attanagliò la gola. Per un attimo ebbi il malsano pensiero di respingerla, di impedirle di riversare il suo potere in me.
Non mi era concesso. Rifiutare un mentore avrebbe significato attirare l’ira delle streghe e degli stregoni defunti e portare la calamità sulla nostra congrega.
Chiusi gli occhi e cercai di dimenticare quegli occhi folli che parevano così incongruamente reali nonostante tutto il suo aspetto fosse a malapena discernibile.
«È inutile, tesorino» ghignò lei. «Per oltre due secoli ho atteso qualcuno che fosse degno di me. Sei la sola che abbia mai mostrato una vera affinità con il mio potere e con la mia anima. Ora non puoi sfuggire al tuo destino. Non te lo permetterò mai.»
Riaprii le palpebre di scatto e fissai il polso che ancora teneva stretto tra le dita. La mia pelle scura sembrava carbone sotto quelle dita spettrali. «Va bene. Facciamolo!» la sfidai. Indovinavo le sue intenzioni: sperava di sopraffare la mia volontà di adolescente per poter prendere possesso del mio corpo. Martine Duval voleva tornare e servirsi di me per seminare di nuovo morte e terrore.
Non glielo avrei permesso. Sarei stata io la più forte! Non ero la fragile ragazzina che lei sperava.
Emise una risatina sommessa. «Molto bene. Ora, come è previsto dal rito, ti darò qualcosa che è stato mio quando ero di carne e sangue. Voglio farti un dono prezioso. Sono certa che ti piacerà.»
Si piegò verso di me e io sentii il gelo intensificarsi mentre sussurrava: «A presto, piccola Averil.»

Fonte: Pixabay
Artista: Mihail_hukuna

Un istante, meno di un battito di ciglia, ed era svanita.
La radura era tornata a essere illuminata dalle lingue di fuoco che salivano dal falò. Il silenzio, interrotto solo dal crepitare delle fiamme, era quasi irreale.
Mi voltai a cercare mia nonna e la vidi paralizzata dal terrore. Lei sapeva. Aveva visto e sentito.
Le altre ragazze non c’erano più, solo gli anziani. Quanto tempo ero rimasta sospesa tra la vita e la morte? Nessuno, a parte la nonna, sembrava consapevole di quanto accaduto. Aspettavano con un sorriso speranzoso sul volto.
Tornai a guardare le fiamme. Non vedevo nulla di diverso dal solito né sentivo oggetti sul mio corpo vestito di una semplice tunica bianca. Dov’era l’amuleto della strega? Non pareva esserci traccia del legame stabilito con Martine.
Poi, con la coda dell’occhio, vidi un movimento a lato del falò. Sembrava che un pezzo di notte si fosse staccato dallo sfondo e avanzasse verso di me. Era nero e si muoveva con grazia pericolosa.
Sbattei le palpebre, ma non riuscii a distinguerlo finché non ebbe le fiamme alle spalle. Sussultai. Un grosso gatto nero? Possibile che fosse davvero questo l’amuleto? Una creatura viva?
Il felino si mosse indolente verso di me, poi si fermò a pochi centimetri dalle mie gambe.
Un soffio e una fitta dolorosa alla gamba. Sentii il sangue colare sulla pelle nuda.
Non ebbi neppure il tempo di emettere un gemito che la figura davanti a me era già cambiata.
Un uomo alto, snello e bellissimo mi stava di fronte. Gli occhi verdi che sembravano quasi gialli. I capelli corvini gli incorniciavano il viso e gli lambivano le spalle. Nude, come tutto il resto.
Arrossii a quella vista, ma la paura ebbe il sopravvento sull’imbarazzo e la fascinazione. Stavo iniziando a capire.
«Buonasera, mia cara» esordì lo sconosciuto con una voce lieve e gradevole come il suono delle fusa di un grosso gatto. «Piacere di conoscerti. Mi chiamo Alain Cauchemort. Sono stato l’adorato famiglio di Martine e ora… sono il tuo.»
Il suo sorriso si allargò a mostrare i denti bianchissimi.
La sua vista mi provocava una fitta pungente al petto, così come le sue unghie me l’avevano procurata alla carne.
Il mio famiglio mi terrorizzava.

Fonte: Pixabay
Artista: SzaboJanos

 

Copyright © 2020 Simona Busto
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Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autrice o, se reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.