Visto che devo camuffare, in tutto e per tutto, il mio evidente ritardo nel dare un contributo sostanzioso alla rubrica di scrittura creativa che ho avviato da, ormai, due annetti circa -da quanto tempo non appaio su questi schermi nella presente veste di finta autrice che impersona un’esperta dei molto povery nel creare frasi di senso compiuto in cui le parole trovano un appiglio nel cuore pulsante dei loro lettori? Tantissimi mesi, direi anche troppi, se me lo concedete! Arrivata a oggi, dopo settimane di silenzio causate perlopiù dalla triade trasloco, pigrizia e mood così altalenante da far venire il mal di mare pure a un navigato professionista delle onde, ho capito che è giunta l’ora di rimediare, costi quel che costi: ergo, considerato il mio desiderio di ritornare sulla carreggiata adempiendo a ogni incombenza da me scelta e a me commissionata, incrociate le dita, sia delle mani sia dei piedi, affinché riesca a regalarvi un piccolo testo per il pomeriggio! Niente paura, non sarà horror, sebbene una vibe del genere non avrebbe certo sfigurato durante l’attuale periodo dell’anno… Festeggerete Halloween, a proposito? Qui abbiamo addirittura intagliato una zucca!-, ringraziando la carissima Susy del blog I Miei Magici Mondi per la seconda chance che mi ha concesso per la mancata riuscita nel programmare l’articolo prima dello scadere di ottobre, vi annuncio che stamattina, per Storytelling Chronicles, La Nicchia Letteraria ospita, di nuovo, la talentuosa Anne Louise Rachelle e il suo La casa, le zucche e i marron glacé. Per l’argomento concernente il duo tonalità Arancione e Castagne, la scrittrice del romanzo targatoGenesis Publishing di Sunrise ci dona un altro episodio della dolce coppia Morrigan/Connor: direi che leggere della rossa e del marinaio è un bel modo di trascorrere la giornata in attesa del mio parto con travaglio lampo, non credete?

Creazione a cura di Tania, admin del blog My Crea Bookish Kingdom

 

Fonte: Pexels
Artista: James Wheeler
Elaborazione grafica: Anne Louise Rachelle

 

Morrigan

Non dovevo lasciarmi prendere dal panico, anche se la tentazione era enorme! Tuttavia, sentivo che non potevo mollare, non adesso che avevo ricevuto il benestare del padrone di casa per far rivivere una tradizione antica come il mondo… e va bene, non era proprio così antica, ma insomma, tornare a festeggiare Halloween dopo due anni di pausa forzata per me era come rinascere per la seconda volta. Forse penserete che è una festa per bambini, che sono infantile ad adorarla così tanto, ma se anche voi aveste conosciuto nonna Isabelle e mamma Moira, non mi avreste mai presa in giro! Al contrario… avreste pagato oro per essere al mio posto…
Ed eccomi qui, un po’ timorosa, ma un sacco felice, mentre trasportavo all’interno della casa della nonna una zucca dopo l’altra. Avevo dovuto costringere Benny il contadino ad andarsene per non approfittare oltre della sua gentilezza. Erano tre in tutto, talmente arancioni da sembrare fatte di fiamme vive: avrebbero fatto un figurone con all’interno le candele accese.

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Artista: Sasha Prasastika

Una volta chiusa la porta d’ingresso mi sedetti di peso su una delle zucche, la più grande, e tirai un sospirone. La parte faticosa era stata conclusa con successo! Mi tolsi la sciarpa, sventolandola come un ventaglio d’altri tempi. L’aria autunnale era già molto frizzante, ma lo sforzo fisico me l’aveva fatto dimenticare… eh no, non dovevo essere un bello spettacolo in quel momento: rossa in viso, i capelli scarmigliati – ma questa non era una novità –, il giubbino cascante su una spalla e un debito d’aria degno di un campione di apnea, nemmeno avessi ottant’anni.
Un colpo educato di tosse attirò la mia attenzione. Alzai di scatto il viso e mi resi conto di non essere più sola… in tutto il mio “splendore”. Connor era in piedi di fronte alla porta della cucina, una spalla appoggiata allo stipite e le braccia incrociate sul petto. Mi fissava con un sopracciglio alzato, mentre un angolo della bocca si piegava all’insù. Non l’avrebbe ammesso facilmente, ma era divertito e io lo avevo notato. Cercai di dimenticare che la fonte del suo divertimento fosse la mia goffaggine, ero sempre felice quando riuscivo a scorgere questi segni di cedimento da parte sua. Mi ero abituata al suo essere sempre composto, marziale, intransigente. Soprattutto con se stesso.
«Ciao!» esordii in maniera del tutto originale, dandomi subito dopo della stupida. Ma non era neppure questa una novità. Nell’ultimo mese e mezzo avevo avuto modo di sperimentare ogni tipo di imbarazzo e brutta figura con lui… e ormai me ne stavo facendo una ragione. Fin da quando lo avevo incontrato sulla mia-sua casa sull’albero, non ero più riuscita a pensare lucidamente in sua presenza… o quasi.
«Ciao…» cantilenò Connor. «Eravamo d’accordo per una zucca non per una piantagione intera…» Eccolo il solito precisino!

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Artista: Anna Tukhfatullina Food Photographer/Stylist

«Credimi, se avessi portato l’intera piantagione starei ancora facendo il facchino! Solo che non sapevo quale scegliere tra queste… la nonna lo diceva sempre…»
«Se non sai quale decisione prendere non la prendere… si prenderà da sola!» Mi anticipò lui, con la sua voce profonda ma meno graffiata. Diciamo che l’avevo costretto ad esercitarsi un po’ nell’attività oratoria, non che fosse diventato un chiacchierone eh, ma non potevo più lamentarmi.
«Proprio così, queste zucche mi hanno scelta!» ribattei sbatacchiando le ciglia melliflua. Poi, mi avvicinai a lui e gli presi una mano. In quelle settimane avevo imparato che non dovevo trattenermi dal fare ciò che il mio intuito mi comandava… anche se a volte si trattava di gesti un po’ fuori le righe, ciò nonostante, anche Connor vi si era abituato e non sussultava più come i primi tempi. Era come se avesse compreso che non si sarebbe potuto liberare di me neppure se lo avesse voluto. Un bel passo in avanti, oserei dire!
«Come stai?» gli chiesi piano, adesso seria. Lui mi guardò con la sua solita intensità e strinse le dita grandi attorno alla mia piccola mano.
«Sto bene. Ho bollito e sbucciato le castagne come mi hai chiesto… ma ci ho messo tutto il giorno! Hai intenzione di sfamare con i tuoi marron glacé tutto il paese?»
«Che polemico che sei! So che sono dolci complicati ma il risultato finale è sublime… e farne solo un paio non sarebbe giusto, faremmo un torto al nostro palato! E poi, un po’ di dolcezza in più non ti farebbe male…» I nostri battibecchi erano epici e si concludevano sempre con una mia linguaccia o una sua occhiata levata al soffitto. Ridacchiai e mi lasciai condurre verso la cucina. Il profumo delle castagne era inebriante, forse perché le avevamo raccolte solo il giorno prima dal “nostro” castagno. Grazie alla casa sull’albero eravamo riusciti a raggiungere le più grandi: io facevo la scimmietta e Connor mi teneva il cesto in cui facevo centro. Al ricordo del suo viso preoccupato a ogni lancio rischiai di scoppiare a ridere di nuovo. Certo, beccarsi un riccio in testa non sarebbe stato tanto piacevole, ma ero stata mooolto attenta! Uomo di poca fede!

Fonte: Dolci Veloci

Che Connor fosse meticoloso – per non dire maniaco-compulsivo – lo avevo scoperto già da tempo, ma ogni volta riusciva a stupirmi. Aveva predisposto le castagne perfettamente allineate in due vassoi, pronte per la fase successiva. La cucina era pulita e in ordine, mentre il bricco di rame per il tè stava quasi per fischiare: sapeva che sarei tornata a breve.
«Un giorno mi spiegherai come fai… e dici di non avere poteri magici!» lo stuzzicai, incapace di sciogliere l’intreccio delle nostre mani, anche se entrambi eravamo di fronte al piano cottura, immobili. Sarebbe potuto diventare un momento imbarazzante, ma non accadde.
«Sei tu la streghetta non io. Io sono solo bravo a fare i calcoli…» mi rispose serafico e non potei dargli torto. Appoggiai il capo sul suo braccio, alla spalla non ci arrivavo proprio, e maledissi il bricco che iniziò a strepitare proprio in quell’istante.
Mi aspettavo che Connor si muovesse subito, ma non lo fece. Restò fermo per qualche secondo di troppo, come se anche a lui non dispiacesse quella posizione. Poi, l’incanto finì e lo lasciai andare… ma non troppo lontano.
Lui versò l’acqua nella mia tazza preferita, con tanto di gatto nero miagolante, mentre io arraffavo alcune foglioline di menta essiccata, aghi di rosmarino ed essenza di lavanda. Da nonna Isabelle avevo imparato alcune combinazioni terapeutiche, ma le usavo solo al bisogno, in tutti gli altri casi mi lasciavo trasportare dal gusto.
«Potresti provare ad assaggiarla, anche solo per farmi contenta!» Connor si era seduto sullo sgabello alto della penisola, con la sua tazza di caffè nero tra le mani. Era una bevanda che gli si addiceva a dirla tutta, ma adoravo pungolarlo e quel sopracciglio costantemente alzato mi faceva impazzire… No, cioè, non nel senso che immaginate, sì, ok, un po’ anche in quel senso ma non al cento per cento! Pff!
«Le tisane ed io non andiamo molto d’accordo, lo sai… però mi piace guardarti mentre le prepari. Ti mancano solo cappello e pentolone e saresti in pieno stile Halloween!» Mi stava prendendo in giro?
«Esci da questo corpo, tu non sei Connor!» replicai con le mani alzate e le dita incrociate a mo’ di vade retro, facendolo scoppiare a ridere. Quello sì che mi lasciò a bocca aperta, gli occhi sgranati e un languore al centro dello stomaco. Mi ripresi in fretta, non volevo che lui si rendesse conto dell’effetto che mi faceva… un misto di tenerezza e felicità incredibile.
Le ore successive trascorsero serene, mentre io mi applicavo con lo sciroppo per i marron glacé e lui intagliava le zucche con un’abilità sopraffina. Di solito la mamma Moira si occupava delle castagne e io delle zucche, mentre nonna Isabelle preparava le candele profumate, anche quelle fatte in casa. Invece, quest’anno, sarebbe stato tutto diverso… nonna mi aveva confidato che Connor era l’addetto alle zucche, riusciva a creare espressioni spaventose e realistiche, perciò, nel ripartire i compiti ne avevo tenuto conto. Lo avevo sbirciato tutto il tempo di sottecchi, rischiando una volta di bruciarmi con lo sciroppo bollente. Era ipnotico. Forse perché conoscevo quei movimenti, visto che erano gli stessi che eseguivo per lavorare il legno; forse perché aveva alzato le maniche del maglioncino sugli avambracci e io non riuscivo a smettere di fissare le vene in rilievo per lo sforzo… insieme alle cicatrici sparse. Alcune erano sottili e chiare, altre erano più spesse e rosse, a indicare quelle più vecchie e quelle più recenti.
Schegge. Quella parola continuava a rigirarmi nella mente, da quando mi aveva raccontato il motivo del suo congedo permanente e perché aveva deciso di tornare a casa.
Solitudine. Ecco cosa andava cercando e invece aveva trovato me sulla sua strada.
Un caso? Una coincidenza? Oppure un progetto ben congegnato? Ero più propensa a credere nell’ultima ipotesi. Nonna Isabelle me lo aveva confermato a suo modo.
«Finito!» La voce di Connor mi distolse dai miei pensieri, facendomi sussultare. Fortunatamente avevo terminato il lavoro con lo sciroppo. Lui fissò prima me e poi le zucche, in attesa di un mio commento, così mi costrinsi a non deludere quello sguardo che doveva essere molto simile a quello del Connor bambino di cui nonna Isabelle era tanto innamorata. Mi avvicinai al suo sgabello, osservando con attenzione il suo lavoro.
«Nonna aveva ragione, sei bravissimo! Un talento naturale!» Spostai i miei occhi nei suoi, mare e terra, cielo e abisso. Lui pareva trattenere il respiro, intuendo cosa avevo fatto.
«Dici la verità, di solito ti occupavi tu di intagliare le zucche…»

Fonte: Pexels
Artista: Monstera

Io sorrisi birichina. «Credimi, le mie creazioni non si avvicinano neppure alla bellezza delle tue. Ho fatto bene a fidarmi della nonna!» Sbattei le mani felice, potevo sentire il cuore pulsare nella gola.
«Avrei dovuto capirlo dal disastro che hai fatto con lo sciroppo!» mi canzonò lui, fintamente altero. Era il suo modo di dirmi grazie ma io risposi come da rito: gli feci una bella linguaccia dispettosa. Tuttavia, non mi sfuggì un lampo di tenerezza balenato nel suo sguardo nero come la notte. Due pezzi di carbone dolce.

Connor

Le zucche erano pronte, con tanto di candele profumate all’interno. Il primo strato di sciroppo aveva fatto il suo dovere sui marron glacé. Le decorazioni iniziavano a spuntare un po’ per tutta casa.
Ero stanco. Le mie ginocchia e la mia schiena urlavano pietà. La giornata era stata lunga e intensa, ma non volevo che terminasse. Morrigan era ancora indaffarata, sembrava un folletto, operoso e instancabile, ma intuendo il mio stato mi aveva costretto a sedermi sulla poltrona con la minaccia-promessa che l’indomani mi sarebbe toccato appendere le finte ragnatele negli angoli più alti, perché – che diamine! – il lavoro non poteva farlo tutto lei. E io avevo acconsentito, adeguandomi a quel gioco di cui entrambi andavamo fieri. Lei fingeva di non preoccuparsi per la mia salute e io fingevo di non accorgermi della sua preoccupazione. E così, avevamo raggiunto un equilibrio, in cui, piano piano, l’imbarazzo della mia condizione era venuto meno… sopraffatto dalla gratitudine verso quella ragazza tutta pepe. Sembrava più giovane dei suoi ventidue anni, nonostante avesse sofferto molto fin da bambina, non aveva perso la sua ingenuità, la sua gaiezza, la sua purezza. Forse era per questo che le avevo permesso di fare breccia nella mia corazza ben collaudata. Mi aveva raccontato del suo passato, della sua vita in orfanotrofio, di come mamma e nonna l’avessero presa in simpatia fino ad arrivare ad amarla. L’adozione non era stata ufficiale, ma come stimate volontarie della casa-famiglia del nostro piccolo paese, non avevano avuto molte difficoltà a farle trascorrere più tempo nella loro casa.
«Non ti sembra che sia arrivato il momento di tirare il fiato?¬» la redarguii bonario, bloccandola per un polso all’ennesimo passaggio in volata davanti alla mia poltrona: mi stava per venire il mal di mare, il che era tutto dire visto il mio passato da marinaio. Morrigan rimase sorpresa dal mio gesto repentino…
«A volte dimentico che sei un super soldato e i tuoi riflessi mi fanno paura!» disse di getto, senza pensare alle eventuali conseguenze del suo dire… che parvero affollare la sua mente proprio un instante dopo. «Sì, cioè, insomma… volev…»
«Il fatto che abbia un po’ di metallo sparso nel corpo non significa che mi sono ridotto a un catorcio…» avevo parlato con forte ironia, esibendo un sorriso sghembo da maestro. Non doveva sentirsi a disagio, mai, perché era proprio la sua spontaneità ad avermi conquistato. Oh, beh, nel senso che la apprezzavo perché non aveva filtri, senza secondi fini… ovvio!
«Giusto! Me ne ricorderò d’ora in poi!» rispose lei, sollevata dal mio tono scherzoso. Obiettivo raggiunto. «Che ne dici se ordiniamo qualcosa da mangiare prima che vada? Si è fatto super tardi ed è improbabile che riesca a cucinare qualcosa di decente…»
«Direi che è un’ottima idea, ma anche che non vai da nessuna parte. Puoi dormire qui stanotte e fino alla festa. I preparativi sono stancanti e occupano tutto il giorno…» La mia non era stata una proposta ponderata e questo era molto strano per me, abituato a controllare ogni singola sillaba che usciva dalla mia bocca. Mi resi conto di aver ancora le dita strette attorno al suo polso sottile, le fissai per qualche attimo ancora prima di sciogliere la presa, in attesa di una sua risposta. Cos’era quel lampo di delusione nello sguardo di Morrigan? Non voleva restare? Oppure non voleva che interrompessi il contatto?
«Va bene, resto, anche se dovrai di nuovo prestarmi qualcosa di mamma Moira, non mi sono portata nulla di utile dietro…»
«Era impossibile con tutte quelle zucche appresso!» la rimbeccai.
Lei mi diede un colpetto sul braccio in segno di protesta. «Se non fosse stato per Benny, il contadino che mi ha accompagnata fin qui, caricando bicicletta e zucche sul suo furgone, non ci sarei mai riuscita! Figurati se avessi potuto portarmi dietro una valigia presagendo il tuo invito!»

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Artista: Mathias P.R. Reding

«Non è colpa mia se ti ostini ad andare a caccia di zucche con la bicicletta! Dici la verità, sapevi che Benny avrebbe ceduto al tuo fascino…» La verità era che se a lei piaceva stuzzicarmi cento, io mi divertivo mille a fare lo stesso, ma cercavo di non darlo troppo a vedere, avevo comunque una reputazione da difendere. Più o meno.
«In effetti ha sempre avuto una cottarella per me, pensi che sia stata perfida ad andar lì consapevole che mi avrebbe offerto un passaggio? Oltre al fatto che la terza zucca me l’ha anche regalata… sono una persona orribile…» Lo sguardo di Morrigan cadde sui suoi piedi, era davvero abbattuto, mentre io ero sorpreso: pensava ciò che aveva appena detto? Non era uno scherzo? Sì, era sinceramente preoccupata e non fu facile soffocare il potente istinto di abbracciarla.
«Morrigan, non è un reato ciò che hai fatto, né ti rende meschina o perfida… secondo me sei stata dolce a regalargli un po’ del tuo tempo e il fatto che ne abbia ricavato anche tu un beneficio è una cosa buona.» La stavo consolando, proprio così. Io, Connor-statua-di-marmo, stavo consolando una ragazza. Non potevo crederci. Neppure quando le feci segno di sedersi sul bracciolo della poltrona per averla più vicina. Strinsi le mie dita alle sue e sospirai, ma mi resi conto che lei invece aveva smesso di farlo. «Tutto bene?» chiesi allarmato e alzai la testa per controllare il suo stato, trovandomi a pochi centimetri dalle sue labbra dischiuse… dai suoi occhi lucidi…
“Non puoi farlo, Connor! È tutto assurdo, è solo la situazione strana che si è creata. È colpa del caminetto acceso che fa guizzare le fiamme nelle sue iridi; del profumo di castagne e candele speziate; del suo respiro assente come se fosse in attesa di qualcosa… Non puoi farlo, rovineresti tutto, perché non sai ciò che lei vuole…”
Non feci in tempo a completare queste riflessioni perfettamente sensate, perché Morrigan decise per me, spazzando via ogni dubbio o esitazione. Poggiò le sue labbra sulle mie. Premette appena e potei sentirla tremare. Così le presi il volto tra le mani, impedendole di allontanarsi e dandole un assenso che valeva mille sì urlati a squarciagola. La baciai piano, senza fretta, assaporando ogni centimetro di labbra morbide. Sapeva di zenzero e cannella, doveva aver mangiato i biscotti della nonna anche se si era ripromessa di lasciare gli ultimi per l’indomani. Sorrisi, e anche lei lo fece, ritrovandoci denti contro denti. Morrigan sembrava aver intuito il corso dei miei pensieri… e diceva di non saper prevedere le cose!

Fonte: Pexels
Artista: Monstera

«Mi sono tradita, vero?» mi chiese in un sussurro, consapevole di essere stata colta quasi in fragranza di reato. Io annuii deciso, ma senza lasciarla andare… non ancora. «Non resisto a quei biscotti, sono come una droga per me… aspettare fino a domani sarebbe stata una tortura!¬» si giustificò con tono cantilenante, prima di rannicchiarsi contro il mio petto. Sapevo che i biscotti erano solo una scusa, che cercava di calmare il battito del cuore e di far entrare aria nei polmoni. Come lo sapevo? Perché io stavo facendo lo stesso.
«Domani ne faremo ancora…» la rassicurai, ma senza specificare altro. La mia era una frase volutamente ambigua, biscotti e baci in fondo si abbinavano bene a tipi come noi: una streghetta dai capelli rossi e un marinaio un po’ burbero e acciaccato.
«Sì, tanti altri…» replicò Morrigan, la bocca premuta sul mio maglioncino e la voce emozionata. Aveva colto il messaggio e mi aveva dato la sua risposta, potevo ritenermi soddisfatto.
Quant’è bella giovinezza,
che sì fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
del doman non v’è certezza.

Questi versi, letti chissà dove e quando, arrivarono come per incanto tra i miei pensieri, dandomi la certezza che Qualcuno lassù era soddisfatto di quanto era appena accaduto. Morrigan non era arrivata per caso alla casa sull’albero, non era entrata per caso nelle vite di nonna Isabelle e mamma Moira, non aveva goduto per caso di quell’amore immenso. Tutto, fin dall’inizio, era stato scritto nelle stelle e io cominciavo a intravederne i contorni…
“Nonna, mamma, quando vi ci mettete siete impossibili ma… io vi amo lo stesso… anzi di più. Grazie.”

 

Copyright © 2021 Anne Louise Rachelle
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Fatti e personaggi di quest’Opera sono frutto della fantasia. Pertanto, ogni somiglianza a persone reali e vicende realmente accadute è da ritenersi puramente casuale.