Vi è mai capitato di essere talmente assuefatti a un impegno periodico da non rendervi conto che, quando, per un fuoriprogramma o per mancanza di tempo, siete obbligati a fare un passo indietro, alla vostra persona manca quasi come l’aria, nonostante fino al giorno prima non aveste scommesso una lira in tal senso perché, complice la vostra pigrizia innata, oziare più del normale è il vostro sogno recondito?
Beh, questo è ciò che provo a riprendere in mano la rubrica Storytelling Chronicles dopo cinque mesi di silenzio stampa sul fronte scrittura creativa.
Mentre vi assicuro che ho tutta l’intenzione di recuperare gli appuntamenti mancati pubblicando i testi assenti con la giusta calma e la dovuta cura, stasera, durante la notte più terrificante dell’anno, pubblico su La Nicchia Letteraria il mio racconto di ottobre in cui mi è stata assegnata da Christine la coppia Castagne e Foglie: sebbene sia contenta di essere riuscita a darvi in pasto il sottostante parto con travaglio di circa trentasei ore, come mio solito non sono molto convinta del risultato da me ottenuto, forse perché avrei voluto essere meno stringata o forse perché avrei dovuto scegliere parole più mirate, fatto sta che, alle 23 passate, sono qui a chiedermi se vale davvero la pena mostrarvi la piccola parentesi narrativa alla quale ho pensato per questa volta oppure no.
Starò, quindi, facendo la scelta corretta? Diciamo che lascio rispondere a voi, però sappiate che, per scrivere le due paginette scarse di questo 31 ottobre, ho preso ispirazione dalla mia infanzia, quando io e la mia nonna materna passavamo i pomeriggi assieme e vivevamo le nostre avventure, tra un dialogo in bergamasco e la raccolta di frutti vari ed eventuali. Ah, che ricordi! Non so se sono pronta a questo viaggio nella memoria: anche se mi manca tantissimo e, perciò, rivivere i bei momenti andati non sarebbe malaccio, sono davvero poco coraggiosa, mea culpa.

Creazione a cura di Tania, admin del blog My Crea Bookish Kingdom

 

Seduta su un ceppo dall’età decisamente avanzata, Irma Rinaldi osservò la nipote raccogliere le castagne. Stava rientrando al casolare dopo essersi presa cura dell’orto quando l’aveva notata, rannicchiata sul gradino di accesso alla veranda, la piccola testa appoggiata sulle ginocchia strette al busto. Non l’aveva guardata dritto negli occhi, ma sapeva che aveva pianto. Qualche settimana prima aveva cominciato la scuola elementare e, fin da subito, a causa del suo aspetto fisico talmente scheletrico da parere anoressica o bulimica, era diventata oggetto di scherno da parte dei suoi compagni di classe. Scuotendo la testa con esausta rassegnazione, a seguito di una piccola pausa nel suo blando incedere, le si era avvicinata e, prendendola in braccio, senza dire alcuna parola, l’aveva condotta nel boschetto dietro la sua dimora, oltre il campo adibito alla semina del grano. Avevano camminato per un buon chilometro prima di arrivare al solito posto di raccolta dove due gerle a intreccio rado, adibite al trasporto dei frutti, le attendevano, smaniose di essere riempite fino all’orlo.
«Nonna, tu sai perché mi odiano?»
Le parole erano state solo sussurrate, ma, anche se un po’ dura d’orecchi, l’anziana signora le sentì così distintamente da destarsi subito dal flashback di qualche ora prima.
«Nessuno ti odia, Lucille», disse con voce pacata eppure ferma. Non voleva che la sua principessa cominciasse a farsi strane idee su di sé.
«Ma allora perché mi dicono sempre che sono ossa per cani?»
Girando la testa in direzione della donna che l’aveva cresciuta, aveva alzato leggermente il tono, senza però rompere, in qualche modo, la sacralità del luogo. Le era stato insegnato a nutrire rispetto verso tutte le creature viventi, lo aveva imparato al primo colpo come la brava bambina che era e voleva essere. Eppure, avrebbe voluto rompere la calma apparente concedendo al vulcano rabbioso nel suo cuore di eruttare tutta la lava accumulata. Sentiva, infatti, il bisogno di rilasciare l’energia concentrata nei suoi pugni minuti, stretti intorno alle ricchezze celate dai ricci. Degli inevitabili fiumiciattoli di sangue principiarono a scorrere tra le sue dita contratte: non le interessava fermare l’emorragia, non le interessava curarsi, voleva solo capire.
Dalla parte opposta, si sentì un lento inspirare mentre i vocaboli adatti venivano pensati con estrema cura. Fissandola negli occhi ora lucidi, Irma le rispose: «Il motivo sta nel fatto che non ti conoscono ancora.»
«In che senso?», chiese smarrita, tirando su col naso. Una lacrima solitaria scese lungo la guancia destra, ripercorrendo la strada già battuta in precedenza dalle sue sorelle maggiori d’acqua salata.
«Vedi quel mucchio di foglie laggiù, sotto le grandi querce secolari ormai spoglie?», indicò il gruppo vegetale per farle capire meglio a cosa si stesse riferendo.
La bambina seguì la direzione alla quale l’indice nodoso della nonna puntava e, una volta adocchiato il cumulo incriminato, annuì, tornando a guardare curiosa colei che era presente nella sua giovane vita fin da quando era solo un ammasso di cellule indistinte in un utero non troppo accogliente.
«Osservale attentamente, piccola. Sono simili, certo, ma comunque disuguali. Alcune sono arancioni e talune marroni, molte sono a punta e, invece, tante altre sono arrotondate.»

Fonte: Pixabay
Artista: rihaij

Allontanò di nuovo lo sguardo per verificare quanto detto dalla sua tutrice legale: non voleva perdersi niente delle affermazioni dell’unico parente che ogni giorno le provava, con parecchie azioni tangibili e pochi futili vocaboli, un affetto davvero incondizionato.
«Ecco, Lucille, nonostante la palese diversità al loro esterno, hanno voluto condividere lo stesso cumulo pur di non perdersi di vista e separarsi.»
Riportò gli occhi sulla sua interlocutrice, un’espressione sia disorientata sia curiosa sul viso tanto infantile quanto affilato. Desiderava sapere, attendere era l’unica maniera per veder realizzato il suo sogno.
«Sai qual è la ragione?», domandò la signora Rinaldi, concedendosi qualche secondo per aumentare la suspense nella risposta a venire. «Succede perché sugli alberi, prima di cadere, si sono conosciute. Grazie al vento, hanno potuto condividere sussurri, lamenti, esclamazioni, pianti. Grazie al vento, hanno potuto condividere la loro vita nella foresta, dalla nascita allo scattare dell’età adulta. Hanno avuto il tempo di accettarsi fra loro, Lucille, hanno avuto il tempo di amarsi così tanto da voler riposare insieme, ai piedi delle loro stesse case.»
L’orfanella non di fatto ma di nome prese a mordersi l’interno guancia, concentrandosi su un punto lontano per cercare il nesso tra la metafora scelta dalla nonna e la sua situazione attuale a scuola.
«Ciò che voglio dire è questo: quando sarai pronta a mostrarti davvero per come sei, valorizzando non solo i tuoi punti di forza ma anche quelli di debolezza, chi ti guarderà non vedrà più qualcuno da sbeffeggiare, ma un tesoro da preservare, nei suoi alti e nei suoi bassi, per l’eternità», le venne in aiuto Irma che, nonostante sapesse di avere innanzi una neofita della vita e delle esperienze a essa legate, cercava di stimolarle sempre il ragionamento affinché le rotelline della sua testolina iperattiva cominciassero a spiccare il volo appena possibile.
«Non credo che basti questo per farli smettere di prendermi in giro, nonna…», disse la seienne, scuotendo sconsolata il capo e incassando la testa nelle spalle, una tartarughina impaurita che cercava di nascondersi per bene nel proprio carapace.
«E allora tu rispondi di conseguenza, no?»
Socchiudendo gli occhi, Lucille fissò lo sguardo sulla mamma di sua mamma, chiedendole silenziosamente di proseguire nella sua criptica spiegazione.
Alzandosi in piedi, le domandò con l’ingenuità di chi sa e vuole ancora dispensare: «Se anche somigliassi a uno scheletro, quale sarebbe il problema?»
La bambina si portò l’indice sinistro alle labbra per trovare il bandolo della matassa. Alzò la testa al cielo per trovare l’ispirazione che cercava per partecipare alla conversazione.
«Al posto tuo, io me ne vanterei», rispose per lei l’ultima Rinaldi degna di questo nome, per poi proseguire: «Oltre al fatto che ad Halloween non devi neanche perdere tempo prezioso a decidere quale costume indossare, non tutti sono in grado di abbuffarsi come te e rimanere comunque dei chiodi, no?»
Finalmente Lucille sorrise e, annuendo con il suo solito vigore, prima smarrito e poi ritrovato, corse dalla nonna per abbracciarla stretta.
La vecchina ricambiò la morsa e si chinò per depositarle un bacio sul capo. Accarezzandole piano i capelli come solo una nonna amorevole farebbe con la sua nipotina adorata, le chiese: «Che ne dici, piccola mia? Andiamo a fare la merenda con una buona fetta di crostata?»
Con ancora il viso premuto sul grembiule logoro di Irma, l’angelo castano ramato approvò il piano malefico su tutta la linea. Piangeva ancora, ma questa volta la colpa era della gioia.

Fonte: Pixabay
Artista: gate74

 

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Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autrice o, se reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.