Quando, insieme alle altre partecipanti della rubrica di mia creazione Storytelling Chronicles, abbiamo deciso, nel nostro gruppetto Facebook, di utilizzare come tematica condivisa in quel di aprile un personaggio in carne e ossa, Il papà , ho avuto la malsana idea di spingermi laddove non ero mai stata, un genere letterario decisamente fuori dalle mie corde che ho voluto sondare comunque adottando, giusto per non farci mancare niente, uno stile narrativo poco in linea con la mia personalità vecchia quanto Matusalemme.
Tuttavia, se penso a una delle ragioni che mi hanno spinta a organizzare un tale rendez-vous mensile, ho creduto fosse doveroso realizzare qualcosa di sconsiderato, un po’ per movimentare la quarantena sedentaria di cui la mia scrittura soffre da sempre, un po’ per mettere in gioco sia la baracca sia i burattini. Perciò, armata del mio migliore coraggio, mi sono buttata dalla finestra per finire nella presente minestra, forse un’accozzaglia di parole a caso o magari il capolavoro di tutti i tempi, sottolineando quanto sia curiosa di sapere il vostro parere -positivo o negativo non importa!- concernente la figura genitoriale, per fortuna, atipica che ho scelto di sottoporvi. Vi avviso, però: durante la stesura del sottostante prodotto vergato, sono stata leggermente e inevitabilmente traviata dalle mie due serie televisive preferite, Criminal Minds e Law & Order Special Victims Unit, sceneggiati polizieschi molto forti che non mi stancherei mai di guardare, né in questa vita né nell’altra.
Creazione a cura di Tania, admin del blog My Crea Bookish Kingdom
«Non rimanere sulla soglia, cara, entra pure senza complimenti.»
La dottoressa Wilson stava comodamente seduta alla sua scrivania. Mi guardava negli occhi con fare materno, come se volesse rivendicare sulla mia persona qualcosa che non le sarebbe mai spettato. Odiavo questo suo modo di porsi, sebbene avesse cercato di spiegarmi, durante i nostri primi colloqui, quanto fosse importante mantenere il contatto visivo con chi si ha di fronte, giusto per mettere a proprio agio l’interlocutore del momento. Avrei dovuto dirle, prima o poi, che su di me sortiva sempre l’effetto contrario?
«Preferiresti sederti qui, sulla poltroncina davanti a me, oppure sulla chaise longue?»
Guardai i soprammobili che mi aveva indicato con un gesto svolazzante della mano.
Ero ancora sull’uscio quando decisi di far vagare un po’ ovunque lo sguardo. La libreria zeppa di tomi dai curiosi dorsi monocromatici emergeva nell’ambiente circostante, nonostante fosse relegata a ridosso della parete sinistra, in ombra rispetto al resto dell’arredamento curato al dettaglio. Dal lato opposto troneggiava la famosa agrippina menzionata dalla donna, un marchingegno interessante che si sposava, nel colore, con quanto lo attorniava. Lo starter pack della psicologa terminava con una quantità infinita di piante: tutto quel verde avrebbe dovuto contribuire a regalare un senso di armonia ed equilibrio al gradevole circondario che, però, gli avventori di quella stanza così calda e familiare avrebbero faticato a trovare.
Riportai gli occhi vuoti su quella specialista di mezza età che cercava, in ogni modo, di adottare una posa rilassata. Anche una disinteressata come me avrebbe capito subito quanto stesse tentando di mascherare la sua trepidazione nel vedermi, di nuovo: i tacchi delle scarpe, dopotutto, risuonavano chiari sulla moquette, attutiti, certo, ma non abbastanza per essere zittiti. Oltre al solito completo giacca-pantalone che avevo imparato a conoscere, indossava il suo miglior sorriso forse per accogliermi al meglio, ma l’unica cosa a cui pensavo ricambiando la sua occhiata era quella di spaccarle i bei dentini lucenti con la lampada da terra alla mia destra.
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«Come mai quel sorrisino?»
No, non mi sembrava il caso di confessarle i miei veri pensieri.
«È sistemato bene qui», risposi invece, annuendo per convalidare la mia tesi mentre mi osservavo ancora intorno con nonchalance.
«Non è quello che sta frullando nella tua testolina, cara, ma ti ringrazio comunque.»
Cazzo, ci sa fare questa rompicoglioni.
«Se fossi sincera, dottoressa Wilson, mi beccherei una denuncia da parte sua e, avendo compiuto ormai diciotto anni, nessuno mi salverebbe il culo ossuto dalla prigione.» Nemmeno tu.
«Quanto melodramma, Rebecca!» esclamò la mia omonima versione più grande, alzandosi dalla sedia girevole. «Pensi che sia la prima volta per me? Se non ricevessi costantemente minacce, non starei facendo bene il mio lavoro.»
Le sue mani fresche di manicure calamitarono la mia attenzione. Le aveva appoggiate sul bordo della scrivania poco prima di parlare, regalando loro l’onere di sostenere il suo peso. Mentre si sollevava dal trono con le rotelle, i suoi anelli opulenti avevano brillato alla luce del sole che entrava di prepotenza dalle finestre. Per un lunghissimo attimo, mi avevano così accecata da farmi dimenticare il filo del discorso.
«Dai, è tempo di sederci e iniziare la nostra oretta settimanale: dove ci mettiamo, quindi?»
Affrontai a muso duro la sfida, osservando le opzioni che mi aveva elencato all’inizio, e cominciai a muovermi nella giusta direzione. Alla fine, ero riuscita a scegliere, e la psicoterapeuta mi venne dietro, a mo’ di cagnolino, senza fiatare. Sono stata cresciuta nell’ottica che prendere l’iniziativa non fosse compito mio. Non l’aveva detto apertamente, ma sapevo a cosa stesse pensando la mia interlocutrice: avevo cominciato a scardinare quei diktat che mi erano stati imposti. Facevo progressi.
«Allora, lunedì scorso hai iniziato a lavorare da Mike alla tavola calda» disse la dottoressa, non appena si mise comoda sulla poltrona, accavallando le gambe per sottolineare con maggior enfasi la pausa strategica tra una battuta e l’altra. Nel mentre, aveva già cominciato a prendere appunti.
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Non era una domanda, chiaro, ma non potei fare a meno di risponderle comunque: «Sì, è così.»
Con la coda dell’occhio notai che si era bloccata nella scrittura del suo poema, una tragedia greca in tre atti visto che ero io l’assoluta protagonista.
«Raccontami un po’ come la stai vivendo.»
Alzai le spalle con noncuranza, anche se dalla posizione sdraiata nessuno avrebbe mai notato alcun movimento del genere. Ma quanto cazzo è comoda ‘sta chaisecosa?
«Direi bene, nonostante le ovvie difficoltà .» Esternai il mio pensiero guardando il soffitto per cercare di salvarmi dalla pesantezza di quel momento, un’istantanea del mio stesso schifo quotidiano fissato al rallentatore.
«Fammi un esempio.»
Mi voltai completamente nella direzione di quel tono così pacato alla ricerca di un qualsiasi minuscolo aiuto nascosto negli occhi della donna. Stavo tentando di essere forte da sola, ma l’agitazione, purtroppo, aveva già iniziato a prendere il sopravvento. Dalla mia bocca, infatti, uscì un rantolo balbuziente: «In p-primis, M-Mike è un u-uomo. Non s-sarebbe un p-problema, ma lo s-sa anche l-lei: se le c-cose fossero a-andate d-diversamente, credo p-potrebbero avere la s-stessa e-età o-oggi.»
Addolcì lo sguardo di fronte all’evidente trasformazione della mia persona diventata bersaglio di una mareggiata da guinness dei primati. Avevo celato per anni le mie emozioni per paura delle reazioni di lui: stavo evolvendo in meglio se a piccole dosi riuscivo a comunicare il mio stato d’animo.
«C’è s-stato un m-momento in cui avrei v-voluto s-scappare l-lontano.» Mi circondai con le braccia tremanti cercando di confortarmi come potevo. La posizione fetale era dietro l’angolo.
Stava già appuntando sul taccuino, quando chiese: «Cos’è successo?»
Inspirai ed espirai una volta prima di riprendere il discorso, per ritrovare una parvenza di calma. Ce la stavo facendo, sì: dovevo solo continuare a crederci e ce l’avrei fatta sul serio.
«Non gliene f-faccio una colpa. Dopotutto, a c-conti fatti non ne sa un cazzo ed è m-meglio così, mi creda. Però, e-ecco, stavo per reagire male, davvero male, quando mi ha t-toccato il braccio per avvisarmi che avevo dimenticato un bicchiere s-sporco sul bancone.» È quasi tutto sotto controllo, Rebecca. Forza e coraggio!
Mi concessi un altro respiro per sentirmi pronta al dopo: l’ennesimo giro di giostra sull’ottovolante dritta all’inferno era pronto a farmi la festa.
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Artista: AhiruR
«Mi sono fermata in t-tempo solo perché ho visto la sua espressione.»
Quello fu l’istante in cui i ricordi del presente e quelli del passato si scontrarono, non coincidenti, e si incontrarono, diffidenti: non lo avrei dimenticato per nulla al mondo.
«Non mi guardava con astio p-perché avevo detto o fatto qualcosa di sbagliato.»
I lividi, quei lividi, li avevo ancora, incastonati nel cuore. Non se ne sarebbero mai andati, purtroppo.
«Non mi guardava con b-bramosia perché gli risvegliavo la libidine o altre stronzate ormonali.»
Sguardi lascivi di onice fredda si materializzarono innanzi a me, accarezzandomi il corpo con lentezza e possessività , quella stessa carcassa che gli altri apprezzavano e io odiavo, le quattro pareti carnali entro cui, da qualche settimana, cercavo di ritrovare me stessa.
«Nei suoi occhi c’era così tanta b-bontà da riflettersi a pieno sul suo intero volto: mi stava rivolgendo un accecante sorriso da testimonial di dentifrici del cazzo.»
Mi spostai meglio sul lato sinistro per poterle stare di fronte, liberando il busto dall’abbraccio difensivo. Per un secondo posai gli occhi sulla sua french fatta ad arte. Mi ricordò le mie unghie rosicchiate oltre il consentito: un giorno sarei riuscita ad abbandonare anche quella mia ennesima mania da stress post traumatico.
«Mi crede se le dico che nessun uomo mi ha mai guardata così, doc?»
Alzai lo sguardo. Le iridi verdi che mi fissavano apparivano sinceramente interessate alle mie uscite, pazienti e impazienti nel voler conoscere tutti i risvolti di trama per potermi soccorrere al meglio. Sorrise soltanto in risposta. Essendo la prima volta che discorrevo così tanto, forse voleva lasciarmi lo spazio di manovra necessario affinché non fermassi il torrente ormai in piena.
«Sa, ogni giorno al diner vengono un sacco di famiglie.»
Intravidi due bicchieri d’acqua sul tavolino che mi divideva dalla Wilson. Da dove erano spuntati? Mi ero così concentrata sul mio resoconto da non aver fatto caso ad alcun movimento da parte sua. Mi alzai un poco, a sufficienza per prendere un calice e berne il contenuto tutto d’un fiato. Rimasi seduta, con quel pezzo di vetro elaborato in grembo.
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Artista: ColiN00B
«Ridono e scherzano. Sembrano le fotocopie del perfetto quadretto idiota che ti propinano nelle serie tv, ha presente?»
La mia omonima in versione adulta annuì, lasciandosi sfuggire una risatina sotto i baffi inesistenti. Ripresi, senza darle troppo peso come, invece, facevo spesso perché essere polemica cominciava a far parte del mio nuovo atteggiamento: «Ecco, a volte, capita che un figlio piccolo sia più scapestrato del solito e lo dimostri lanciando del cibo al fratello o a qualche altro commensale lì intorno.»
Forse sarebbe stato meglio spiegarmi ulteriormente? La sua espressione confusa, dopotutto, era eloquente. Non la biasimai: chi era in grado di capirmi al volo poteva considerarsi davvero bravo.
«A parte una ramanzina ben assestata, non vola una mosca tra genitori e prole.»
Annuendo comprensiva, chiese: «Cosa pensi al riguardo?»
Mi aspettavo quella domanda precisa. Significava una cosa sola, che la Freud della situazione stava iniziando infine a comprendere i miei viaggi mentali.
«In quei casi, per me, è inevitabile soffermarmi su quanto ho vissuto io e, davvero, non capisco.»
Accompagnai la mia frase con un gesto di contrizione. Battermi sul petto mi fece sentire quanto fossi vuota dentro.
«Cioè. Perché è successo proprio a me? Cosa ho fatto per meritarmi un omicida stupratore per padre?»
Forse stavo andando bene.
«All’inizio pensavo fosse colpa mia, sa? Insomma, credevo alle cazzate che mi inculcava. Che ero troppo bella per non ricevere attenzioni dagli uomini o troppo cattiva per evitare le botte punitive.»
Sì, stavo andando fottutamente bene.
«Quando hai cinque anni e sei sola, ti fidi di tutto quello che ti dice l’unica figura genitoriale che ti rimane.»
Non.
«Quando ne hai sette e cominci a pensare che forse non stai vivendo proprio una situazione normale, gli poni delle ovvie domande.»
Stavo.
«Quando ne hai otto e capisci che più chiedi e più vieni picchiata, lasci perdere e fai ciò che ti dice senza fiatare, per quanto tu creda sia completamente sbagliato.»
Balbettando.
«Quando ne hai dieci e chiama anche gli amici per fare baldoria con te, inizi a credere che forse il suicidio è la via di fuga che desideri.»
Cazzo.
«Ma è quando arrivi a dodici anni che tutto cambia.»
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Artista: geralt
La dottoressa avrebbe potuto fare la stenografa per quanto celermente vergava quel block notes non più intonso.
«Non solo ti ritrovi stanca e schifata di lui, ma lo sei anche di te stessa, un putrescente sacco dell’immondizia. A quel punto capisci che è tempo di reagire e agire, soprattutto se scopri il cadavere di tua madre nel freezer scrauso che usate di rado, tra una bistecca di manzo e l’altra. A quel punto capisci che la sola soluzione ai tuoi problemi del cazzo è prendere un fottuto coltello e ficcarglielo in gola fino all’impugnatura.»
«Cos’hai provato?» bisbigliò sottovoce Rebecca Wilson cercando di non disturbare troppo il mio flusso di coscienza.
«Mi chiede cosa ho provato a trovare il sangue del mio sangue morto in un cubicolo sotto zero o mi domanda cosa ho sentito mentre ammazzavo quel cane di mio padre?»
«Entrambi.»
Inalai un po’ di aria e accavallai le gambe prima di replicare, intrecciando le dita delle mani in grembo, attorno al bicchiere ancora vuoto che racchiudevo quasi volessi proteggerlo dal mondo, persino e soprattutto da me stessa.
«Il primo evento mi ha dato la forza per concretizzare il secondo, immagino.»
«In che senso?» cercò di indagare la psicoterapeuta.
«Beh, lui diceva sempre che lei se n’era andata perché ero uno schifo di figlia, usando però parole più colorite che le vorrei risparmiare.»
Guardai il pezzo di vetro che stringevo in una morsa. Decisi fosse meglio riappoggiarlo sul tavolino per la sua incolumità . E la mia.
«Conoscere una singola verità mi ha permesso di mettere in discussione tutto il resto: quante bugie mi stava rifilando?»
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Mi riadagiai sull’agrippina: non volevo incrociare lo sguardo di nessuno mentre parlavo di simili avvenimenti.
«Non sono una sadica, dottoressa Wilson. Non ho mai ucciso un cucciolo in vita mia e il solo pensiero mi fa uscire di testa.»
Delle lacrime affiorarono negli angoli dei miei occhi, scivolando poi sulle guance incavate.
«Ma quella sera… Mentirei se le dicessi che non mi sono divertita come una pazza a infierire come ho fatto.»
Addentai con forza il labbro: volevo farlo sanguinare, dovevo farlo sanguinare, così come sanguinava il mio cuore rimestando il passato.
«Forse sono una psicopatica. Dopotutto cinquanta affondi sono tanti per una persona normale» esalai sollevando le spalle e incassando la testa nella gabbia toracica. Avevo mimato le virgolette quando avevo sputato quell’aggettivo tanto abusato quanto senza senso al giorno d’oggi.
«Ripensa a cosa ne è seguito, cara.»
Tirai su il capo e mi girai scettica verso di lei.
«Cioè? Si riferisce al fatto che ho pianto, dopo?»
«Esatto.»
«Non capisco…»
«Un vero psicopatico non avrebbe mai pianto in seguito, Rebecca. Un vero psicopatico sarebbe rimasto impassibile, come prima dell’atto.»
Sgranai gli occhi.
«Sì, l’ho fatto, ma non sono comunque giustificabile.»
«Vero, però ti si può comprendere, non trovi?» ragionò la dottoressa Wilson con la penna appoggiata alle labbra. «Prendendo in considerazione tutte le volte che sei stata violentata e picchiata da quella bestia, direi che è umano arrivare alla tua conclusione.»
Alzai gli occhi al cielo per quella prova di semantica: «Se lo dice lei.»
«Certo che lo dico, cara, e lo hai detto anche tu poco fa.»
Mi rimisi comoda sulla chaise longue.
«Comunque, è diverso. Tutto è diverso.»
Le mani ripresero la loro posizione sul mio grembo.
«Mike lo è, le famiglie che mi sfilano davanti lo sono. Il mondo è diverso da quello che pensavo.»
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Artista: geralt
Sorrisi, cauta. Non volevo farmi vedere, avevo paura di vedermi io stessa.
«E io, anche se ho una paura tremenda di non farcela, di non essere all’altezza, lo vorrei.»
«Cosa, Rebecca?» mi sentii chiedere.
«Voglio essere diversa da ora, doc» affermai a testa alta come non ero abituata a fare. «Non come quella che ero un tempo, specifichiamo. Vorrei diventare quella che avrei dovuto essere, la donna che il fato, o chi per esso, avrebbe voluto fossi dall’inizio.»
«Cavoli, cara! Fino a un mese fa non l’avresti mai detto, o sbaglio?»
«Anche se mi duole ammetterlo, ha ragione» dissi a malincuore tornando a fissarla. «E so bene che devo pure rivivere le mie esperienze per poter finalmente andare avanti,» feci una pausa prima di continuare, «ma devo anche voltare pagina. Sul serio, capisce?»
La dottoressa Wilson annuì concorde.
«Magari un giorno sarò pronta anche ad altro. Non so, degli amici di cui fidarmi davvero. Forse un amore sdolcinato da commedia romantica, sebbene solo l’idea mi faccia vomitare.»
Mimai un rigurgito con tanto di dito ficcato in bocca e lingua fuori dalle labbra: questa volta, la risata conseguente non mi diede fastidio, da nessuna delle due parti.
Ripresami, conclusi con: «Per adesso, però, penso mi basti davvero così. Faccio male?»
La sua stoccata finale non si fece attendere troppo: «La vera domanda è: ti fa sentire bene tutto quello che hai ora?»
Annuii convinta: «Direi di sì.»
«Allora, hai già la tua risposta.»
Quando chiusi dietro di me la porta della palazzina ritrovandomi poi in strada, per la prima volta ero felice.
Felice di essere lì e non altrove.
Felice di vedere il sole baciarmi la pelle.
Felice di essere viva e non morta.
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Artista: ohurtsov
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Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autrice o, se reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
31 Marzo 2020 at 11:00
Bravissima Lara per esserti lanciata in qualcosa che non ti appartiene ed esserti messa in gioco.
A parte l’orrore profondo per quella persona che non può essere chiamata padre, bravissima tu per essere riuscita a colpire dritta nel segno con questo racconto profondo e molto intenso.
2 Aprile 2020 at 18:32
Già che avevi premesso di essere stata traviata da Criminal Minds e Law & Order mi aveva fatto sudare freddo, giuro. Non che abbia niente contro i polizieschi, anzi, ma a volte quelli più “forti” cerco di evitarli per non avere incubi la sera, ahahah
Dunque, il tuo racconto mi è molto piaciuto. C’è suspence, dolore e voglia di vivere, tutti elementi che mi hanno tenuta incollata al racconto dall’inizio alla fine senza mai staccare lo sguardo. Questo dialogo tra paziente e psicologa spiega che non sempre la figura del padre è benevola e che, non sempre, chi ti mette al mondo può considerarsi tale.
18 Aprile 2020 at 18:40
Ciao. Dopo aver letto diversi tuoi racconti nel corso del tempo, devo farti i miei complimenti perché hai provato qualcosa di nuovo e sei riuscita a creare una storia davvero interessante e scritta molto bene.
Linguaggio azzeccato per i personaggi secondo me, verosimile per una situazione del genere, per i ruoli che hanno. Le azioni dei personaggi rispecchiano questo, il tema trattato e il modo in cui lo hai fatto ricorda un po’ i casi di Criminal Minds quindi lo hai fatto davvero bene. Il tutto è veritiero, potrebbe benissimo essere uno dei tanti casi reali nel mondo.
Il racconto è scritto bene, come sempre, nulla fuori posto. Scorrevole, crea curiosità nel lettore che vuole conoscere la storia che sta dietro alla protagonista e ciò che effettivamente sia successo.
Il tema del mese è stato centrato, hai parlato di un padre anche se in modo negativo. Devo dire che ho apprezzato anche questo: non sempre quelli che dovrebbero essere figure paterne e proteggere i figli lo fanno veramente. È una realtà dura, brutta, ma è pur sempre la realtà e vedere l’altra faccia della medaglia ogni tanto è un bene. Per questo ti rifaccio i miei complimenti per come hai trattato il tutto. Sei stata davvero brava.
A presto.
29 Aprile 2020 at 22:04
Ciao
Innanzitutto brava, perché hai sfruttato il tema al negativo ed è una eccezione (oltre alla riflessione di Christine) rispetto a tutte noi, che mostra un altro lato della medaglia e della realtà , non sempre piacevole/bella/giusta.
Devo dire che la visione di Criminal Minds ha dato i suoi frutti, perché il racconto è ben articolato, centrato nelle caratteristiche da noir psicologico ma comunque capace di creare empatia verso la “colpevole” protagonista. Sei riuscita a renderla davvero interessante e quando sveli perché si trova dalla psicoterapeuta, ormai è troppo tardi per giudicarla in modo negativo.
Hai trattato molto bene anche il tema degli abusi, sei stata comunque diretta ma non superficiale o, al contrario, troppo insistente sulla sofferenza e la collera, due rischi per tematiche così forti. Hai tenuto il giusto equilibrio!
Brava
29 Aprile 2020 at 22:23
Capisco ora cosa intendi quando dici che questo racconto è diverso. Sì, è diverso nei contenuti e anche nello stile. Trovo che tu abbia adeguato molto bene la prosa all’oggetto della narrazione.
La storia è cruda, ma anche molto originale, per via del contesto in cui la protagonista racconta.
Devo dirti che mi è piaciuto davvero molto. Hai saputo rendere bene le emozioni, senza cadere nell’eccesso.