Quante volte può capitare ai lettori di imbattersi accidentalmente in un paroliere che, per un motivo casuale della cui futilità ci si convince sempre a posteriori dell’atto sventurato ormai compiuto, non si sono mai sentiti in dovere di affrontare a cuore aperto e con mente smaniosa, appassionanti novità su carta inchiostrata che, posticipate fino al momento durante il quale dedicarsi ai vocaboli in libertà di uno scrittore avido soltanto di farsi conoscere attraverso le sue storie racchiuse tra pagine spasimanti di dita in costante movimento, si trasformano in buone occasioni sprecate da avventurieri sulla china delle pagine in grado di rendersi conto, esclusivamente col senno di poi, delle opportunità perse con sciocca e inutile leggerezza tentennante?
Diciamo che, qualora si prendesse in considerazione la sottoscritta, la risposta al suddetto quesito coinciderebbe con il superlativo “Moltissime”, evidenziando così la mia umana dedizione allo sbaglio più banale, un passo falso che, con la nomea di fastidiosa routine, appare negli istanti meno consoni alla sua selvatica manifestazione di cui, tutto sommato, ognuno farebbe volentieri a meno: Amabile Giusti è una di quelle piume sopra descritte che io ho scoperto troppo tardi nel mio cammino divoratore di intensi romance dal stupefacente contenuto non banale, un talento fuori dal comune che, sebbene avessi sentito parlare da tempo della sua inaudita capacità nel narrare, ho conosciuto da vicino agli inizi dello scorso novembre, un mese decisamente tramontato che è stato sufficiente a farmi intuire l’infinito potenziale di questa penna italiana, mastodontica abilità evincente da ogni riga di Ogni volta che sono solo con te dove contingenze indissolubili e permanenti non solo sono state in grado di legare tra loro Harrison e Leonora, due persone che, nonostante cerchino in ogni modo di stare lontani, come due magneti si chiamano a gran voce a vicenda, ma hanno posseduto anche l’abilità di farmi innamorare nel profondo, moto perpetuo di emozioni naturali a cui ho voluto rendere giustizia attraverso una nuova modalità di recensire, riflessioni a tutto tondo nelle quali, oltre alla consueta trama rivisitata da me, alle notorie sottilineature che io rimarco in merito alle tematiche osservate e ai tecnicismi di rilievo sia in positivo sia in negativo, ho deciso di dare spazio al mio personale giudizio rispetto la copertina proposta, nonché al verdetto concernente il titolo presentato e all’ipotetico dreamcast che la mia fantasia ha suscitato durante il percorso assimilato.

Si ringrazia la casa editrice Amazon Publishing per la copia ricevuta in omaggio.

Sembra proprio che Harrison Duke sia un uomo ormai finito. In fin dei conti, dopo un matrimonio stellare con la bellissima attrice Regina Wells fallito miseramente a seguito del palese tradimento di lei immortalato dai paparazzi e, quindi, sbandierato al mondo con noncuranza alcuna, considerando poi che il suo ultimo libro si è rivelato un grandissimo buco nell’acqua, l’ex scrittore di successo si è voluto esiliare dal pianeta ritirandosi nella solitudine montanara del Wyoming, attorniato dall’assordante silenzio e dall’unica compagnia degli animali dei quali si prende cura, trasformandosi nell’ombra dell’individuo che una volta era, una sorta di scorbutico spettro dal carattere ermetico che si trascina lontano dalle inutili frivolezze cui era abituato suo malgrado e dalla modernità di tutti i comfort del suo tempo.
Tuttavia, il suo agente Herb non si è dato ancora per vinto: infatti, quasi interpretandolo come un trampolino di lancio per l’ipotetica ripartenza dell’autore in stand-by, gli ha concordato col New York Chronicle un’intervista a cura del reporter Leo Tucker, un giornalista talentuoso che, invece di perdersi in sciocchi giri dalle parole artificiose, cadendo così nel canonico errore del principiante fallace, adopera una diretta e attenta franchezza nell’elargire la propria opinione, aggiungendo anche la giusta dose di sarcasmo a insaporire la frecciatina scoccata.
Per non dover sopportare le sue lamentele da qui a l’eternità, cantilena intollerante per qualsiasi persona con un dito di cervello, il nostro eroe caduto forse nell’oblio del panorama letterario si costringe ad accettare il suo destino, senza fiatare o, comunque, borbottando in silenzio al pari di una pentola di fagioli gorgogliante, almeno fino a quando non scopre che l’articolista in questione è una donna, anonimo esemplare femminile che, seppur non rispondente ai gusti di Harrison poiché dalle forme troppo generose, potrebbe rivelarsi una distrazione fortissima anche per un uomo votato all’astinenza sessuale come lui.

Sebbene potrebbe denotarsi un’evidente contraddizione nel titolo poiché l’accostamento fra le ovvie nozioni di solitudine e compagnia non prevede di certo il coniugarsi in un matrimonio da lieto fine agognato, a parer mio, l’appellativo Ogni volta che sono solo con te nasconde l’esatto riassunto della storia di Harrison e Leonora, due cuori eremiti che, refrattari ai sentimenti, decidono di trincerarsi nell’anacoretismo pur di sfuggire alla realtà, un mondo tangibile che, per quanto seguiti a ferirli dopo anni di invisibili e costanti prevaricazioni, accompagna dolcemente i due protagonisti alla stessa pensosa conclusione, il fortunato epilogo per cui la paura di un’esistenza in condivisione non deve fermare il più recondito dei sogni taciuti: quando due mani innamorate si sfiorano, nessuna distanza sarà in grado di silenziare il vero io di entrambi i solisti della vita, quell’anima coraggiosa che, se da una parte mostriamo di rado a un pubblico insensibile, dall’altra decidiamo di manifestare con grandiosità alla persona che amiamo e ameremo per sempre, individui speciali capaci di riconoscere nell’oblio della propria metà la celebre luce in fondo al tunnel.
Dopotutto, perché edulcorare la spontaneità quando non è affatto necessario?

Il successo trasforma le persone senza che esse abbiano coscienza di cosa potrebbe accadere loro nel presunto frangente apocalittico: la contaminazione dello spirito inizia ad avanzare con la dovuta cautela da futuro ignoto, un domani misterioso che il malanno interiore in procinto di radicarsi non comprende davvero fino al momento più opportuno, l’istante perfetto in cui il lento fomentare esplode nell’acme dimostrante il meglio o il peggio di noi stessi a seconda del fato indelebile che, già scritto per le vittime nel mirino della notorietà, aspetta dormiente e imperversa silente.
Tuttavia, come la marea sale e la marea scende cavalcando l’altalena di un oceano in tempesta, una volta raggiunta la cima dell’evidente affermazione, molto spesso la conquista di un nome scema lasciandosi dietro il fumo dell’inevitabile epilogo, una fine così netta da imporre il tramonto immediato della semina e del raccolto, conclusione di un’era aurea che, sparendo nella sordina di una nebbia densa, fa perdere le proprie tracce tra i banchi compatti da assembramento diligente. Ora la decisione prevede due contrastanti ramificazioni simili eppure diverse nella loro natura fondamentale: tentare di risalire di nuovo la china della montagna oppure rimanere a valle al sicuro entro le quattro mura della propria dimora, da un lato un irto tragitto che non pronostica sconti di sorta, dall’altro un comodo rifugio che non impone l’inatteso, scelta forse facile che si può dimostrare poco lapalissiana di fronte al volere del nostro qualcuno, il tale e unico individuo che ha la curiosa abilità di infondere l’autostima sufficiente a farci credere finalmente in noi stessi.
Perché noi possiamo e per questo dobbiamo.

Un cuore spezzato può essere risanato nonostante una miriade di peripezie subite alla stregua di manrovesci allo stomaco?
Dopotutto, il tradimento può indurci a modificare completamente atteggiamento nei riguardi del genere umano, opzione accettata in maniera forse frettolosa che però, ostinate motivazioni alla mano, identifica la corretta attitudine da elargire in simili contingenze non troppo felici: sebbene all’inizio può sembrare la giusta visione del mondo da avvalorare ogni giorno di più, soluzione drastica a ogni notevole prova che l’esistenza sottopone alla nostra attenzione, qualora visionassimo il bicchiere da un diverso punto di vista, potremmo constatare che, se da una parte vada considerato mezzo vuoto, dall’altra è pure colmo a metà, inversa angolazione che prende vita quando albeggia il sole di una nuova era, partenza in discesa che uno fra tanti riesce a sedimentare da zero, tassello dopo tassello, mattone su mattone, organo vitale che riprende a battere e non vede l’ora di continuare, per l’eternità.

Se il destino ci ha già regalato la nostra unica possibilità di essere felici, può dimostrarsi così benevolo da elargircene una seconda di punto in bianco, come se nulla fosse?
In fin dei conti, l’inaspettato è sempre dietro l’angolo e assume le sembianze che più preferisce, talvolta rappresentando pure quella scappatoia gioiosa da cui, per un problema o per un altro, ci stavamo obbligando a tenere le distanze, a dimostrazione sia di grande egoismo, soggettivo modus operandi che non dà alcuna opportunità al prossimo di decidere per sé stesso mancandogli di rispetto a causa dell’interdizione preventiva, sia di immenso altruismo, sconfinata filantropia tramite cui decidere di togliersi dalla piazza per salvare il presunto salvabile dall’ipotetica minaccia: cogliere al volo ciò che passa in convento è la più ragionevole delle decisioni, abbracciando quindi la chance magari per redimerci di non aver fatto abbastanza in passato o forse per dimostrarci di meritare la nuova occasione perché, in fondo, ne abbiamo davvero bisogno, contingenze non ulteriormente tentennate che, colte come fiori dischiusi alla vita, ci possono sorprendere oltre le banali aspettative nutrite.
La nostra vita ritrovata è ora così arricchita da non crederci sul serio: rivelarci nei reconditi segreti della nostra anima, proponendo la sincerità come base di un rapporto, è l’unica metodologia per ripartire da zero, senza abbassare la guardia un attimo, nuovo incipit per cui non abbiamo necessità di cambiare in maniera radicale per piacere all’altro poiché adattarsi reciprocamente in due all’esistenza vicendevole è il solo compromesso possibile.

Solo l’amore è in grado di spingerci pure laddove l’odio non stenta a concretizzarsi, intenso ribrezzo che, per certi versi, ci obbliga a blindare il nostro cuore e convogliare l’intero voler bene disponibile verso un qualsiasi animale in grado di accettarci così come siamo, difetti compresi.
Eppure, l’eccezione esiste e lo scontro frontale avviene in una manciata di secondi: che sia sintomo di ingenuità volta ad accettare il circondario quale essere umano retto e giusto o che rappresenti l’indizio di una profondità d’animo atta a un’incipiente fiducia capace di non spegnersi mai, siamo inesorabilmente incitati a non fermarci alla grezza scorza priva di sostanza, tuffandoci a capofitto nel mare dell’altrui intimo in attesa di un verdetto finale, deliberazione di culmine che, giudicando, non sentenzia e, soprassedendo, dona attenzione, punto della situazione in cui gli addendi di segno opposto, unendosi insieme, tirano le somme e gettano le basi per un domani migliore.

Davvero possiamo dire di saperci fino in fondo? A volte bastano poche e semplici parole sgorganti dalla bocca di uno sconosciuto per comprendere che, a ora, non ci eravamo resi conto dell’atteggiamento diverso da noi utilizzato negli altrui confronti, forse per timore di notarlo sul serio o magari per un’inconsapevole disposizione d’animo, un banale errore che ci ha influenzato sforando il dovuto e oltrepassando il necessario: l’appropriarsi di nuovo del mondo consuetudinario ci aiuterà a riprendere il nostro piccolo angolo di universo, dimostrando le giuste baldanza e testardaggine nel conquistare l’obiettivo prefissato, tattica vincente che, pur vestendosi talvolta dello sconfitto, perde i suoi banali connotati da epilogo prematuro.
Un ritorno alle origini, dove la comunione perfetta tra noi e una natura silenziosa da mille e più parole ci insegna a non circondarci di ologrammi spettrali da debole consistenza, manifesta la pura semplicità di una routine dalle minuscole fattezze primordiali, un volersi affermare da soli, da un lato evitando lo strascico infinito di un nome che ci va ormai stretto, dall’altro giocando tutte le carte possibili affinché nessuna porta sbattuta in faccia abbia l’opportunità concreta di fermare il nostro passaggio, traguardo impagabile per cui vale la pena lottare fino alla fine dei nostri giorni: destarsi da un’esistenza sicura che faceva al caso nostro, quantunque, raramente, svalutava la nostra persona attraverso parole e fatti di una famiglia sintonizzata su una lontana frequenza ancora non visitata davvero, piaghe abissali che, sebbene feriscano come coltelli or ora affilati da un mastro arrotino, abbandonandosi al tempo per farsi lenire, non si possono dimenticare, rafforzando così lo spirito e corazzandolo di un’armatura a tratti impenetrabile capace di farci rimbalzare addosso le maldicenze, ci permette di affrontare la vita in compagnia di un “uno” in grado di fare la differenza, metà di carta e inchiostro che ci dà una seconda chance per trovarci e comprenderci, vigore e coraggio che ci vengono infondati tramite immediati lessemi che sconvolgono per il realismo da loro celato, trasformandoci da agnelli a leoni che sanno fronteggiare l’oggi e il domani.
E se già non si fosse notato che siamo migliori di quanto palesiamo, dobbiamo iniziare a farlo subito poiché accorgersene è sufficiente per piacersi e piacere di più.

Quanto possono essere accattivanti su una cover i visi maschili dai lineamenti ben cesellati, unitamente, per giunta, a uno sguardo intenso che dell’eloquenza padroneggia la sua gloriosa arte nei minimi dettagli? Direi che la scelta di Amazon Publishing, in tal senso, ha davvero colpito nel segno, soprattutto considerando la mia debolezza nei confronti dei ragazzi con i capelli neri e gli occhi chiari. Tuttavia, una domanda sorge spontanea: dato che l’avvenente giovanotto non assomiglia per niente al vichinghissimo Harrison, chi dovrebbe rappresentare?

Introducendo il lettore a una narrazione particolare poiché quasi costantemente, tramite una melodiosa armonia oscillante, essa si barcamena tra prima e terza persone, focus differenti eppure simili che danno voce ai protagonisti del testo, consentendo loro di lasciarsi scoprire dal pubblico attraverso i propri scalpiccii caratteristici, falcata possente ed energica per Harrison, camminata leggera e goffa per Leonora, due incedere agli antipodi che, alla stregua di una partita avvincente dove i tennisti coinvolti si scambiano la pallina a suon di dritti e rovesci, sanno soddisfare anche i palati più esigenti come il mio, Amabile Giusti ha generato la madre delle droghe su carta stampata, uno stupefacente elisir di eterna giovinezza che, una volta assaggiato con la sana curiosità dell’ignoto alla mano, impone la destrezza del pieno trangugiare, sete non centellinata che, mostratasi agli esordi del cammino in salita, urla al completamento del tragitto, epilogo calamitante che accentua l’immensa semplicità dell’autrice nell’elargire le più disparate sensazioni interiori di una persona, normalità di intenti che si insinuano sotto pelle e lì si fissano alla pari di una fotografia da prezioso album ricordo: tramite un’eccellente capacità di adattamento linguistico alla contingenza in atto, specifici contesti che, a seconda del personaggio inquadrato dal corrente riflettore, ben si arrangiano al perpetuo avvicendarsi dei characters sul palco del Wyoming, catena infinita formata da reali istantanee dove il susseguirsi di non analogie ha obbligato la penna calabrese a manovre rimarchevoli affinché l’effetto conclusivo fosse la credibilità fatta a libro, magistrale espediente grazie al quale i lessemi ponderati sanno incatenare l’uditorio ricettivo provocando in esso la costruzione di un vincolo emotivo che fa percepire all’organismo ospite ogni sfaccettatura affettiva respirata sulla carta stampata, la scrittrice dell’opera Ogni volta che sono solo con te ha concretizzato uno scrigno infinito di trame e sottotrame dettagliate, intricati punti di ago e filo nei quali l’ordito annoda in un unico reticolo peripezie di vita anche secondarie che, sebbene identifichino il mero contorno della pietanza, abbracciano la portata principale elevandone la qualità già sopraffina, completezza di rifiniture che, pur affermandosi sul lettore come il tenue tocco di una mano esperta sulla tastiera di un pianoforte, permette comunque alla fantasia di ogni suo avventuriere di librarsi in volo senza onerose zavorre alle caviglie alate, traiettoria nel cielo che interseca le scie biancastre di tutti quei figli di carta attorno a cui la loro storia verte indisturbata, turbinio vorace di ardenti passioni che, dilagando alla stregua di cavalloni in tempesta, sospingono verso la fraternizzazione con svariati amici e altrettanti nemici, due facce della stessa medaglia nei riguardi dei quali amare è l’unica soluzione possibile.
In fin dei conti, chiunque merita di essere apprezzato e apprezzare a sua volta.

Constatando che il dreamcast fatto dall’autrice medesima sulla sua pagina Facebook risponde perfettamente a quanto partorito dalla mia immaginazione di lettrice durante l’assimilazione del viaggio Ogni volta che sono solo con te, ho deciso di riproporre, per l’occasione, le due ottime scelte di Amabile Giusti, Ashley Graham da una parte e Lasse Løkken Matberg dall’altra: azzeccati, non trovate anche voi?


 

Fonte prestavolto: Pinterest

 

 

 

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Scheda libro

Titolo: Ogni volta che sono solo con te
Autrice: Amabile Giusti
Casa editrice: Amazon Publishing
Pagine: 256
Anno di pubblicazione: 2018
Genere: Romance, Narrativa
Costo versione cartacea: 9.99 euro
Costo versione ebook: 3.99 euro
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