Nell’esatto momento in cui mi sono tuffata tra le righe di Dove cade il fulmine, sguainata l’aspettativa ai massimi livelli nutrita da subito nei confronti del suddetto libro grazie alla notevole bellezza già raggiunta dai precedenti volumi appartenenti alla The Orphanage Series, in questa occasione mi sono ripromessa di affrontare questa nuova avventura di carta e inchiostro con la dovuta calma, saggiando, perciò, le vicissitudini narrate attraverso una tranquilla escursione letteraria in cui avrei assaporato lentamente, quasi gustandomele al pari del piatto forte della giornata, le pagine di vita che, in un crescendo di intensità rispetto alla gemella nascosta nelle trame delle sue precedenti creature, Ornella De Luca genera dal nulla con l’unico ausilio della semplice e abile piuma di cui suole accompagnarsi con l’ovvia consuetudine dell’essere autrice, causando quell’incontenibile felicità capace di incantare ancora una volta i suoi lettori, trepidanti di scoprire, impazienti di amare, in attesa di ricordare. Tuttavia, conoscendo ormai la notorietà legata a doppio filo dal fatto che la maggior parte dei piani da me organizzati fin nei minimi dettagli vada in fumo lasciandosi sopraffare dalle impreviste contingenze nelle quali pare io possieda il tesserino onorario affinché ostacoli di ogni sorta gettino le loro radici là dove sarei dovuta passare sana e salva, senza alcun intralcio sbarrante il mio cammino, non vi stupirete affatto nel venire a sapere che pure il nobile intento di far decantare la storia di Jack e Andréa, assaggiandola con brevi sorsi intervallati l’un l’altro dal giusto lasso di tempo per il germoglio di sedimentarsi e attecchire nel mio cuore in ascolto, è andato a farsi benedire, obbligandomi, all’epoca della lettura, a ingranare la marcia per ultimare la traversata di parole in soli due giorni, foga imposta dalla mia curiosità nel sbrogliare l’intera matassa sullo sfondo della Napa Valley: ringraziando la scrittrice non solo per avermi coinvolta in questo Review Tour, ma anche per avermi omaggiata con la copia digitale del suo presente lavoro, oggi mi accingo a parlarvi di uno dei romantic suspense più belli di sempre, realtà parallela alla nostra dove il vino scorre a fiumi come sangue nelle vene, i lampi piovono dal cielo annunciando presagi ultraterreni a cui stare alla larga è convenientemente lecito e la magia dell’amore risulta capace di inglobare e risanare qualsiasi entità, persino quell’odio primordiale che può contagiare anche il più immunizzato degli esseri viventi.
Jack Sanders è inquieto, sebbene faccia di tutto per non darlo a vedere. Dopo aver ricevuto, senza averlo ordinato, al suo appartamento una cassa di Coucher du soleil, un Sangiovese del 1993 targato Château du grâce, la vecchia azienda vitivinicola della sua famiglia, e un messaggio telefonico lasciato da un anonimo al barman del suo posto di lavoro, The Rose’s Paradise, in cui gli si chiedeva se effettivamente la bevanda arrivata a destinazione gli fosse piaciuta, all’ennesimo scherzo di cattivo gusto sotto forma di biglietto rinvenuto sul pavimento del locale che ogni sera il protagonista controlla in qualità di capo della sicurezza, il quarto orfano del gruppo di amici cresciuti a Villa Sullivan perde le staffe una volta di troppo, rischiando di essere licenziato a causa del comportamento rissoso adottato nei confronti prima del collega sopracitato e poi dell’imprenditore edile svedese con cui Cyrus avrebbe dovuto firmare un contratto da milioni di dollari.
Arrabbiato per la piega che stanno prendendo queste macabre coincidenze e incredulo di fronte alla minaccia non tanto velata del suo boss, Jack è costretto ad accettare il compromesso offertogli, prendersi una vacanza di un mese per rinvenire il baricentro e tornare al suo impiego più in forma di sempre. Per uno come lui che mai ha maturato delle vere e proprie ferie, dedicandosi, quindi, in maniera costante e ferma alla sua professione quasi la sua vita dipendesse esclusivamente da essa, tirare il freno a mano e guardare il panorama dovrebbero rappresentare quella giusta scappatoia affinché il relax faccia il suo corso in delle membra provate dagli eventi degli ultimi giorni; tuttavia, per Jack, questa molto plausibile manna dal cielo risulta una condanna a morte in cui l’inerzia sedimenterebbe le sue vergognose radici, procurando nella sua mente solo alte dosi di noia da stancante tedio che lui, in ogni modo, dovrà saper contrastare. Fortunatamente, il suo cervello genera una brillante idea che potrebbe occupare il periodo di stallo in avvicinamento: andare a Napa Valley, dove tutto è iniziato e tutto è finito, per vendicarsi di Andréa Dumont, l’unica persona che avrebbe avuto la possibilità di giocargli i tiri mancini di cui è stato la vittima designata.
Quando la perdita viene a bussare impaziente alla nostra porta, cosa ci rimane da fare se non accomodarla in casa in vece di esimio anfitrione che non delude l’ospite inatteso, riverendolo al meglio delle sue possibilità da ultimo minuto? Nell’istante durante il quale la sorte decide di farci visita attraverso nefaste contingenze a cui, purtroppo, non possiamo sottrarci poiché, sprovvisti di tracce concrete per pronosticare il dopo nel prima, sfortunatamente non possediamo la sufficiente e necessaria autorità per eludere l’ostacolo senza intoppi di sorta, accogliere ciò che la vita ha da offrirci è l’ovvia e umana attitudine da mostrare ogni volta si presenta una tale evenienza al cui passaggio doversi inchinare sebbene il contrasto nutrito nei suoi riguardi sia così palese da convincere il più scettico del suo essere indiscutibile. La prevedibile conseguenza nella quale la tendenza forzata a un’esistenza separata, pretendendo, ottiene la sistemazione di perno attorno cui orbitiamo da sempre obbliga la nostra persona a un certo atteggiamento incline alla fuga davanti alla convivialità superficiale, riducendo, in questo modo, allo stretto indispensabile opportunità del genere e focalizzando la propria attenzione in via esclusiva a taluni individui caratterizzanti il nucleo famigliare nel quale siamo stati catapultati dal destino, questa volta benevolo nei nostri confronti, già responsabile degli avvenimenti in cui abbiamo calzato alla perfezione i panni di un capro espiatorio che, pure adesso, sembra doversi sacrificare ancora al posto di altri: a questo punto, riscontrare una ben precisa difficoltà nell’aprirsi al nuovo, fidandoci delle offerte esterne che paiono volerci omaggiare della loro presenza né gradita né disdegnata, risulta lapalissiano decidere di basarsi unicamente sulle proprie forze, le uniche in grado di trainarci là dove vogliamo andare e di sostenerci per l’intera durata del tragitto, lealtà fiduciosa nei riguardi di chi, per certo, non ci deluderà mai.
L’alba di un qualsiasi nuovo giorno, però, potrebbe portare con sé l’esatta strategia affinché quelle stesse sicurezze radicate nel profondo della nostra anima vengano finalmente rovesciate dal trespolo che, fin dall’inizio, è stato agguantato con ostinata risolutezza, una presa ad artiglio che, più si cerca di rimuovere, più detiene la posizione conquistata nel tempo, esigendo la proprietà relativa a quel cavalletto dove il nostro precordio soleva giacere all’ombra di una spensierata felicità da passato allegro e festante, istanti dall’antico sapore che, ormai estinti, risuonano nella psiche come pioggia battente, tempesta di vita in cui i fulmini e le saette appaiono ancora oggi quando meno ce lo aspettiamo: in conseguenza della vittoria sulla motivata paura legata al rimescolare carte già adoperate in un’epoca lontana che vorremmo rimanesse chiusa nell’ermetismo proverbiale di un forziere, a seguito di un preterito che vorremmo disperatamente dimenticare perché, qualora rivangassimo un appezzamento dove già l’azione dell’aratro ha recapitato i suoi magici frutti, conoscere la realtà dei fatti, comunque, non ci presenterebbe alcuna lampante novità in merito al nostro oggi prestato volentieri all’assaggio quotidiano, diventare capace nell’identificare l’unione in grado di fare la forza, cominciando, inoltre, a credere che, solo insieme, discrepanti persone dall’opposto temperamento abbiano la concreta possibilità di nutrire aspettative propizie come mai prima, superando, quindi, le prove capitate loro tra capo e collo, osando quasi nel donarsi vicendevolmente la giusta dose di stima sincera, provoca il rinvenimento di un vetusto desiderio sepolto nei meandri di un’esistenza in decomposizione, voglia irrefrenabile di far luce su un’oscurità malcelata dove le tenebre prendenti sopravvento avvolgono pure il più innocente dei gigli, radendo al suolo ogni entità sul suo cammino per poi trasformare le rimanenze in una bugia inespressa, quella menzogna che, con la sua eco spaventosa, infanga, umilia, colpevolizza.
Ed è fin troppo chiaro che ora la verità scalpita per emergere dalle ime acque dell’oblio, un cupo e tetro pozzo sorto dai cimeli della memoria nella quale si è sempre vissuto con la consapevolezza per cui la precedente generazione abbia commesso misfatti criminosi della peggior risma, morte precoce di un uomo che, nonostante seguiti imperterrito la strada maestra nell’al di qua di un’esistenza nel fiore degli anni, si sia ormai concluso sotto le pugnalate inferte alla schiena di una coscienza pietosa scambiata erroneamente per abominevole, un circolo vizioso dove l’aria irrespirabile conduce alla fine di un percorso fatto di scossoni e deviazioni non accettabili per lo spirito puro che ha dovuto subirli senza fiatare: non è mai stato semplice navigare in acque caliginose nelle quali albergano creature mitologiche da cui stare rigorosamente alla larga, strani figuri che, se aizzati, potrebbero apparire come una moltitudine ingente di vasi dalle così eccentriche fattezze a cui Pandora non sarebbe mai riuscita a resistere, volontà non di ferro accentuata dalla sete di rivelare l’arcano, riabilitando un nome che il fato crudele ha portato all’autodistruzione, estremo colpo di testa che, arrivando in un momento giusto eppure sbagliato, ha saputo chiudere la partita prima di poter attuare la propria mossa, ma, qualora si trovasse il coraggio bastante nel compiere l’impresa, l’itinerario muterebbe da salita a discesa, una prospettiva differente del medesimo panorama all’orizzonte, qualcosa che regali al meritevole la seconda opportunità per cui tutto incarni il possibile, vento favorevole che permette di solcare le onde in avvicinamento, gli stessi marosi che hanno tentato in ogni maniera di disturbare il quieto benessere dell’avventuriero, cavalloni spaventosi che, sotto una luce completamente ineguale, assumono la forma praticabile dell’anticipo sui tempi, ritardo scampato, almeno per questa volta, che, grazie alla sua essenzialità intrinseca, non perde terreno e ne acquista di nuovo.
Tuttavia, conquistare la materializzazione degli intimi desideri persuade che qualsiasi obiettivo giustifichi l’impiego di ogni mezzo a disposizione, una chiara giustificazione molto spesso abusata capace di intorpidire e spegnere momentaneamente quell’umana sensibilità di cui ognuno di noi dovrebbe essere provvisto, favorendo nell’uomo disposto a non rinunciare la sintomatica formazione di idee stravaganti in grado di rivelarsi, col senno di poi, nefandezze innominabili che conducono i loro protagonisti ad abbandonarsi al vituperevole egoismo, in particolar modo se di fronte a smacchi che sembrano essere indirizzati verso la nostra persona, il classico bersaglio da centrare al primo colpo che, sebbene avvenga in rare occasioni da incorniciare quali episodi stupefacenti, può riuscire ad attirare la cortesia di un uno, emozione straordinaria che risalta e si espande, assorbendo, tra l’altro, le cicatrici di una folgorante era dove la falce vestita di ombre notturne suole passeggiare inosservata: per quanto una porzione di campi non sia da considerare adeguata alla crescita di colture poiché non tollerante della vita, quasi alla stregua di una prova tangibile che dimostra la veridicità del detto popolare per cui dal male può nascere sempre del bene, proprio al pari di un’erba gramigna dai paradossali effetti benefici, l’amore può insediarsi persino nelle nicchie riparate ad oltranza, senza che alcun individuo nasca con l’inclinazione a contrastare e fermare l’avanzata di un potenziamento sentimentale del genere, frutto proibito dell’albero dispensatore di informazioni con le quali, in assenza di una valida opzione da scegliere, bisogna convivere se non si anela alla fossilizzazione del cuore e alla sua prematura scomparsa derivata, un organo pulsante che attende, guardando e non toccando, ammirando da lontano l’oggetto della sua latente bramosia.
Infatti, quando entrano in gioco i moti interiori di spontanea affettività, tumulti dell’indole nel cui clangore venire sballottati significa vivere in ogni forma possibile, la naturalità della nostra essenza contempla il gettare la maschera esterna della quale facciamo uno sfoggio eccessivo, oltre le sue reali incombenze di professionista della truffa, esibizione ostentata di qualcosa che non siamo ma che vorremmo essere per accontentare le volontà di un ipotetico pubblico richiedente quel determinato ruolo a cui adeguarci, nostro malgrado, consapevolmente, artificiosa perfezione che si sgretola nell’attimo in cui l’imprevisto appare e non si eclissa più: benché sia onnipresente il timore fondato di sfigurare con il prossimo qualora ci si azzardi nell’espressione totale delle macchiette in personale detenzione, superficiali nei alla mercé dell’indiscrezione di un occhio curioso, abbigliarsi con gli indumenti del nostro guardaroba è la tattica migliore per farci apprezzare dal riflesso del nostro affetto, quello specchio di purpureo mosto in cui annegare i dispiaceri da vita intensamente vissuta, un’immagine gemella che non avanzerà mai il suo giudizio senza prima valutare, in maniera disinteressata, il quadro d’insieme, un dipinto fatto e finito nella cui pienezza sono annoverati sia negatività sia positività, yin e yang che, sebbene dagli esordi hanno optato per guerreggiare tra loro, non possono esistere isolati, equilibrio precario che soltanto la passione sa stabilizzare davvero perché è l’unica entità in grado di trionfare (d)ovunque, anche a seguito di mille e più disgrazie.
Dopotutto l’amore è casa, qualsiasi sia il luogo dove ci troviamo.
Dove cade il fulmine è pura adrenalina di pagine scorrevoli in continua scorsa. Sebbene mantenga alto l’elevatissimo tenore dei tre volumi che lo hanno degnamente preceduto, al contrario di essi, nelle vene della storia di Jack e Andréa scorre la china dell’azione e l’inchiostro della suspense, un ambo di caratteristiche che rafforzano il già dominante magnetismo della scrittura di Ornella De Luca, un’autrice che, oltre a riconfermare il suo innegabile talento, dimostra una poliedriticà d’adattamento senza eguali, scrutatrice indefessa, nell’oscurità delle sfumature di un singolo genere letterario, di taluni dettagli consoni al rapimento totale del pubblico preso all’amo a suon di colpi di scena. A cavallo tra passato e presente in un continuo rincorrere di fatti accaduti ripercuotenti l’oggi più di ieri, i capitoli narranti le vicissitudini, congiunte o meno, dei due protagonisti principali del quarto volume della The Orphanage Series scandiscono un ritmo fatto di slanci periodici e pause ad effetto, un’altalena in perpetuo movimento che, attraverso la sua peculiare evoluzione mantiene in allerta l’uditorio, imponendo agli astanti di rimanere in allerta qualora, da un momento con l’altro, un ulteriore indizio decidesse di mostrarsi, al loro sguardo, in tutta la sua magnificenza, elargire sempiterno di inconfutabili segnali che, uniti come in una classica pista cifrata da settimana enigmistica, guidano all’identificazione del tratteggio finale, un risultato prosaico dall’insita poesia dove ogni particolare è stato studiato fino in fondo, esplorando la sua miriade di anfratti nascosti pur di esaltarne la fascinosa grazia della quale si accompagna, una sinfonia musicale realizzata con lessemi e punteggiatura che, vagliati al microscopio uno per volta, sa ancora sorprendere i perspicaci nell’abitudine di indovinare le dinamiche taciute prima ed estrinsecate dopo: poiché sono gli ingranaggi a rendere funzionante il meccanismo e a designarlo come il migliore mai costruito. Nulla di più.
Scheda libro
Titolo: Dove cade il fulmine
Serie: The Orphanage Series #4
Autrice: Ornella De Luca
Casa editrice: –
Pagine: 407
Anno di pubblicazione: 2018
Genere: Romance, Narrativa
Costo versione cartacea: 12.48 euro
Costo versione ebook: 0.99 euro
Link d’acquisto: Amazon (ebook), Amazon (cartaceo)
28 Dicembre 2018 at 20:06
Beh che dire se non avessi già letto il libro le tue parole mi invoglierebbero a leggerlo di corsa. Hai usato come sempre bellissime parole che coinvolgono e danno l’impressione di voler tuffare subito tra le pagine di questa storia.
Come ti ho già detto mi è piaciuto tantissimo questo libro, lo reputo superiore agli altri e penso proprio che Ornella sia sempre più brava