Vi è mai capitato di sentirvi fuori posto nel vostro medesimo universo, quel luogo usuale in cui avete sempre abitato, ma che per un’ignota e strana ragione ora vi è quasi del tutto estraneo, cambiamento fulmineo e radicale che denota, nel vostro cuore, la mancanza di qualcosa dalla peculiare necessità dominante, senza, però, sapere davvero cosa si nasconde dietro tale imperativo esistenziale, un’urgenza interiore da non sottovalutare poiché con lo scorrere indefesso dei minuti non potete fare a meno di percepirne la crescente assenza?
Se mi metto a riflettere sulla mia esperienza personale che, nonostante la mia età predisponga un limite decisamente contenuto per una ricerca invasiva nell’appena menzionato campo pregresso dal magico effluvio balsamico, permette comunque di farsi un’idea ben precisa seppur generica della contingenza in atto, ottengo facilmente l’opportunità di confessare che ho avuto più volte l’occasione di vivere una simile alienazione sulla mia pelle, originale straniamento dalla duplice natura per la quale, a volte si può considerare con una specifica positività che, tramortendo, fa sorridere prima e ben sperare poi, a volte, invece, viene comunicato un evidente negativismo che, angustiando, perseguita e dopo consuma fino all’esaurimento scorte: che sia l’una o l’altra versione, palese dimostrazione del fatto per cui una moneta ha sempre due facce uguali e opposte, con l’unico obiettivo di appianare una divergenza d’intenti non troppo contenta di vedersi risolta, la sottoscritta tende sempre a rifugiarsi tra le pagine di un libro, uno scudo protettivo capace di difendere strenuamente il suo beniamino senza chiedere in cambio nulla a parte la completa devozione e la totale attenzione nel preciso frangente temporale di presa visione dalla stesso, quattro mura generatesi dalla carta e dall’inchiostro fra le quali sentirsi a casa ogni attimo che conferma la varietà del molteplice, insieme definito di sfumature garante dei natali a un volto in grado ancora di esprimersi omettendo le parole superflue di una vita trascorsa solo ad aprire e chiudere la bocca.
Waterloo. I cento giorni leggendari di Matteo Bruno, pubblicato dalla casa editrice BookRoad il 21 marzo, è stato per me il rimedio giusto a un analogo tracollo predetto, una medicina prodigiosa che ha saputo tenermi compagnia quando la tentacolare solitudine avrebbe desiderato avere la meglio su di me, implicita vittoria sull’oblio per cui devo ringraziare Roberto del blog Thriller Storici e Dintorni che mi ha invitata al blogtour di sua organizzazione dedicato proprio all’opera dell’autore perugino, un testo straordinario che spero di poter celebrare, nel mio piccolo, con il seguente Thr33 Words creato ad hoc per lui.

Creazione a cura di BookRoad

Avete presente l’esatto momento che oracoleggia il semplice appoggio del piede sull’uscio della propria roccaforte domestica a seguito di una giornata trascorsa all’esterno di essa nel più frettoloso impegno alacre verso cui ci si è votati anima e corpo esclusivamente per dare buona prova di sé stessi durante le ore diurne, guadagnando abbastanza per sostentarsi e continuare questo ciclo infinito di gioie miste a dolori?
Ebbene, quando l’ipotetico e, molto spesso, immaginario cartellino viene timbrato per l’ultima volta nell’arco feriale dedicato al lavoro, esoterico rettangolo di piccole dimensioni che sancisce l’entrata e l’uscita da una fantasiosa prigione senza sbarre definitive di fermo, la piacevolissima sensazione del ritorno alle origini di giornata rende affascinanti e gradevoli pure quelle azioni quotidiane di cui ci priveremmo seduta stante, come il traffico all’ora di punta che ha la capacità di sequestrare le automobili coinvolte e relativi conducenti per un lasso di tempo imprecisato e non quantificabile manco da un calcolatore elettronico mega galattico o anche il ritardo dei mezzi pubblici che, oltre ad appartenere all’era del paleolitico in fatto di tecnologia super avanzata, immancabilmente risultano così stracolmi da portare l’essere “vicini vicini” a nuovi livelli di morbosa attaccatura reciproca, esempi tangibili questi di circostanze effettive che perdono del loro ostile valore innanzi al paragone sbilanciato con l’Inconfondibile essenza di casa dove ci attende l’impaziente libertà dalle briglie soggioganti di vestiti stretti ben oltre il kafkiano, trappole inusuali che, però, sanno cosa vogliono e se lo prendono con esagerata facilità.
Perché mai sto disquisendo su un argomento che forse esula dall’attuale opinione letteraria? La ragione è davvero semplice, credetemi. Leggere Matteo Bruno porta esattamente alla medesima conclusione di rifugio amorevole e ospitale: quale impronta digitale dall’intrinseca unicità, un marchio di fabbrica che già alla sua prima opera si può evincere in maniera oltremodo elementare, lo stile dello scrittore denota una bravura non indifferente che mostra quell’eccezionale talento assai innato nel raccontare e descrivere occorrenze contornate da personaggi, ambienti ed emozioni, triade fissata in grado di ammettere l’identificazione vincente e precisa di modus operandi convenzionale del paroliere BookRoad, una firma calligrafica che, sebbene ti aspetti, sa sorprenderti una pagina dopo l’altra, sempre.

Il giusto bilanciamento, affinché gli eventi localizzati sulla linea temporale di un qualsivoglia testo si susseguano attraverso una modalità chiara e semplice per il pubblico medio, è rappresentato da una linearità di base concernente prima l’elargire la storia da parte dell’artista di lessemi e poi l’assimilare la stessa nella sfera personale del lettore: quando ci si predispone all’arrembaggio di capitoli in sequenza dalle pagine impazienti di essere voltate una per una, un viaggio vero e proprio in cui chi si offre come cavia volenterosa non vede l’ora di farsi artefice, insieme al musicista dei vocaboli del caso in esame, di una grandiosa scoperta da laboratorio avanzato, un amante della carta stampata, quale sono io, pretende la concretizzazione autentica di uno sviluppo di trama pulito ed esponenzialmente incline a una maturazione regolare, tipica crescita in cui la globalità degli elementi implicati si sincronizza sulla medesima lunghezza d’onda, quel gigantesco cavallone al quale solo insieme si può sopravvivere.
Ho sempre pensato, quindi, che fosse capitale in un romanzo la presenza tangibile di quell’espansione ritardata eppure scorrevole in grado di accompagnare placidamente il viandante di china dall’incipit all’epilogo della storia, un incedere perpetuo e costante che, sprovvisto di innaturali urti e contraccolpi da riproduzione permanente, avanza con la giusta cautela a braccetto dei passeggiatori della risma, suggerendo comunque dei canonici plot twist per accendere nuove micce di ulteriore curiosità nella mente degli astanti poiché mantenere la loro concentrazione alta è uno degli obiettivi principali di un libro che vuole assicurarsi la vittoria su tutto l’uditorio: in Waterloo. I cento giorni leggendari, si può assistere a un progresso di tipo durevole sia nel carattere dei personaggi astratti e reali concretizzati dalla penna perugina sia nelle vicissitudini da ambientazione scenografica di fondo, un’elaborazione dettagliata che, minuziosa, rivela la cura maniacale di Matteo Bruno anche nelle inezie da poco conto, particolari significativi che confermano la loro importanza mostrando al lettore il tragitto curvilineo degli amici d’inchiostro, un percorso dal tornante facile in cui le anime si espandono e si fondono, inglobandosi a sentimenti tormentati e a passioni sfrenate, addormentati modi di fare che si risvegliano in un fendente ben piazzato, lesione accidentale di un momento che saprà riverberare per sempre come luce di stella nascente.

Perché la gente decide volontariamente di prendere il volo in direzione di lidi paradisiaci nei quali stare durante un certo periodo di tempo per lo più estivo? Magari per riposarsi dopo le mille e più fatiche alberganti la loro vita di ogni giorno, quella stessa quotidianità di cui si fanno portatori sani benché a volte sappia esaurirne le risorse disponibili fino allo stremo delle forze?
Oppure forse per modificare completamente il corso della propria esistenza, andando allo sbaraglio delle infinite possibilità serpeggianti la loro atmosfera circostante, un mondo parallelo che, sebbene ancora non l’abbiano vissuto, non vedono l’ora di abbracciare e ivi esistere?
Qualsiasi sia la causa, il risultato è sempre il medesimo: con una mano si prende la valigia in cui il sufficiente e necessario viene preservato racchiudendolo in un massiccio forziere dal persistente sigillo, e con l’altra si imbraccia la mappa della destinazione lontana divenuta, ora, transitoria patria nella quale si devono abbracciare gli usi e i costumi di un patrimonio culturale da esplorare ancora interamente, Suggestivo pianeta dove la tradizione prende piede e tende la mano agli amici stranieri, insegnando loro a vivere a pieno l’esperienza in corso.
A onor del vero, però, il suddetto iter procedurale può essere espletato anche tramite l’immediato sfogliare di libro, una vacanza spettacolare che trasporta con sé proprio là dove i figli di carta sono stati allocati dallo scrittore, una piuma instancabile che consente al pubblico di conoscere non solo gli ideali dell’epoca temporale di adattamento, ma anche gli spazi limitrofi di cornice, aspetti considerevoli che è vicino all’idoneità di affinare l’ovvio legame in formazione tra reale e immaginario, linea di confine lungo la quale il personaggio incontra la persona e la saluta amichevolmente: Matteo Bruno è riuscito a creare da zero un cosmo in cui si respira davvero l’aria dell’era napoleonica, un’eternità dalla durata finita che, tra le righe calibrate dell’autore, si riesce a padroneggiare l’indole della società di una volta, agglomerato di individui che, mossi da arcani desideri smaniosi di vedersi realizzati sul serio, si gettano nella mischia lottando pure quando le fatalità sembrano esser loro nemiche, antagoniste di ieri, oggi e domani che non sanno accettare alcuna disfatta se non quella rivale, malinconico tramonto che, nonostante tutto, deve prepararsi a una nuova alba.

 

 

Si ringrazia la casa editrice BookRoad per la copia ricevuta in omaggio.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Waterloo. I cento giorni leggendari
Autore: Matteo Bruno
Casa editrice: BookRoad
Pagine: 373
Anno di pubblicazione: 2019
Genere: Narrativa storica
Costo versione ebook: 7.99 euro
Costo versione cartacea: 14.90 euro
Link d’acquisto: Amazon (ebook), Amazon (cartaceo)
Sinossi: Isola d’Elba, febbraio 1815. Il giovane Giacomo Boschi, scudiero di Napoleone, idealista, profondo ammiratore dell’imperatore e cavallerizzo esperto, riceve una grossa delusione d’amore quando Elisa Mancini, la ragazza di cui è segretamente innamorato, va in sposa a un ufficiale britannico. Per lui la fuga di Napoleone è l’occasione di liberarsi dai tormenti sentimentali, e seguirlo in Francia gli permetterà di vivere cento giorni entusiasmanti, con indosso la divisa da corazziere e un nuovo amore nel cuore. Nel frattempo Elisa si reca con il marito a Bruxelles, dove gli alleati si radunano per affrontare la battaglia decisiva a Waterloo.