Avete presente la famosa sensazione per cui, solo quando si ricomincia ad abbracciare una remota passione magari da tempo dimenticata, ci si rende conto dell’infinita assenza portata in seno da quel tale amore incondizionato, un sentimento rimasto sopito che esclusivamente nell’istante più opportuno si manifesta nel suo splendore conclamato da destra a manca?
Con l’unico obiettivo di concedermi una piccola pausa a seguito dell’ultimo esame dato nella presente sessione estiva, mi sono riavvicinata a due attività che, con lo scorrere degli anni, si sono aggiudicate senz’ombra di dubbio il mio totale interesse, da una parte il disegno a mano libera, piccola parentesi non letteraria a cui cedo molto volentieri per eliminare l’irrequietezza dell’attimo fuggente scovando di nuovo la tranquillità che dovrebbe ogni volta rallegrare l’esistenza di tutti noi, e dall’altra il viaggio nei classici regency, avventure di pagine e inchiostro delle quali ho sempre apprezzato l’elegante fattura e il sottile umorismo celantisi nei lessemi scelti con estrema cura dal loro autore, un paroliere spesso in grado di indurre il suo uditorio a pranzare lautamente con il banchetto su carta stampata proposto quasi per magia all’attenzione pubblica che, seguendo un ritmo incalzante e privo di soste indesiderate, si ritrova a chiudere il romanzo prima di quanto si aspetta davvero: infatti, subito dopo aver realizzato, da grande innamorata persa della Disney in versione animata, un piccolo Stitch senza troppe pretese, grazie alla carissima Mara di Romance e altri rimedi che si ha indossato alla grande le vesti di organizzatrice dell’odierno Review Party, ho avuto l’occasione di conoscere Georgette Heyer, un’eccezionale piuma che faticherò a scordare poiché L’imprevedibile Venetia, come del resto dice il medesimo titolo dell’opera presa in esame, si è rivelata un fulmine a ciel sereno, una brillante meteora che, sebbene abbia illuminato per pochi giorni il mio cielo, è stata capace di azzerare la mia vista lasciandola inebetita di fronte al resto del mondo, ombre ormai silenti che, davanti all’evidenza dei fatti, risultano così scialbe e insulse da eclissarsi con facilità, portandomi all’emblematica domanda di rito Perché la storia della signorina Lanyon e di Lord Damerel è già terminata?.
Perciò, appurato da queste mie parole iniziali che il sopra citato tesoro di capitoli in successione rimarrà nel mio cuore finché morte non ci separi sancendo un matrimonio dal quale nessun lettore sano di mente divorzierebbe mai, mi auguro di riuscire a rendergli almeno un poco di giustizia mediante il seguente Thr33 Words che, assieme ai pareri di altre mie colleghe blogger, saprà rinfrescarvi nonostante le temperature canicolari da incubo.
Creazione a cura di Susy, admin del blog I Miei Magici Mondi
Secondo voi, utilizzando un semplice gruppo casuale e disparato di vocaboli, è ottenibile la concretizzazione delle potenziali disgrazie di una vita in cui i dolori paiono vincere a tavolino contro le sporadiche gioie rare e preziose, lasciando nella bocca vorace del pellegrino di china un retrogusto non amaro come fiele bensì dolce quale zucchero filato?
Evidenziando, a scanso di equivoci, che non mi sto affatto riferendo a una realizzazione banale dei drammi seri attanaglianti il costante incedere degli abitanti del mondo effettivo, la totalità palpabile di quegli individui che spartiscono tra loro la vecchia “amica” iella smembrata in parti (dis)eguali, a mio avviso ho sempre creduto che le narrazioni ove la tristezza dei fatti messi in scena si mescolasse perfettamente alle gioconde contingenze esistenziali siano non solo possibili, ma anche auspicabili affinché fronteggiare un libro non diventi l’ipotetica tredicesima fatica di Ercole a causa della tragica atmosfera creatasi dal nulla, obbligando, quindi, a far proprio un icastico mood da vicina catastrofe apocalittica, ma blandisca dolcemente lo spirito errante in modo tale da cicatrizzare antecedenti ferite con gentili tenerezze da improvviso attaccamento emotivo scaturito da una terminologia aulica e comprensibile insieme: fin dal suo spumeggiante incipit per certi versi forse troppo poco movimentato come il resto dell’opera poiché la scrittrice si è consacrata al mero tratteggio dei fratelli Lanyon tramite una descrizione ampia e minuziosa che di dettagli si nutre e ulteriori dettagli produce, L’imprevedibile Venetia di Georgette Heyer esprime la sua natura duale facendo emergere, dall’oblio di pensieri solo vergati, una buona dose di mestizia unita a un comico dispensare sui generis, battute al vetriolo che, indotte dalle loro stesse fattezze interiori, rendono gradevoli pure situazioni spinose dove i personaggi protagonisti rimangono invischiati loro malgrado, vicende spesso asfissianti che, però, vengono smorzate dalla fluida parlantina briosa idonea all’esposizione sia diretta sia indiretta, voci fuori e dentro il coro che, occhiate significative alla mano tesa verso il personale destino, riempiono vuoti conseguenti ai disagi imbarazzanti vissuti, salvagenti provvidenziali per un mare tempestoso che non sa come chetarsi e nemmeno vuole saperlo.
Quando mi pongo l’obiettivo di scrivere un racconto non solo per la Creativity Blogger Week, ma anche più in generale, la mia paura più grande, condivisibile o meno dai veri e propri autori a cui chiaramente mi inchino profondendomi nelle scuse più sentite qualora ledessi il loro buon nome con le suddette mire davvero ambiziose rispetto la mia umile persona, è quella di perdere il ritmo come per Kuzco ne Le follie dell’imperatore, una cadenza quasi musicale, forse dovuta al mio retaggio da pianista mancata, che viene scandita da un metronomo immaginario abile nell’attivarsi sempre, sia nell’istante in cui decida di affrontare una nuova lettura dove mi prendo carico dell’essere astante esperta, sia nell’attimo durante il quale da spettatrice per antonomasia mi elevo sul palcoscenico nei panni dell’attrice sperando, in maniera assai perpetua, di non ricevere troppi pesci in faccia: includendo nell’equazione pure la mia abituale vocazione alla lettura celere, un’assimilazione mai sbrigativa a cui mi piace identificare alla stregua di un potere oltremodo speciale, se mi scontrassi con un’esposizione macchinosa di peripezie letterarie dove gli artifizi fabbricati ad hoc spiccano in maniera tale da enfatizzare un abisso sconfinato tra la cronaca illustrativa e i resoconti parlati, da serial killer delle pagine non posso fare a meno di contrariarmi poiché essere obbligata a spezzare la mia immersione assoluta, per via dello sfortunato intervento di pause non volute oppure della loro opposta assenza esecrabile, non solo renderebbe difficoltoso un impegno per cui non ho mai sentito alcuna necessità di forzatura, ma spezzerebbe anche l’incantesimo grazie al quale la precisa armonia di tutti gli elementi proiettati alla resa conclusiva del relativo defaticamento.
Perciò, innanzi al bilanciatissimo amalgama de L’imprevedibile Venetia, mi è stata regalata la magnifica opportunità di ascoltare un’eccellente sinfonia orchestrale nel cui gruppo affiatato ogni componente è riuscito a trovare il suo posto nel mondo di Georgette Heyer, un’autrice con la A maiuscola che ha saputo generare un irreprensibile impasto dove mutamenti sul fondale di scena e conversazioni, a volte grottesche, dalla risata assicurata si sono scontrati e amati in un battito malizioso di ciglia imbellettate.
I colpi di fulmine esistono sul serio, lo abbiamo finalmente appurato!
Ormai non ricordo più quante volte l’ho detto e ripetuto a voi tutti, scusandomi anche del mio finto Alzheimer a riguardo data la frequenza già menzionata con cui mi sono dilettata a parlarvene, ma non mi stancherò mai di associare i libri a un benefico rifugio entro le cui mura potersi segregare buttando via la chiave senza troppi pensieri in merito: quando ci si sente assaliti dalla sofferenza, qualsiasi sia la caratura della stessa, e, pertanto, si avverte il bisogno di recuperare la letizia smarrita per strada o nel momento in cui si è così contenti da voler mantenere il proprio umore ridente applicandosi agli interessi riflettenti il nostro cuore palpitante alla continua ricerca di ennesimi trasporti, alla pari di un toccasana universale, iniziare a sfogliare un volume confezionato a regola d’arte si immedesima completamente nell’unica metodologia funzionante che permette di estraniarsi e di partecipare al contempo a quell’esistenza personale nascondente la fede intrinseca nella nostra assoluta concentrazione oggi e domani come nel passato, ubiquità ormai dimostrata della quale gioiamo, sfruttandola a pieno da mattina a sera e senza posa alcuna.
Invocando la mia evidente infermità mentale legata con un robusto nodo scorsoio al gigantesco fervore che riservo alla letteratura classica, patologia radicata nel mio intimo fin dalla tenera età visto che, subito dopo i libricini di Geronimo Stilton, mi ci sono dedicata al 100%, fiondandomici quasi ne andasse della mia giovane vita, posso confessare a gran voce che l’abbraccio Caloroso de L’imprevedibile Venetia ha accondisceso alla sottoscritta di sentirsi completamente a casa, quel luogo privato dove per tutti è innegabile il diritto ad abbassare la guardia e annullare le difese, captando, alla fine della fiera, la proverbiale quiete del sereno dopo una tempesta da guinness dei primati, stretta da togliere il fiato che conforta e rinvigorisce il sufficiente e necessario, impiegando una signorilità di classe e una proprietà di linguaggio che, distintivi dell’epoca adottata, non tramonteranno mai: dopotutto, solo guardando al passato, si può motivare il tragitto battuto per arrivare dove siamo e capire cosa il futuro vorrà riservarci, autentica parenesi di un’intera esistenza che, suscitando la riflessione profonda nell’oggi, consegna ai posteri un’ardua sentenza da espletare domani.
Si ringrazia la casa editrice Astoria Edizioni per la copia ricevuta in omaggio.
Scheda libro
Titolo: L’imprevedibile Venetia
Autrice: Georgette Heyer
Casa editrice: Astoria
Pagine: 393
Anno di pubblicazione: 2019
Genere: Regency
Costo versione ebook: 9.99 euro
Costo versione cartacea: 18.50 euro
Link d’acquisto: Amazon (ebook), Amazon (cartaceo)
Sinossi: Uno dei personaggi più affascinanti e divertenti di Georgette Heyer, Venetia Lanyon è una giovane donna cresciuta in totale isolamento a causa di un padre freddo e distante, che anni prima, alla morte della moglie, aveva deciso di rinchiudersi con i figli nella tenuta di, campagna. Sua unica compagnia i libri, il fratello minore Aubrey, sempre immerso nello studio, e un grande senso dell’umorismo. Giunta ai venticinque anni, Venetia immagina per sé un futuro solitario: da un lato i corteggiatori noiosissimi e dall’altro l’indipendenza economica le fanno ritenere che non sposarsi possa essere la soluzione migliore. All’improvviso però nella sua vita precipita lord Damerel, vicino di tenuta e libertino dalla reputazione orribile, con cui Venetia condivide da subito il senso dell’umorismo e la passione per discussioni argute.
10 Luglio 2019 at 20:34
Tra i tre aggettivi che scegli ce n’è sempre uno che preferiso in particolar modo e in questo caso è tragicomico perchè penso sia perfetto per questo libro.
Sono davvero contenta di averlo letto e aver conosciuto grazie a Mara una brava autrice come questa