Condividere una qualsiasi passione con individui diversi da noi stessi è sempre una bellissima sorpresa che, folgorante come un raggio di sole fendente le nubi cariche di tempesta, illumina il nostro cuore a giorno, scaldandolo col suo torrido abbraccio. Se, poi, l’affetto spartito equamente dirompe con la medesima intensità, sottolineando un’analogia quasi inaspettata da aggiungerla alle già molte coincidenze successe tutte insieme, allora, fatidica è la creazione di un legame profondo che si staglia trionfante dinanzi a ogni differenza e impedimento di sorta.
Perciò, sono davvero felice di partecipare, ancora una volta, a un evento tra blogger poiché dialogare con il prossimo di libri è il miglior modo, a mio avviso, di trascorrere il tempo a nostra disposizione: ringrazio Susy de I miei magici mondi per avermi invitata a dare il mio contributo nel blogtour, parlando, in data 5 giugno, di alcuni personaggi, correlati da prestavolto, scelti in maniera oculata, tratti dal libro preso in esame e, oggi, recensendo direttamente, assieme alle altre colleghe, Dimmi che ti ricorderai di me, il primo young adult di Katie McGarry che affronto con piacere, una storia che mi ha portata a provare sentimenti forti e discordanti, un viaggio letterario che non dimenticherò mai.
Hendrix Page Pierce si può definire finalmente libero. Dopo aver trascorso sette mesi in riformatorio e i successivi tre mesi nella foresta a camminare, pagaiare e stringere amicizia con le montagne attraverso sali-scendi pressoché infiniti, accompagnati dalla totale solitudine del luogo che tanto ha confortato la sua mente in subbuglio, un progresso repentino per cui deve ringraziare il programma Seconda chance lanciato dal governatore Monroe che si vanta di poter piazzare le ipotetiche basi per un fermo alla linea diretta scuola-prigione concernente gli adolescenti problematici, il giovane diciassettenne ha l’opportunità concreta di riabbracciare Axle, il fratello maggiore tatuato che lo accoglie in casa, sotto la sua personale tutela, al pari del figliol prodigo, avvinghiarsi di nuovo a Holiday, la sorella minore per la quale usa ancora il diminutivo -ina sebbene l’età di lei sia oltremodo vicina alla sua, e stringere in una sola morsa Dominic con Kellen, i due vicini di casa che, soliti scavalcare la rete divisoria in risposta al bisogno di sfuggire al padre violento, sono entrati dalla porta d’ingresso del suo cuore, instaurando un legame che va oltre il mero e banale sangue, un punto di contatto che solo con gli affini si può intravedere da lontano ed esaltare accanto.
Tuttavia, non si ottiene nulla in cambio di niente. Infatti, essendo stato scelto come portavoce del progetto di psicoterapia e percorsi educativi specializzati a cui ha attivamente partecipato con successo, il ragazzo ha i riflettori puntati addosso, tanti spot insistenti che lo studiano al pari di una cavia da macello, uragano mediatico che imperterrito si abbatte spietato su di lui una volta sì e l’altra pure: quando lo chiamano, che sia per una conferenza stampa o per una raccolta fondi generica, deve per forza rispondere, senza alcuna eccezione. Perciò, alla Fiera di Maggio a Louisville ci si aspetta che faccia il bravo, vestito da damerino per l’occasione, ma nessuno, di certo neanche Hendrix, avrebbe mai previsto un incontro simile, soprattutto al solito gioco Colpisci la talpa.
Non tutti possono avere l’occasione di riabilitarsi, mondando la propria anima in pena che brama solamente l’assoluzione del prossimo e l’altrui consenso. Dopo una vita trascorsa a cercare di sopravvivere agli sballottamenti del destino, fortune intervallate a smacchi in un’altalena impazzita, montagne russe che, seguendo i binari a loro assegnati, hanno saputo guidarci, con strattoni improvvisi e spinte in avanti, verso supreme altezze di beatitudine dove il trionfo e l’avventatezza si sono imbucati nella nostra casa, ribaltandone l’ordinaria amministrazione vigente, una festa a sorpresa che, col senno di poi, ha causato molteplici inconvenienti a discapito del trastullo agognato, ottovolanti fuori controllo che, al momento meno opportuno, quando pensavamo di avere ormai un futuro roseo con eminenti prospettive di esistenza, scendono di colpo planando in picchiata per vallate infernali capaci di risucchiare tutte le immagini positive appartenenti al passato e le opinioni personali scaturite dallo stesso ieri, attirati da una forza gravitazionale degna di un buco nero, quel pozzo senza fondo dove smarrirsi per sempre, divorati dalla consapevolezza dell’oggi nei riguardi di un domani già incerto nella sua natura palesatasi ora fin troppo dubbia, all’orizzonte si staglia l’opportunità da cogliere, l’unica via di salvezza che ha la potenzialità di allontanarci dalla prigione diventata per noi famigliare, una gabbia nella quale abbiamo incarnato, senza sforzo, perfetti animali in cattività consapevoli delle azioni eseguite, un memorandum periodico che, imperterrito, ricorda e, per questo, ferisce, coltello che vorticosamente gira nella piaga e affonda, pelle lacerata, nervi intaccati, dolore intenso da spartire con sé stessi in totale solitudine, ennesimo carcere con cui dover fare precisi conti da serva oberata.
È sufficiente un battito di ciglia affinché l’esistenza grama a cui ci stavamo abituando con calma estenuante modifichi il suo corso di per sé precipitoso, indirizzandoci verso un altrove estraneo eppure conosciuto, quella famosa realtà a cui avevamo voltato le spalle rassegnati dalle vicissitudini appartenenti a un pregresso diverso dall’attualità, un radicale cambiamento al quale uniformarsi sembra più difficile di qualsiasi altra impresa da noi affrontata, ennesima battaglia da vincere per non lasciarsi sopraffare dalla promessa guerra finale: lo scorrere del tempo ha contribuito a un’evoluzione interiore che lascia senza fiato, trasformazione inedita che, a partire dalla sua essenza intrinseca, destabilizza e orienta in un sol gesto, involucro cavo, appena concretizzato, che necessita di sostanziale riempimento, novità in perpetuo divenire che, al pari di una corazza utilizzata da un secolo all’altro, continua a farsi valere nell’atto di protezione, richiamo ancestrale ai propri doveri rifuggiti un giorno e riaccolti adesso, barricata d’origine dove il fulcro, difeso con cura e osservanza, è tenuto al sicuro, anche svantaggiando tutte le nostre ipotetiche velleità, utopie che seguitano una personale distruzione al pari di ali che, spezzate, fanno rovinare al suolo.
Guadagnarsi ulteriormente i diritti spettanti, però, non è mai un’ovvia conseguenza del ritorno in sede: l’abbandono costretto degli affetti non solo ha inciso, sulla nostra anima, un taglio netto da bisturi molato, ma anche sul cuore dei fidati alleati, persone da contarsi sulle dita di due mani aperte alla speranza che, percependo un arrivederci da infinita separazione, quasi imponendo alla situazione in atto un valore appropriato indebitamente, hanno investito terzi del seggio abdicato, generando da zero legami che non meritano un briciolo dell’attenzione dedicata, amori malati che possono esplodere e rendersi fautori di indicibili violenze psicologiche e fisiche poiché resi padroni dell’universo ereditato grazie alla buona stella clemente, ormeggi di una nave da evacuare in maniera perentoria sebbene la paura abitudinaria risale dal passato nel quale si era annidata e affiora nell’oggi, invadendo di straforo il prossimo avvenire, timore per il quale dover scegliere l’opzione giusta, arrendersi e permettere alla sua razzia di farsi largo nel nostro intimo o tentare in ogni modo di affrontarla a testa alta, yin e yang che si fronteggiano in uno scontro tra titani, cercando di sopraffare l’avversario e innalzandosi a successore unico dell’onere riferito, benché il retrogusto amaro dell’esordio permea inverosimilmente l’atmosfera circostante, un soffocare che, non fugace, richiama gli spettri di un egoismo individualista, errori genitoriali che illudono i figli tramite il sentimento incondizionato con clausole a piè pagina, do ut des ignobile che impone il salto nel buio della progenie, oblio alla profonda base del quale il menefreghismo sconveniente riduce il concetto di attaccamento, madre e padre che non conoscono a pieno la definizione della loro apposizione. L’età adulta scaturita dalla scoperta induce le nostre membra a uno sforzo immenso da sostenere, comandato sviluppo che strazia e dilania, infettando, con i suoi artigli da relegare alla quarantena, la tenera carne pulsante, campo fertile per la semina immonda, germe di vendetta che, gramigna, mette radici e si espande a dismisura, acuendo l’emozione rossastra che implica la formazione di riflessioni inerenti e vaglianti delle conseguenze probabili, molteplici incognite che sorgono qualora l’attenzione scarseggi e la leggerezza divampi.
Eppure, gli antichi propositi scemano di fronte al sostegno ravvisato del nido famigliare, un valido supporto ad ogni decisione che prenderemo, qualsiasi essa sia, vicinanza che aiuta a discernere tra nero e bianco, da una parte cedere di fronte alle tentazioni e mettere a repentaglio tutto il lavoro compiuto fino a quel momento, ottenendo così le gratificazioni del caso, dall’altro lato passare oltre e reagire con il nuovo spirito da e per noi fagocitato, protraendo la nostra esistenza senza sottrarsi alle occasioni che ci vengono elargite poiché ora non siamo più soli, ma intorno a noi orbitano i cari elettroni che rimarranno sempre vicini alla nostra persona, movimento eterno per la cui incolumità dobbiamo combattere e far filare gli ingranaggi nel migliore dei modi, sorprese evitate con destrezza, routine abbracciata con ardore.
La cieca obbedienza improntata all’accettazione del sé può malauguratamente nuocere alla libertà riacquistata perché il nostro traguardo, ora, è rappresentato dalla massima perfezione, un’eccellenza fuori dal comune che non ammette quei difetti manchevoli in nostro possesso, una miriade di nei che rappresenta una sorta di malattia da debellare, peste nera da contenere in una zona sotto stretto controllo e lì distruggerla senza lasciare integro alcun suo frammento utile. Sapendo che qualcuno di autorevole comprende i nostri bisogni in ogni loro sfumatura possibile, noi raggiungiamo un livello di tranquillità che zampilla dalla fiducia riposta, importante stato mentale da consegnare a occhi chiusi soltanto a coloro che dovrebbero saper incassare il colpo e contrattaccare, individui capaci, purtroppo, di deludere più di chiunque altro, relazioni che, come ubriachi in cerca dell’ennesimo bicchiere, ci danno alla testa e offuscano le elucubrazioni obbligate in taluni contesti, re di una scacchiera che cadono in fallo e commettono sbagli poiché la sete di potere ha la possibilità di colpire anche l’animo puro per antonomasia, giglio bianco che, tinto di nero cupo, sfida le leggi della natura e si propone di guadagnare premi di totale voltafaccia, tradimento per il quale si è disposti a vendere ogni proprio avere al miglior offerente per una manciata di denari, non dimostrando alcuna tipologia di rimorso di fronte all’eventualità, continuando a vivere come se nulla fosse realmente successo, candida reazione al denso inquinamento comportamentale.
Tuttavia, l’uguaglianza impone a ognuno una seconda possibilità da cogliere, un’opportunità da non perdere per nulla al mondo, anche se il sospetto di una nuova caduta aleggia nell’aria, agnello sacrificale che viene immolato senza poter avanzare alcuna voce in merito, silenziosa processione verso il mattatoio già pronto ad accoglierci con le fauci spalancate. Alla fin fine, il passato può sentirsi in dovere di reclamarci, segnando visibilmente la nostra esteriorità, un riflesso di noi che induce il resto del cosmo a fermarsi alle apparenze, credendo, tramite un’osservazione così epidermica, di capire il nostro presente e sapere ciò che il futuro ci elargirà, regali preconfezionati che annullano l’aspettativa e denotano superficialità, precludendo adito di buona uscita. L’amicizia permette persino a due realtà agli antipodi di incontrarsi a metà strada e gioire della reciproca presenza, dimostrazione che nel mondo c’è ancora un piccolo spazio per noi, una parentesi dove possiamo cercare noi stessi ed esserlo, abbandonando per strada qualsiasi riserva in merito, opacità e chiarezza che collidono e danno origine al nuovo, affinità che, agli inizi, spaventano, affinità che, nel mentre, colpiscono, affinità che, col tempo, inabissano: un semplice schiocco di pollice e medio accompagna alla comprensione che l’eccezione di conferma alla regola esiste veramente, incontaminata possibilità su un milione che relaziona protezione e fedeltà in un tutt’uno, insieme capace di sostituirsi al cuore, battendo furioso come a voler sottolineare che la plausibile e futura dipartita potrebbe ledere seriamente il respiro di vita, addio sancente il mortale istante in cui accarezzare l’invisibile con la mano, benché sia doveroso, rappresenta un madornale errore dal quale non ci si può sottrarre.
Non tutto, quindi, è perduto. Poco per volta, si riesce a scorgere il rimedio confacente a noi, un perdonare per essere a nostra volta perdonati, ipotetica difficoltà in cui l’angoscia vissuta e l’orgoglio ferito giocano un ruolo a dir poco fondamentale, fili che tirano la stessa marionetta con la differenziazione nella modalità, aiuti inaspettati che, dietro l’angolo, sgretolano le facciate degli eroi di un’esistenza intera per crearne di nuovi, esseri unici che, grazie proprio alle loro imperfezioni, rendono i rapporti ancora più reali, ponendo le basi per un’antica congiunzione astrale che necessita di ricostruzione, pezzo dopo pezzo, un tassello a seguito dell’altro, orologio che ticchetta e soccorre nell’identificare finalmente sé stessi, rifrazione dell’animo che, rendendosi conto delle opportunità infinite a disposizione, si getta nella mischia dei sogni, desideri che raggiungono la tangibilità con l’impegno e la solerzia, tempo ed energia ben spesi poiché, anche quando l’ambiente circostante urla all’opposizione cercando di porre un fermo all’avanzata, i successi derivanti incarnano il merito a cui si deve ambire, qualità in grado di rendere una persona chi è davvero, quegli eroi che siamo e di cui abbiamo infinitamente bisogno.
Dimmi che ti ricorderai di me è, fuor di dubbio, una meteora del firmamento letterario: a ogni pagina svoltata, movimento convulso che si unisce al susseguirsi frenetico dei capitoli nello sposalizio dell’anno, il nuovo libro di Katie McGarry possiede tutte le carte in regola per meravigliare in positivo il lettore, un avventuriero che, sceso nei meandri di una storia dal credibile scenario estremizzato con annessi lineamenti di inverosimile chimera, si stupisce poiché viene catapultato in uno young adult dalle tematiche profonde, un viaggio d’inchiostro dove sboccia, innato, un realismo imprevisto in grado di rimestare in un amalgama uniforme maturità e infantilismo, componenti in equilibrio che stabilizzano la creatura frusciante della scrittrice, assemblando un tenace assetto tra gli ingredienti della ricetta. Tuttavia, la vera abilità dell’autrice risiede nella sua capacità di accendere, come lampadine impazzite, i sentimenti del suo pubblico, martellante sfera emotiva che oscilla, pendolare, con la sua solita cadenza ritmica, circolo vizioso che si concentra, prima, sulla sconfinata dolcezza capace di ghermire i cuori ricettivi, instaurando quel filo sottile eppure resistente tra il personaggio immaginario e l’individuo fattuale, e, poi, si inquadra sul viscerale odio monopolizzante di consensi astiosi pure quando non sono richiesti a gran voce, catodi e anodi che si scontrano puntualmente e si compensano in modo altrettanto preciso, dettagli netti e fumosi al contempo che permettono al lettore di correre a briglia sciolta, stallone nella prateria dell’universo di Katie McGarry, un mondo dove la fantasia non ha alcuna misura perché la chiave è proprio una sola, la pura e semplice libertà.
Scheda libro
Titolo: Dimmi che ti ricorderai di me
Autrice: Katie McGarry
Casa editrice: HarperCollins
Pagine: 441
Anno di pubblicazione: 2018
Traduttrice: Sara Benatti
Genere: Young Adult
Costo versione cartacea: 16.90 euro
Costo versione ebook: 6.99 euro
Link d’acquisto: Amazon (ebook), Amazon (cartaceo)
13 Giugno 2018 at 11:18
Una recensione che sa trasmettere tanto, wow scrivi davvero benissimo, complimenti!
13 Giugno 2018 at 17:10
Ciao Ely <3 Grazie per le tue belle parole 🙂 Mi lusingano molto e mi rendono orgogliosa (in positivo) di ciò che scrivo <3