In astinenza di libri ormai da tempo, poiché ho scoperto che, purtroppo, le recensioni in arretrato non sanno ancora scriversi da sole e lo studio, mannaggia a lui, ha bisogno di tutto il mio supporto morale per avanzare costantemente, regalando così, magari, qualche gioia alla sottoscritta, puntini brillanti nella selva oscura costellata, per la maggiore, dalle sfortune sempre in aumento, futuro roseo che per loro non contempla mai l’estinzione totale, in occasione di un altro evento organizzato da Susy de I miei magici mondi che non mi stancherò di ringraziare abbastanza, ogni qualvolta mi viene concesso, perché, solo tramite i suoi inviti, quest’estate mi sono resa fautrice di una così instancabile attività nella blogosfera da portarmi, quasi, a non credere nelle mie effettive abilità gestionali, ho avuto la fortuita occasione di leggere un bel romanzo pubblicato dalla casa editrice Mondadori il 26 giugno scorso, La grammatica del cuore di Mary Simses, una storia tramite la quale le opportunità mi hanno costretta a inciampare nelle molteplici analogie stampate direttamente dalla mia vita reale, un universo parallelo che, sono certa, pullula di tante minuscole Grace, esercito inconsapevole o meno con il quale divertirsi a suon di grasse risate e figure barbine da medaglia d’oro.

Badate tutti, avventurieri della carta e inchiostro: la versione femminile del ragionier Fantozzi è arrivata tra noi, pronta a infestare le nostre giornate luminose tramite cupe nuvole nere cariche di pioggia, inneggianti tempesta dalla primordiale potenza e dalla burrascosa natura. La figlia di Doyle e Leigh Hammond è tornata alla sua casa natale, a Dorset, una piccola cittadina del Connecticut, dove ha trascorso un’infanzia felice con i genitori e la sorella Renny fino al giorno in cui tutto cambiò, irrimediabilmente. Non è solita tornare spesso in quella dimora dove albergano ancora intensi ricordi di un allegro passato dall’eco sorridente e spensierata poiché la sua esistenza, ormai, è localizzata a Manhattan, la metropoli nella quale vive da tempo. Purtroppo, la sfortuna vuole molto bene alla ragazza e non le fa mancare mai niente: in primis, il suo impiego di revisionatrice delle traduzioni automatiche e correttrice dei refusi annessi è sparito per magia grazie alla riorganizzazione aziendale che ha comportato un esodo forzato dei dipendenti più sventurati; poi, anche il suo fidanzato Scott ha deciso di darsi alle arti occulte dissolvendosi nell’etere poiché si è innamorato, in maniera oltremodo accidentale, di un’assistente paralegale del suo studio d’avvocatura; e, infine, il suo appartamento accogliente nella Grande Mela, quel piccolo regno in cui avrebbe voluto nascondersi a piangere e mangiare quantità spropositate di gelato per le sopra descritte catastrofi, è in ristrutturazione in quanto un pezzo di intonaco, a causa di un’infiltrazione d’acqua dal piano superiore, si è staccato inaspettatamente, scegliendo proprio il momento meno adatto per cadere e sfracellarsi al suolo. Se vi dico che i suoi guai sono appena iniziati, ci credete? Ebbene, leggete La grammatica del cuore perché ce ne saranno delle belle, dalla prima all’ultima pagine, davvero.

Quando il fato decide di elargire, senza ritegno, quello zampino che lo ha reso celebre nella sua puntigliosa essenza inopportuna, felpato incedere che riesce a penetrare anche negli spazi più angusti a discapito delle convinzioni popolari per cui sarebbe vero il contrario, fastidiose intrusioni che scatenano, quali effetti derivati, una valanga di ostiche conseguenze da dover sovrintendere al contempo, proiettili d’acqua gelida che ci risvegliano dai nostri sogni per imporci i loro incubi, densa pece che inghiotte spavalda, e, subito dopo, sputa baldanzosa, nasce nell’animo il bisogno viscerale di una pausa, imposizione di stallo che incarna l’aiuto necessario per superare le eventualità del caso, tasselli di un puzzle che esige scrupolosa attenzione nel procedimento risolutivo, cura dei dettagli che può originarsi solo dagli effluvi della stasi, fuga temporanea dal quotidiano altamente propensa al riordino totale delle idee, prima nitide ora sfocate e infine nebulose: la disperazione iniziale dovuta alla perdita del tutto porta con sé una scia di amara consapevolezza, una luce nuova in occhi ormai spenti, vaga fiamma che sa di miraggio e acquista le forme più disparate, lontane strutture dagli utopici lineamenti che percuotono e feriscono, perseguitando lentamente, in maniera inesorabile, lo spirito consunto in balia della tramontana esistenziale, una realtà che, però, svela la sua vera anima esaltando l’unica constatazione in grado di assumere un temperamento dai liberatori tratti somatici, emancipazione dal gramo universo nel quale, inconsapevoli, eravamo relegati in catene mimetizzate agli sguardi di chiunque, rivalsa pentagrammata in note tanto dolci quanto soavi, sinfonia che precisa, con riverbero costante, la non importanza della sottrazione, valore aggiunto che si mescola alla cifra già ottenuta, risultato in aumento che, agli esordi, stupisce e, con lo scorrere dei secondi, gratifica.

Il presente, però, non ha le attitudini sufficienti a eclissare in toto il dolore del trascorso, un ritmico battere insito nella mente che tende a perforare anche il cuore, amico nemico di una stirpe remota eppure vicina, forziere da cui attingere l’ennesima dose di schiavizzante oppressione, prigionia che tarpa le ali e distrugge l’ipotetica speranza nata dal movimento vibrante delle medesime, angoscia capace di sfiancare allo stremo e deperire oltre il lecito, sgretolamento perseverante della vita che va affrontato una volta per tutte, passi in successione che ci consentono di lasciare alle spalle le ombre dell’attuale, salvifico tragitto che, paziente, induce il timore dilaniante a mutare versante, amorevole calore che galvanizza e infiamma, indole rinfrancata nel seno racchiusa, pensiero che ora celebra il sorpassato con affetto e felicità recuperati. Voltare pagina sui sensi di colpa, tramutanti l’ospitale organismo in defunto che cammina e ferenti vita natal durante dello stesso, è la manovra migliore da compiere poiché imparare a convivere con il rimorso potrebbe apparire deleterio, pernicioso impedimento nei confronti dei normali atteggiamenti orientati alla vita: parlare ed esternare le emozioni covate nel profondo è il sostentamento ideale per l’anima scarna in cerca di vettovaglie, guida luminosa che fende la notte perpetua e cerca di portarci sulla retta via, diversa angolazione attraverso cui vedere la scena nell’istante preso in esame, la prospettiva migliore per riconoscere gli errori commessi a causa dei quali l’enorme sbaglio eravamo noi, esseri che, fino a prova contraria, non meritavano il patrimonio elargito loro dallo stesso destino ora generoso ora incauto.

Ovviamente, ciò non significa che l’obiettivo ultimo del nostro percorso in evoluzione sia lasciare irrisolti i problemi vetusti attanaglianti lo spirito. Infatti, scappare nella direzione opposta, come se nascondendoli alla nostra vista sicuramente scompariranno, è sinonimo di recondita vigliaccheria, un tradimento nei riguardi dell’io pensante in cerca di novità da cui generare inedite fondamenta per rinvigorire le radici compromesse dagli eventi: raccogliere ciò che si è seminato è un dovere da non sottovalutare, una responsabilità che può essere portata a termine sempre adoperando la parola, incontri verbali o, a seconda dell’attimo preso in considerazione, scontri colloquiali che pongono rimedio e sollievo, duratura panacea che lenisce anche il fatiscente per antonomasia, decaduto stupore di fronte alle abilità curative dimostrate, non solo concernenti noi, in bilico tra ieri e oggi, ma anche gli altri, a cavallo di periodi temporali in fusione, amalgama impossibile che vorrebbero creare da zero, futuro che si mescola al passato per donare il presente, regalo consolatorio della pia illusione che una simile realtà sui generis possa confermarsi e tornare esattamente con quelle fattezze, gioia dell’esordio da utilizzarsi come placebo alla sconfitta incassata, potere ritornatoci in mano per adempiere all’odierna cupidigia, aria fritta sottolineante quanto tale convinzione impersoni una bellissima chimera senza alcun avvenire concreto.

L’ora che il significativo germogli e attecchisca nel terreno fertile a sua disposizione è finalmente giunta. La nostra esistenza può, quindi, ripartire da dove le è stato imposto di bloccarsi, un incrocio forzato che non prevede un’ulteriore partenza, punto di termine che sancisce una fine non preventivata né auspicata: da minuscoli semi in gestazione possono nascere smisurate opportunità di contentezza, un’esultanza che, durante l’intervallarsi dei minuti in sequenza, appanna i pregiudizi nutriti nel prossimo, nebbia che si chiude su sé stessa rivelando le eccezioni alla regola, meraviglie della natura in atto, stupefacenti rivelazioni che permettono al nostro cuore di fidarsi una volta in più, diradando, con l’indispensabile cautela del caso, la foschia delle lacerazioni pregresse, animo gentile che, piegato in maniera sconsiderata dall’inciviltà altrui, si apre di nuovo al domani, avvalorando la tesi che chiudersi in sé stessi per il sospetto di ricevere ulteriori e sgraditi tagli, gemelli degli antecedenti, elimina il respiro costringendo a un’infinita apnea dalla quale riemergere è oltremodo impossibile. Sottovalutare il potere del destino e le non numerabili vie della sua manifestazione al pubblico è l’errore più banale in cui potremmo mai inciampare, uno sbaglio che insegna a sorridere dinnanzi ai doni elargitici in quanto essi potrebbero serbare, nell’intimo, piccole ricchezze reclamanti protezione da qui all’eternità, solida cassaforte da difendere con sterminata devozione, bicicletta arrugginita e dimenticata chissà dove nel tempo e nello spazio che, mutando di forma, ritorna alla vita di prima, diversa ma uguale, sistemata eppure intatta.

Le rivalità devono tramontare. La loro resistenza nell’inviolata conservazione si anima nei momenti confacenti alla stessa, rigurgito di presunzione che induce le parti coinvolte a rispondere con la stessa moneta dell’avversario, baratto equilibrato che realizza l’abbassamento di livello morale, salita e discesa altalenanti in uno scambio continuo di opinioni, attuate riflessioni che compitano il succedersi dei giorni e iniziano, pian piano, a farci abbassare la guardia, distacco di armi deposte che aiutano nella rinuncia delle immaturità da mancata adolescenza, ritrovata considerazione del sé che, latitante, ricercavamo costantemente, senza posa, indagini oculate che, sebbene gli sforzi impiegati, non hanno saputo assolvere alla mansione conferita loro, un’assenza considerevole che, però, potrebbe essere giustificata da un’attenzione superficiale, meticolosità che, forse, solo un parere esterno e oggettivo può raggiungere, districando così la matassa di questa caccia al tesoro, fiducia in chi ci vuole bene indennizzata a dovere: la fossilizzazione alle origini è sbagliata altrettanto quanto la loro assoluta dimenticanza poiché continuare il cammino verso nuove destinazioni assume tangibilità solo se ci si ricorda delle orme lasciate indietro, segni quasi invisibili scritti a fuoco nel nostro cervello in evoluzione, miglioria del precedente, ponte comunicante verso un futuro in avvicinamento.

L’elucubrazione domina ormai la ribalta. Seguire la plausibile vocazione atta a noi si interseca con il malinteso seguito alla non comprensione della persona che siamo e vogliamo disperatamente essere? È stato, magari, la ripicca verso un sentimento non davvero esistente che ci ha spinto a discostarci dalla strada maestra pur di attingere, a qualsiasi costo, alla sola nostra energia, vigoroso tumulto che può nascondere, nelle fortuite e adatte circostanze proposte, una forza sovrumana capace di sbaragliare ogni possibile minaccia dal sentiero intrapreso? Ammettere l’abbaglio non implica necessariamente il fallimento, ma contempla il semplice riconoscimento della mera intimità, procedere a testa alta poiché meritiamo tutto ciò che abbiamo e avremo un giorno, imperituro nascondino che, finalmente, ha smesso di esistere: faticare e impegnarsi ci rendono gli artefici del nostro mondo, universo che cambia e si adatta, realtà che ci accoglie e ci esalta, mai più sottovalutati, mai più calpestati, sempre e solo accolti con affetto in un abbraccio dal sapore di mela appena spiccata.

Fin dal primo periodo, La grammatica del cuore trascina il lettore incauto in un vortice di risate, suono cristallino e debordante dagli argini della serietà, reazione che, con alta probabilità, gli astanti non si aspettavano di ottenere immergendosi in tali pagine rese veritiere e concrete grazie alla narrazione incalzante che la protagonista adotta per descrivere le sue stupefacenti giornate, esacerbando al massimo situazioni fuori dall’ordinario, desuetudine che colpisce e atterrisce proprio per la sua troppa irregolare flessibilità, elastico allungato ben oltre il suo punto di rottura. Questa caratteristica, però, stride con delle debolezze non indifferenti che si possono trovare, abilità falconiere attivate, senza troppe svolte di pagina: in aggiunta a un inesistente approfondimento della presenza mascolina nel libro, una consistenza psicologica che, scomparsa già prima di venire alla luce, si manifesta acuita in contrasto allo spessore ben architettato di Grace, unico personaggio principale in tutti i sensi, si avverte la superflua partecipazione di un terzo incomodo che non contribuisce, in alcuna maniera, a levigare, col proprio intervento, i fatti raccontati, una sorta di parentesi anonima che introduce nessun elevato valore aggiunto, confine labile tra storia e fiaba, ritenendo l’esibizione in sordina l’elitario sbocco alla sua immissione. L’alto potenziale dell’opera di Mary Simses viene, perciò, edulcorato con aggressiva tracotanza, sopruso infervorato anche da un epilogo che lascia in sospeso, domande in successione che riverberano nel cuore del lettore, avido di notizie che non otterrà mai dalle righe se non adotterà l’immaginazione di cui è provvisto, una conclusione che però si focalizza su un fondamentale per la piccola Hammond, una corsa verso la libertà tanto attesa e vissuta da lontano, evasione da un ordine che tanto proclama con folle attivismo come testimoniano le spiegazioni in pillole all’apertura di ogni capitolo, minuti riferimenti all’esistenza dell’investigatrice in erba, battenti lancette che sanciscono la fine di un’era ovattata e l’alba di un’epoca aurea.

 

 

Contrariamente dal solito, l’articolo di oggi non termina affatto qui, essendo un Review Party 2.0, quindi un’iniziativa diversa dalla sua consueta omonima. Per l’appunto, oltre alla recensione, in questo frangente tratto anche il cosiddetto Dreamcast, in pratica, quei volti presi direttamente dalla realtà che, a mio avviso, denotano meglio i characters del libro preso in esame: ho deciso di focalizzarmi sui tre personaggi principali de La grammatica del cuore di Mary Simses, individui differenti che, nel corso della lettura, ho saputo gradire, chi più chi meno, come nella soprastante riflessione chiarisco in maniera oltremodo esaustiva.

Calamita per disgrazie e uomini sorprendentemente sexy, la voce narrante della storia, a cui ho assegnato il volto della bellissima Laura Chiatti, è Grace Walker Hammond, una Grammar Nazi di tutto rispetto che non uscirebbe mai di casa senza il suo fedele pennarello, arma automatica che sfoggia anche nei momenti più impensati, magari in un negozio per sistemare un errore ortografico su dei volantini per un’opera di beneficienza, ovviamente attirandosi sguardi in tralice da ogni dove, sconosciuti inclusi. Tra uno scivolone e l’altro in un budello fasciante da insaccato, la Marilyn Monroe delle occasioni speciali esprime, palesemente tra le righe, dolori latenti che sentono il bisogno di trovare una soluzione, la sola in grado di cicatrizzare ferite vecchie e nuove che impediscono al futuro di sbocciare come orchidea in piena fioritura, infallibile rimedio contro tutti i mali capace di durare per l’eternità e pure oltre. Sempre.

Professore di storia che non ha di certo la faccia del classico docente rigoroso e quadrato, Mitch Dees è il tipico ragazzo della porta accanto, un figlio dal cuore generoso che, quando può, aiuta il padre Scooter nel negozio di biciclette, Bike Peddler, punto di ritrovo per un passato che sanguina e un presente che reclama. Appassionato di ciclismo che però non disdegna il calcio e il tennis, il mancato allenatore con la vocazione dell’antico, panni che Jake Gyllenhaal, secondo me, veste alla perfezione, sa ancora come stupirsi dell’usuale realtà, indagandone i meandri con la curiosità propria di un neofita della stessa, un esploratore che vive del caos, sbeffeggiando l’ordine, gabbia dorata nella quale la fantasia non trova certo uno sbocco concreto, prigione dalle mura claustrofobiche da cui fuggire a dorso di una bicicletta, puntando, magari, verso un frutteto da paradiso terrestre o un faro dal sapore romantico di libertà all’orizzonte ritrovata, a conti fatti, quindi, un avvenire che fin dall’inizio promette gran bene.

Dalla bellezza genuina che non passa assolutamente inosservata, Peter Brooks è capace di far svenire uno stuolo di ragazze nel raggio di innumerevoli chilometri solo adoperando il suo sorriso di sbieco, brillante falce su un volto radioso in grado di attrarre a sé la benevolenza di tutti, conoscenti o meno, quasi nessuno esente dalla sfera d’azione della mezzaluna da ponente. Il regista hollywoodiano di fama internazionale, per il cui volto ho trovato somiglianze con Scott Eastwood, cerca in ogni modo di richiamare, attraverso la sua opera in ultimazione, il pregresso formidabile di cui è stato uno dei protagonisti indiscussi, anni andati che vorrebbe rivivere nel presente e, incrociando le dita, anche in un prossimo futuro, quel domani a cui aspira disperatamente al pari di un assetato in cerca della fonte sorgiva che stenta a farsi trovare, un’oasi di evasione che, forse, col tempo, ha perso il suo potere di magnete, rivelandosi, quindi, per ciò che è, preterito e niente di più.

 

 
 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: La grammatica del cuore
Autrice: Mary Simses
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 310
Anno di pubblicazione: 2018
Traduttrice: Maria Carla Dallavalle
Genere: Narrativa contemporanea
Costo versione cartacea: 20.00 euro
Costo versione ebook: 9.99 euro
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