Per il secondo appuntamento della rubrica BookRoad & Friends, in questo primo martedì di Ottobre, invece di regalarvi una panoramica su un libro, come del resto ho fatto la scorsa settimana, si è deciso, di comune accordo con la casa editrice, di optare verso un’intervista allo scrittore, un modo nuovo attraverso cui conoscere non solo un’opera magnifica sulla quale ogni lettore dovrebbe scommettere senza indugio ma anche la persona che l’ha ideata, penna indelebile su carta ricettiva in grado di carpire chiunque capiti nelle vicinanze, scettici o meno della parola scritta.

Oggi, quindi, incontriamo virtualmente Andrea Conteddu, autore de Il Nulla che per noi era tutto la cui anteprima è disponibile cliccando qui: grazie a cinque piccole domande che ho creato apposta per l’occasione, una manciata di minuti del vostro tempo vi basterà per entrare in contatto con un libro davvero meritevole, peculiarità che potete constatare voi stessi al suddetto link dove scaricare, tramite semplici passi, delle sue prime diciassette pagine, e con il suo creatore, un’anima vitale in grado di dare tantissimo, pure in una semplice e amichevole chiacchierata.

 

Buongiorno, Andrea, e benvenuto! Prima di iniziare la nostra chiacchierata, volevo sinceramente ringraziarti di essere qui, a La Nicchia Letteraria, un luogo blogosferico dove non solo i libri ma anche i loro scrittori rappresentano il fulcro della sua sostanza primaria: partecipando alla nostra piccola, e spero piacevole, intervista, da un lato ci consente di accogliere un nuovo autore tra le nostre fila, il che incarna sempre un’emozione tale da sorprenderci in positivo poiché, in maniera oltremodo inevitabile, ci permette di ampliare il nostro orizzonte letterario, conoscendo inestimabili penne con un talento fuori dal comune, e dall’altro ci concede di scoprire l’opera e il suo autore da un differente punto di vista, una prospettiva che potrebbe allettare ancora di più chi inciampa fortunosamente nel suo sgambetto.
La mia prima domanda concerne il raggiungimento davvero celere del primo step della tua campagna: svelaci le strategie che hai adottato, confessandoci quei segreti che potrebbero aiutare i tuoi colleghi in un’avventura simile.

✒ Sono io che ringrazio voi. Raggiungere il primo obiettivo non è stato affatto facile, nonostante visto dall’esterno possa sembrare il contrario: si è lavorato ancor prima che lo staff di BookRoad mi annunciasse la partenza ufficiale della campagna. Da padroni hanno fatto i social, in primis Facebook e Instagram, e sfruttandoli entrambi abbiamo anche capito come questi mezzi pubblicitari così potenti siano alla portata davvero di tutti, se però saputi sfruttare come si deve. A differenza di Instagram, che è una piattaforma perlopiù adoperata da giovani e quindi da “toccata e fuga”, Facebook è più interattiva, gli utenti cliccano, cercano, si interessano, commentano e si informano. Ma non è solo grazie ai social che sono ora qui a rispondere a questa domanda. Infatti, come avrete notato, parlo al plurale e non al singolare; questo perché non sono mai stato solo in questo percorso, e se così fosse stato, sono quasi certo che non ce l’avrei fatta. Ho avuto la fortuna di avere alle spalle una “squadra” capace e competente: mio fratello, Istintomaximo, molto seguito nei social, mi ha dato enorme visibilità; Tiziana, la mia ragazza, ha seguito le pagine su FB e Instagram, creando post sempre nuovi e interessanti, attirando nuovi potenziali lettori; Valeria Luzi, affermata scrittrice e amica, mi ha dato sempre ottimi consigli su come muovermi. E poi, naturalmente, la mia famiglia più stretta; mia madre, mio padre, amici e conoscenze, e ancora l’intera famiglia di Tiziana, numerosissimi e super attivi. Due amiche hanno anche raccolto tante prenotazioni tra le loro conoscenze, creando anche una fitta rete di persone, persino oltre mare. Per concludere, i social sono molto importanti, anzi fondamentali, ma un consiglio mi sento di dare a chi mi legge e magari è in campagna come me, ed è quello di non lanciarsi in questa avventura da soli. Se qualcuno crede in te, anche solo una persona, metà del percorso è stato fatto. Io, da questo punto di vista, sono stato molto fortunato.

Dalla tua biografia si evince che ti sei diplomato come geometra, un campo comunque professionale e decisamente scientifico, e ora amministri una caffetteria nella bellissima Sardegna. Quindi, adesso ti chiedo, come si è sviluppata in te la passione verso la scrittura? È un amore che hai sempre coltivato o, in qualche modo, hai avuto influenze esterne come possono esserlo stati autori da te adorati?

✒ Ho iniziato ad appassionarmi alla lettura sin da molto piccolo. Divoravo libri di avventura, i classici come Moby Dick, I Viaggi di Gulliver, Il richiamo della foresta, e poi la serie Il Corsaro Nero e i romanzi di Alexandre Dumas. Mio padre, oltre a quella dei libri, mi ha anche inculcato la passione per i fumetti Bonelli. Li sfogliavo ancor prima di imparare a leggere, impaziente di poter comprendere cosa vi fosse scritto nelle vignette. Crescendo si è aggiunta la passione per il cinema, e difatti i primi approcci di scrittura, a parte qualche racconto dimenticabile, sono arrivati con sceneggiature per cortometraggi, girati dopo aver comprato una telecamera digitale. Ma scrivere sceneggiature (sempre da autodidatta) era deprimente perché avevo attori e budget praticamente nulli, perciò ogni storia doveva essere adattata a ciò che mi potevo permettere, ad esempio sempre il solito appartamento, solo due coinquilini-attori, esterne la domenica per via dei pochi passanti. Per non parlare dei giorni prefissati per le riprese. Imprevisti, attori che non si potevano presentare o avevano cambiato idea, le terribili fasi di montaggio che facevo io la notte, imparando al momento e improvvisando. Dopo soli due cortometraggi mi sono accorto che la cosa mi stava stufando, perciò ho iniziato a scrivere romanzi, dove non occorre nessun budget, si hanno “attori” e location illimitati grazie all’immaginazione inesauribile del lettore. E da lì non ho più smesso.

A volte è davvero sufficiente una manciata di parole per descrivere un libro e far innamorare i nostri interlocutori dello stesso. Dimostracelo, scegliendo tre vocaboli con i quali tratteggeresti Il Nulla che per noi era tutto, spiegandoci anche il motivo della tua preferenza.

✒ La prima parola che mi viene in mente è infanzia; una volta ho letto da qualche parte che chi ha passato una bella infanzia è svantaggiato, nella vita, rispetto a quelli che hanno avuto un’infanzia difficile. L’infanzia di ognuno di noi è la base della nostra stessa esistenza, le fondamenta di quello che saremo e faremo. Nella mia storia ho voluto raccontare l’infanzia dal mio personale punto di vista; le vacanze estive spensierate, i giochi, le corse in bici e i primi approcci con l’altro sesso. Ma l’infanzia non è solo divertimento; un bambino come Matteo, personaggio de Il Nulla che per noi era tutto, è sicuramente meno fortunato rispetto a Francesco, voce narrante del romanzo, ma è anche quello che dimostra più maturità e sangue freddo nelle situazioni critiche.
La seconda parola è amicizia; è la base della storia. Se Francesco non avesse avuto Matteo e Giulio, non sarebbe durato un capitolo, gli eventi lo avrebbero schiacciato in tempi molto brevi. L’amicizia, specialmente all’età degli undici anni, è quella forza che ci sostiene quando barcolliamo e ci impedisce di non cadere, accorre in nostro aiuto là dove magari un genitore non può arrivare, perché non gli è consentito. Ci sbatte continuamente in faccia i nostri limiti quando ci confrontiamo con un amico, ci insegna come superarli, ci fa crescere. E Francesco, nella mia storia, questo lo sa molto bene.
La terza parola è paura; Maris è un luogo immaginario creato da me, ma liberamente ispirato a Capo Comino, frazione dove sono cresciuto. Maris non è un posto cattivo, ma come in ogni luogo di questo mondo, possono accadere cose spaventose. Francesco è sfortunato, perché le vivrà in prima persona. Ma sono proprio quelle paure, e anche imparare a controllare il terrore, che faranno di lui un personaggio speciale.

Tutti quanti serbano nel cuore una paura lancinante verso qualcosa, tangibile come, ad esempio, il traliccio assassino per Giulio o immateriale al pari di quei lupi mannari che hanno saputo terrorizzare Matteo dopo la visione di un semplice film horror datato: perciò, qual è il timore più grande? E quello dell’undicenne, voce narrante del tuo romanzo?

✒ Il mio timore più grande è perdere una persona cara. Questo mi terrorizza più di ogni altra cosa. Quand’ero piccolo, invece, avevo paura di tutto ciò che non avesse una spiegazione concreta; la notte e i strani suoni che emette, i mostri visti nei film, gli alieni che rapiscono te o i genitori. Francesco ha queste stesse paure; paure dell’ignoto, della notte e del buio. Non è un bambino coraggioso, perciò ha anche paura di Bruno, il bullo della zona, del signor Pasquale e della sua enorme e misteriosa casa.

Infine, augurando a te e al tuo protagonista Francesco di avere l’attenzione che meritate da parte del pubblico letterario perché devo ammettere che l’anteprima disponibile sul sito della casa editrice BookRoad è davvero memorabile, ringraziandoti ancora per la tua importante presenza nel nostro angolino online che, non ho alcuna vergogna a confessarlo, aumenta di prestigio proprio da oggi, ti domando, qual è stata l’origine da cui hai preso ispirazione per Il Nulla che per noi era tutto? Inoltre, cosa ti ha spronato a continuare la storia, dandole la medesima possibilità che a te stesso?

Il Nulla che per noi era tutto ha preso forma quando ho iniziato a pensare a una storia che parlasse di qualcosa che conosco molto bene, come ad esempio i luoghi dove sono cresciuto. Mi sono sempre piaciute le storie con protagonisti bambini che fanno cose da bambini, come ad esempio la prima parte di It di Stephen King, il suo racconto Il Corpo, o film come i Goonies, E.t., o anche il più recente Stranger Things, serie di Netflix, è molto interessante come stile narrativo e scelta di personaggi. Ho scritto la prima stesura de Il Nulla che per noi era tutto in quattro mesi e, con il senno di poi, devo dire che mi è venuto facile tirarlo su e concluderlo. Ho attinto a piene mani dalla mia infanzia; i luoghi, le citazioni a fumetti e film di quel periodo, dialoghi ecc. Anche alcuni eventi sono accaduti realmente. Naturalmente ho riadattato e romanzato il tutto al fine della trama, ma qua e là, qualche punta di verità c’è… Non posso accennare a quali senza il rischio di inciampare in uno spoiler, ma chissà, magari i lettori quando leggeranno il romanzo cercheranno di capire quali, e magari ci azzeccheranno anche.
Grazie per i complimenti gentili, e di nuovo grazie a voi per lo spazio dedicatomi.