In questa settimana di sorprese inaspettate, sogni a occhi aperti che si avverano e ci fanno guardare alla vita con angolazioni di positività, incubi da non risveglio che classificano la nostra esistenza con un Mai ‘na gioia imperante, essendo il primo venerdì di maggio, prima del congedo definitivo al weekend, torniamo alla carica con la rubrica BookRoad & Friends tramite cui abbiamo il piacere di mostrarvi, come sempre, un ulteriore progetto che necessita del vostro aiuto per vedere la luce della pubblicazione.

Ne La nostalgia delle cose perdute, la cui campagna è in corso sul sito della piattaforma di crowdfunding a questo link, Giuseppe Fasanella ci racconta le vicende di un anti-detective buffo e tragico, convinto di poter trarre conclusioni sulla base di criteri puramente artistici, un compositore in crisi che si improvvisa investigatore per risolvere il caso di una ragazza scomparsa in un piccolo paesino.

 

Ettore, compositore di opere liriche, fa ritorno alla sua casa natale per sciogliere una crisi creativa. Quando scompare una ragazza nel paese vicino, invece di comporre, decide però di investigare e, in assenza di indizi, di usare come guida gli astratti procedimenti compositivi della musica.

 

Giuseppe Fasanella ha ventotto anni ed è laureato in fisica nucleare presso l’Università Sapienza di Roma dove, in co-tutela con l’ULB di Bruxelles, ha conseguito anche il dottorato di ricerca. Diplomato in conservatorio nella scuola di sassofono, si è dedicato alla critica musicale, collaborando con il quotidiano on-line OperaClick in qualità di inviato presso il Teatro dell’Opera La Monnaie di Bruxelles. Nel 2014 si è classificato secondo nella sezione Critica Musicale al Tournoi International de Musique Tim, con un saggio sulla Petite Messe Solennelle di Rossini.

 

Il viaggio in treno fu lungo, ma non faticoso. Ettore, completamente affondato nel sedile dello scompartimento che aveva interamente riservato per sé e per quel viaggio, guardava dal
finestrino la sfilata dei campi in lontananza, gialli per il grano maturo, e degli alti pascoli in cui le rocce di un bianco sibillino e la tenera erba avevano trovato un equilibrio del tutto particolare.

 

Ettore era cupo, estremamente triste. Tutto ciò che toccava il suo sguardo era così bello e così semplice, così tanto che ne fu ferito, perché gli venne da pensare, in quel momento, che non sarebbe mai stato in grado di comporre nulla che avesse quella forza, nulla che avesse quella semplicità così… naturale, quella serenità sì un po’ melensa, un po’ banale, ma funzionale. Non avrebbe mai composto nulla che avesse la forza dell’infinita ampiezza, della stratificazione secolare, della vita perpetua. Chi potrebbe mai dire «questa montagna, rispetto a dieci anni fa, è invecchiata»? Non si è mai sentito un vecchio sostenere «ai miei tempi, le rocce erano più belle». E invece i suoi lavori, le sue opere tutte, qualcuna più qualcuna meno, tutte erano invecchiate.

 
 

N.B. Le informazioni contenute nel presente articolo di segnalazione sono state ricevute, sottoforma di comunicato stampa, direttamente dalla casa editrice BookRoad, che ringraziamo in maniera oltremodo calorosa.