Sebbene mi fossi ripromessa, prima del weekend appena trascorso, di ultimare le mie due letture correnti proprio durante quelle ore -inserisco qui una piccola postilla: per evitare l’insorgere dei pellegrini della carta vergata notoriamente monogami, sappiate che no, di solito non inizio più volumi in contemporanea perché, purtroppo, o magari per fortuna, a seconda di come la si vuole vedere, c’è sempre un testo che, fra i titoli in questione, spicca sugli altri con ineluttabilità (dalla regia mi dicono che a Thanos piace questo elemento), monopolizzando così tanto la mente e il cuore della sottoscritta da indurli a bramare lo svoltare perpetuo dei capitoli di quella precisa opera alla quale, senza manco saperlo davvero, si sono votati anima e corpo in uno schiocco mortale di dita (leggasi la parentesi precedente)- a fronte della mia battaglia persa praticamente già in partenza -allora, capitemi: in primis, dovevo terminare le puntate finali di Meteor Garden per cui ho pianto come una scolaretta delle elementari; poi ho iniziato un’altra serie televisiva, stavolta giapponese, Good Morning Call, che, per quanto sia kawaii e godibile, la ritengo assai disagiata anche per una (come me, si intende) capace di sopravvivere in simili circostanze scioccherelle senza perdere troppi anni di vita; in tertiis (e giuro che la chiudiamo qui), beh, dovevo recuperare le ore di sonno a seguito di una settimana lavorativa oltremodo sfiancante-, sorvolando sulla mia presunta e non voluta relazione poligama, per adempiere ai miei doveri di blogger sempre sul pezzo -o meglio, cerca di esserlo ogni volta, diciamo la verità in tutto e per tutto!- con gli eventi organizzati dalle care colleghe -Tania e Silvia, parlo di voi due- disposte a tollerare -sì, non ho sbagliato verbo, ahimè!- la mia presenza per la durata delle varie iniziative in corso, ho divorato ciò che rimaneva de La figlia di Mr. Bennet di Timothy Underwood, un retelling a dir poco curioso del classico dei classico, l’intramontabile Orgoglio e Pregiudizio, l’unico tesoro prezioso di Jane Austen che la qui presente Lady C. ha letto fino ad ora –pliz, non mi tirate troppi pomodori in faccia! Oddio, per un simile affronto, ci sarebbe da lanciare le uova marce, ma facciamo finta di niente e chi s’è visto s’è visto-.
Perciò, oggi, grazie al bellissimo zampino di My Crea Bookish Kingdom e Silvia tra le righe, oltre a proporvi la mia personale opinione sulla rivisitazione targata Vintage Editore che vi elargisco grazie alla rubrica nicchiosa di consiglio librosi, Ambarabà, essendo l’attuale progetto un blogtour, il mio ulteriore contributo verterà un approfondimento singolare, l’intervista all’illustratrice Marilena Imparato, una persona che ha fatto dell’arte sua amica una vera compagna di vita.

Creazione a cura di Tania, admin del blog My Crea Bookish Kingdom

Voglia estrema di leggere una famosa opera sotto una luce completamente nuova
Immane bisogno di affrontare un “mattoncino” celante evidente scorrevolezza
Alla folle ricerca di un volume dalla manifesta qualità sia nel dentro sia nel fuori
Badiale interesse nel desiderare la conoscenza di personaggi già amati tempo prima
Repentino ghiribizzo nei confronti del giusto stile, moderno e all’antica insieme

Si ringrazia la casa editrice Vintage Editore per la copia ricevuta in omaggio.
#prodottofornitoda #copiaomaggio

Malgrado una tanto eteroclita quanto consapevole incertezza possa raggiungere, in breve tempo, l’alta probabilità di abbattersi, alla stregua di un’ondata fuori dal comune determinata mediante il classico e nefasto terremoto nel baratro della pianura acquifera, sulla globalità dei lettori approccianti la presente opera Vintage Editore, sottolineato che più o meno tutti conoscano il main character firmato Jane Austen della suddetta rivisitazione molto particolare di Timothy Underwood, un retelling assai fantasioso che, proprio a causa del suo possedere evidenti singolarità rispetto il capolavoro ottocentesco della scrittrice britannica capace ancor oggi di persuadere la qualunque a sognare con gli occhi aperti l’incontro sia fortuito sia fortunato con la reale concretizzazione di Fitzwilliam Darcy, obbliga a sposare la massima esponente della ponderata cautela verso un testo idoneo, nella peggiore delle eventualità, al logorare il dolce ricordo di una cara lettura, La figlia di Mr. Bennet sorprende il negativo ragionato col positivo concreto, montagne russe dalla seppia tonalità che, collaudate a dovere dalla versione originale, prendono all’amo chiunque scelga di avvicinarsi in maniera ostentata poiché un’esca dalla fattura straordinaria non solo calamita, ma anche rimpinza, lauto banchetto di simili che, non analoghi, traumatizzano prima, dimostrano nel mentre, vincono poi.

 

Valutazione:

Scheda libro
Titolo: La figlia di Mr. Bennet
Autore: Timothy Underwood
Casa editrice: Vintage Editore
Pagine: 589
Anno di pubblicazione: 2021
Genere: Romance storico
Costo versione ebook:
Costo versione cartacea: 16.00 euro
Link d’acquisto: Amazon (ebook), Amazon (cartaceo)
Trama: Due mesi dopo la nascita di Elizabeth, Mrs. Bennet fugge via portando con sé Jane e lasciando la neonata al marito. Mr. Bennet dedica la sua intera vita a crescere Elizabeth nel miglior modo possibile, amandola con tutto il cuore. Quando a Netherfield fa il suo arrivo Mr. Bingley, Elizabeth inizia a innamorarsi del suo amico, Mr. Darcy. Ma cosa succederebbe se la madre scomparsa di Elizabeth tornasse con sorella Jane a Meryton dopo essere stata assente per vent’anni?

Un romanzo commovente e romantico sulla famiglia e sull’amore.

Buongiorno, Marilena. Prima di iniziare questo nostro minuto botta e risposta che ho il grande piacere di ospitare nel mio piccolo angolino di lit-mondo, La Nicchia Letteraria, in occasione del blogtour dedicato a La figlia di Mr. Bennet di Timothy Underwood, non solo ti avviso di essere tremendamente emozionata per la presente novità in quanto è la prima volta che la sottoscritta si appresta a intervistare un’illustratrice, ma ti regalo un caloroso benvenuto augurandomi che il tempo speso qui ti faccia sentire, almeno un poco, a casa.
La domanda che ti pongo per cominciare è forse quella più ovvia da formulare se si ha lo scopo di aprire le danze: qual è stato il preciso momento in cui hai deciso di consacrarti alla nobile arte della quale sei portavoce? Fin dal suddetto istante hai scelto di tramutare la tua passione in un impiego vero e proprio o il trascorrere degli anni ti ha indotta a farlo dopo qualche altra considerazione?

✒ Buongiorno a te e grazie per la gentilezza e il garbo con cui mi accogli e per l’onore di farmi essere la prima illustratrice ospitata fra le tue interviste. Grazie davvero. Passando alla risposta, posso dire che in realtà ho sempre fatto questo “lavoro” fin da bambina, anche se lo facevo unicamente per me stessa. Volevo dar vita ai personaggi che inventavo io o di cui leggevo. Conoscerli, incontrare i loro sguardi, far vivere loro delle avventure alternative. Allora disegnavo, illustravo, a volte senza sosta. Poterlo fare anche a livello professionale è la realizzazione di un sogno.

Se ti chiedessi di volgere lo sguardo nei dintorni della tua prima esperienza lavorativa e magari confrontarla con ciò che hai creato nell’attuale frangente per la Vintage Editore, a mio parere una bellezza molto romantica che, catturando facilmente l’occhio degli estimatori di carta vergata, inducono gli stessi all’acquisto compulsivo, saresti in grado di identificare, qualora esistessero, tutti gli aspetti in cui sei cambiata, evolvendoti proprio grazie alla dimestichezza appresa con le varie occupazioni da te ricevute in passato? La crescita in questione concerne solo l’impronta distintiva del tuo essere artista oppure tocca altri elementi dei quali vuoi renderci partecipe?

✒ Dunque, l’evoluzione fa parte indistintamente di tutti gli artisti. Paradossalmente questo è l’unico mestiere in cui, con la maturità, si può solo migliorare e mai regredire. A livello professionale ho esordito come ritrattista e pittrice di olio su tela, con tecniche molto tradizionali apprese negli anni mentre ora, per quanto riguarda le copertine della Vintage, dal bozzetto tradizionale passo all’elaborazione digitale che mi consente maggiori correzioni o ripensamenti senza danneggiare una superficie “reale” come può essere quella di un foglio o una tela. Tuttavia il mio tratto è riconoscibilissimo e simile alle tradizionali e fedeli tele su cui ho dipinto anni, soprattutto nei contrasti di luce ed ombre che tanto mi sono cari e sui quali ho speso giorni e notti di sperimentazioni. Io credo che il digitale sia comodo soprattutto per questo ma non deve assolutamente essere una scorciatoia per aspiranti artisti alle prime armi che vogliono, forse ingenuamente stupire con effetti speciali sostituendo il vero studio dell’arte, con filtri e applicazioni varie. Io solitamente parto prima dalle matite e dal sudore, così come ho fatto per anni e poi con la penna digitale seleziono strumenti e pennelli che muovo secondo i tratti dei miei studi tradizionali.

Quando accogli la richiesta generica di illustrare un libro specifico, prima di metterti all’opera con l’unico obiettivo di rendergli l’estrema giustizia che merita, attraverso una determinata palette di colori oscillanti dal caldo al freddo con perpetua continuità o tramite l’immagine perfetta che rappresenta in toto quanto le sue pagine racchiudono nei loro capitoli in cascata, come decidi lo stile per mezzo del quale regalargli la poc’anzi menzionata giusta effigie? Ti affidi sempre alla tua forma personale d’espressione oppure a volte senti la necessità di adattare il tuo spirito artistico all’opera da raffigurare?

✒ Solitamente, anche grazie alla libertà di espressione che mi concede la Vintage, dopo aver ascoltato la richiesta, cerco di realizzare un lavoro che soddisfi le aspettative, rappresenti i personaggi ma che sia anche nelle mie corde. Dopo il primo, “Un’insolita Mary”, sto cercando di mantenere una coerenza stilistica per la collana che mi è stata affidata. Cosa che mi viene molto naturale in questo frangente.

Nonostante ogni lettore si ritrovi spesso e volentieri circondato da possibilità non numerabili di avventure inchiostrate dove tuffarsi ad angelo per scoprire, appena giunti alla loro fine, di aver trovato gli ennesimi tesori nero seppia a cui far spazio nei ripiani dei memorabili ricordi scritti da altri, se ci viene posta la domanda fatidica dalla quale emerge la naturale curiosità nei riguardi di chi è il nostro autore preferito, noi rispondiamo dimenticandoci di qualsiasi plausibile tentennamento. Perciò, ti chiedo, senza troppi giri di parole, chi è l’artista che il tuo cuore ospita da sempre? Per caso, in qualche modo, ha influenzato, magari tramite una sua precisa opera, la tua decisione di intraprendere la carriera da te scelta?

✒ Ho amato molti artisti da Magritte a De Chirico ad Alphonse Mucha. Se devo menzionarne uno in particolare, però, scelgo il grande Caravaggio. Il suo umanizzare figure Sacre spogliandole di quella freddezza inespressiva, molto comune nella sua epoca e l’impeccabile tecnica che rende le figure quasi tridimensionali nei suoi giochi di luci ed ombre, hanno influenzato molto il mio modo di concepire l’arte.

Per terminare, nel migliore dei modi, questo nostro prezioso rendez-vous di cui ti sarò eternamente grata perché, te lo confesso, ospitarti qui, nell’anfratto di opinioni e racconti che mi sono ritagliata durante il lontano 2016, verso la metà di marzo, per la precisione il 17, un numero “sfortunato” a cui sono davvero legata, è stato davvero un grandissimo piacere, ho optato verso i lidi della classica domanda, forse un pochino scomoda, che, in contingenze come la presente, tutti si pongono: stai per caso lavorando a delle grafiche delle quali puoi spifferarci i dettagli succulenti? Cosa ha in serbo per te questo 2021?

✒ Prima di tutto ti ringrazio ancora io per avermi dedicato questo spazio e del tempo prezioso! Posso dirti che al momento, oltre ai miei progetti personali, sto ancora lavorando ad altre copertine ed illustrazioni per Vintage e che… con la famiglia Bennet non finisce qui.

Creazione a cura di Tania, admin del blog My Crea Bookish Kingdom