Con oggi si chiude il blogtour dedicato a Il piccolo atelier sulla Senna di Màxim Huerta, pubblicato martedì scorso, il 15 maggio, da Sperling&Kupfer, una storia in cui fantasia e realtà si mischiano dando origine a uno scoppiettante connubio ben riuscito di carta e inchiostro. Nelle tappe precedenti, si è parlato dei colori e dei sapori parigini, tonalità e fragranze da sogno che fanno vivere a occhi aperti esperienze sensoriali a tutto tondo, passando per i film e i libri ambientati nella capitale francese dove è racchiusa, senza sforzo, la magia peculiare della città delle luci, attraversando poi l’arte nella quale le pennellate inconfondibili si susseguono sintonizzandosi sulle onde degli stili differenti, culminando infine nell’esplosione di vita che solo i drappi sgargianti, nei laboratori d’alta moda, sprizzano dalle proprie trame intricate.

Che ingrediente può mancare a questa ricetta già di per sé assolutamente perfetta? La ciliegina sulla torta è l’unico tasto non ancora toccato, la musica, leggiadre note che sul pentagramma si sposano, al pari di una colonna sonora realizzata ad hoc, con le parole raccontanti Teresa e le vicissitudini fuori dal comune di cui è l’assoluta protagonista, una piccola playlist di otto tracce che, a mio avviso, riescono a seguire con facilità le orme di questa donna errante, bisognosa della vera sé stessa e di quell’agognata libertà mai avuta.

 

Ognuno di noi ha un pregresso e la protagonista del nuovo romanzo di Màxim Huerta non è da meno. Tuttavia, a differenza di molti, Teresa Espinosa non ha mai avuto l’infanzia felice che ogni bambino deve vivere con la giusta spensieratezza, un primo periodo di esistenza senza pensieri grazie al quale si vede il mondo con occhi diversi, magari affrontando, un passo per volta, col sorriso sulle labbra, tutte le problematiche del caso, mostri cattivi che vengono sconfitti con l’accecante mezzaluna del viso.
Gnosseinne 1 di Erik Satie racchiude la tristezza in essere che descrive perfettamente i giorni passati della ragazza madrilena, ore che succedevano tra loro con lenta agonia nella speranza di una carezza spontanea, un cenno d’amore autentico, un qualsiasi segno di affetto sfumato prima di generarsi davvero.

 

 

La Question di Françoise Hardy è forse la ovvia scelta musicale per questa fase della storia di Teresa. Citata dallo stesso autore tra le righe de Il piccolo atelier sulla Senna, il pezzo della cantante d’Oltralpe spicca all’istante opportuno per bellezza e acume di significato, sancendo il famoso turning point che la protagonista inconsapevole aspettava da tempo per la sua personale svolta, una falcata che con calma deliberata la porta, pian piano, verso il suo destino di vita e libertà, gettando le prime basi dell’edificio che, scorrendo le pagine, vedrà formarsi davanti ai suoi occhi, mattone su mattone, metodo infallibile per ritrovare sé stessa nelle frasi dell’artista che sembra sbucare, senza invito, dalla radio spenta in una sorta di incursione territoriale, mettendo a ferro e fuoco la tranquillità della signorina Espinosa, dimostrando di avere voce in capitolo nel suo piccolo universo.

 

 

Sebbene una sua esigua prima parte, in pratica una manciata di capitoli, si svolga nella bella Madrid, Il piccolo atelier sulla Senna è, per la maggiore, ambientato nel luogo che celebra l’amore più di ogni altro.
Appena sbarcata a Parigi dopo la notevole presa di posizione della quale si erge come protagonista indiscussa, Teresa osserva la città delle luci da un’angolazione completamente differente, la prospettiva specifica di chi sa nel profondo cosa vuole, senza però conoscere il mezzo tramite cui arrivare all’obiettivo poiché, in fin dei conti, importa esclusivamente raggiungere, prima o poi, quel traguardo anelato con fervore, sorvolando sulle peripezie da affrontare nel mentre e sugli strumenti di cui usufruire per avvicinarvisi: J’y suis jamais allé di Yann Tiersen dona l’impeccabile atmosfera di gioia e brio tipico di un approdo a lidi sconosciuti da esplorare.

 

 

La signorina Espinosa non necessita di troppo tempo, in quel della Francia, prima di incappare in ulteriori e inediti enigmi da risolvere, arcani misteri tenuti nascosti nelle quattro mura accoglienti di uno scantinato dove la muffa padrona ha costruito la sua casa, un rifugio permanente nel quale il passato sempiterno vive ancora, respirando l’aria di chiuso propria di un ambiente affine.
Avec le temps di Léo Ferré racconta del nuovo che succede al vecchio, passaggio di epoche implicante flashback dell’ancestrale esistenza perduta per sempre, ricordi fumosi di una memoria altalenante che gioca a nascondino beandosi della nostra reazione incerta di fronte all’inevitabilità, scoppio ritardato di una partenza in salita a cui sfuggono dolori e bellezze del giorno che fu, scena immortalata in una fotografia dall’eterna essenza di istantanea bloccata.

 

 

La mia anima di pianista non ha potuto evitare di inserire Claude Debussy nella colonna sonora creata su misura per Il piccolo atelier sulla Senna. Ho pensato che Clair De Lune incarni il migliore accostamento musicale se si prende in considerazione il momento in cui Teresa sogna ad occhi aperti un mondo ormai passato, una realtà parallela che non ha perso lo spirito impetuoso di un tempo, risvegliando così antichi miraggi di artisti nell’atto di dipingere l’ispirazione dell’attimo fugace, anelito di vita che, andando e venendo, lascia ai posteri indelebili tracce colorate del suo passaggio. La melodia malinconica richiama come una calamita l’eco di voci lontane, gesti di un’epoca non più in auge, scorci di un’esistenza che, vivida, ritorna ad abbracciare la sua scogliera al pari di un violento maroso, portatore sconfinato di primitivi segreti desiderosi di emergere dalle acque scure dell’oblio.

 

 

L’amore puro e semplice non può evaporare in un battito di ciglia, come se, tutto sommato, non si fosse mai davvero manifestato, indipendentemente dalla potenza con la quale ci ha annientati in quei giorni distanti anni luce dall’oggi, al contempo uccidendo e rinvigorendo il nostro cuore, senza qualsivoglia sconto di pena e alcun pietoso rimorso. Teresa lo sa bene e, per l’appunto, di conseguenza, non è in grado di rimanere impassibile di fronte all’evidenza dei fatti rivelati in maniera tanto lampante e incontrovertibile da toglierle il respiro: un incontro non troppo casuale riporta alla mente immagini dai toni zaffiro che, in una sera di emozione incontaminata si donano tra loro con sentimento reciproco, sorvolando sulle conseguenze finali di simili oltraggi fortuiti, note non cancellabili che compongono il pentagramma struggente de La chanson de vieux amant di Jacques Brel.

 

 

Sous le ciel de Paris di André Rieu racchiude nel proprio spartito i tipici accordi di una sinfonia d’Oltralpe, felicità andante con moto che si lega a doppio filo con il mistero di note sussurrate da strumenti diversi eppure affiatati, amici di sempre che si aiutano, spalleggiandosi, per generare, da un fiume di abbellimenti carichi di chimere reali, un cosmo su scala ridotta dove ogni mente errante può nascondersi e concretizzare i suoi sogni, destino condiviso dagli esseri umani meritevoli di tangibili gioie. La signorina Espinosa cammina proprio sul confine tra realtà e utopia, cercando di prendere un po’ dell’uno e dell’altro affinché il suo desiderio più grande veda la sua prima alba, apertura mattiniera di battenti dove il sipario si alza per permettere agli sguardi circostanti di lambire con una carezza tutt’occhi tesori di inestimabili stoffe, intrecciate a tintinnanti pendagli rétro.

 

 

Se ne avesse avuto l’occasione, tra le pagine de Il piccolo atelier sulla Senna Teresa avrebbe sicuramente detto: Non, je ne regrette rien.
Nella sua celeberrima canzone, Edith Piaf dà voce ai pensieri della protagonista di Màxim Huerta, senza convenevoli di sorta: nonostante degli eventi drammatici abbiano condito la nostra esperienza amorosa contaminandola definitivamente, benché le disgrazie successeci possano sviare la nostra persona dalla strada scelta corrodendoci l’animo nella maniera più assoluta, non potremmo mai provare in seno alcun rimpianto o rimorso per la parentesi, seppur minuta, di illimitata allegria, letizia profonda che, scosse le fondamenta dell’essere, ha saputo ricostruire, tassello dopo tassello, il mosaico del nostro cuore rapito, abbandonato e ancora una volta trafugato per l’eternità. Dopotutto, l’amore è come un tappo di sughero gettato in acqua: galleggerà sempre.