Mentre questo periodo continua a scorrere indisturbato a cavallo fra maggio e novembre, dando origine, quindi, a un mese totalmente inedito che della primavera non evidenzia alcun aspetto intrinseco, in preparazione all’uscita del quinto volume concernente la vita di Igor, l’ultimo orfano di Villa Sullivan che avremo l’occasione di conoscere il 10 giugno, Ornella De Luca, autrice della The Orphanage Series, ci ha voluto regalare un’avventura approfondita fra i volumi precedenti della sua saga letteraria, quattro romance che, vestiti delle molte sfumature di genere, hanno carpito il mio cuore con estrema facilità.
Creazione a cura dell’autrice Ornella De Luca
Dopo aver assaggiato nuovamente le pagine di Adesso apri gli occhi sul blog I Miei Magici Mondi e richiamato alla memoria L’ultima lanterna della notte grazie a Romance e Altri Rimedi, passando anche per La pescatrice di asterischi dove le parole de La stazione dei bagagli smarriti hanno riverberato con un’eco incredibilmente fragorosa, oggi si approda su La Nicchia Letteraria per l’ultimo appuntamento di questo particolare blogtour dedicato a Dove cade il fulmine che ripercorrerò mediante la trama rimaneggiata da me, due estratti presi dalla mia recensione e, infine, un frammento dell’opera stessa.
Creazione a cura dell’autrice Ornella De Luca
Jack Sanders è inquieto, sebbene faccia di tutto per non darlo a vedere. Dopo aver ricevuto, senza averlo ordinato, al suo appartamento una cassa di Coucher du soleil, un Sangiovese del 1993 targato Château du grâce, la vecchia azienda vitivinicola della sua famiglia, e un messaggio telefonico lasciato da un anonimo al barman del suo posto di lavoro, The Rose’s Paradise, in cui gli si chiedeva se effettivamente la bevanda arrivata a destinazione gli fosse piaciuta, all’ennesimo scherzo di cattivo gusto sotto forma di biglietto rinvenuto sul pavimento del locale che ogni sera il protagonista controlla in qualità di capo della sicurezza, il quarto orfano del gruppo di amici cresciuti a Villa Sullivan perde le staffe una volta di troppo, rischiando di essere licenziato a causa del comportamento rissoso adottato nei confronti prima del collega sopracitato e poi dell’imprenditore edile svedese con cui Cyrus avrebbe dovuto firmare un contratto da milioni di dollari.
Arrabbiato per la piega che stanno prendendo queste macabre coincidenze e incredulo di fronte alla minaccia non tanto velata del suo boss, Jack è costretto ad accettare il compromesso offertogli, prendersi una vacanza di un mese per rinvenire il baricentro e tornare al suo impiego più in forma di sempre. Per uno come lui che mai ha maturato delle vere e proprie ferie, dedicandosi, quindi, in maniera costante e ferma alla sua professione quasi la sua vita dipendesse esclusivamente da essa, tirare il freno a mano e guardare il panorama dovrebbero rappresentare quella giusta scappatoia affinché il relax faccia il suo corso in delle membra provate dagli eventi degli ultimi giorni; tuttavia, per Jack, questa molto plausibile manna dal cielo risulta una condanna a morte in cui l’inerzia sedimenterebbe le sue vergognose radici, procurando nella sua mente solo alte dosi di noia da stancante tedio che lui, in ogni modo, dovrà saper contrastare. Fortunatamente, il suo cervello genera una brillante idea che potrebbe occupare il periodo di stallo in avvicinamento: andare a Napa Valley, dove tutto è iniziato e tutto è finito, per vendicarsi di Andréa Dumont, l’unica persona che avrebbe avuto la possibilità di giocargli i tiri mancini di cui è stato la vittima designata.
Creazione a cura dell’autrice Ornella De Luca
[…] quando entrano in gioco i moti interiori di spontanea affettività, tumulti dell’indole nel cui clangore venire sballottati significa vivere in ogni forma possibile, la naturalità della nostra essenza contempla il gettare la maschera esterna della quale facciamo uno sfoggio eccessivo, oltre le sue reali incombenze di professionista della truffa, esibizione ostentata di qualcosa che non siamo ma che vorremmo essere per accontentare le volontà di un ipotetico pubblico richiedente quel determinato ruolo a cui adeguarci, nostro malgrado, consapevolmente, artificiosa perfezione che si sgretola nell’attimo in cui l’imprevisto appare e non si eclissa più: benché sia onnipresente il timore fondato di sfigurare con il prossimo qualora ci si azzardi nell’espressione totale delle macchiette in personale detenzione, superficiali nei alla mercé dell’indiscrezione di un occhio curioso, abbigliarsi con gli indumenti del nostro guardaroba è la tattica migliore per farci apprezzare dal riflesso del nostro affetto, quello specchio di purpureo mosto in cui annegare i dispiaceri da vita intensamente vissuta, un’immagine gemella che non avanzerà mai il suo giudizio senza prima valutare, in maniera disinteressata, il quadro d’insieme, un dipinto fatto e finito nella cui pienezza sono annoverati sia negatività sia positività, yin e yang che, sebbene dagli esordi hanno optato per guerreggiare tra loro, non possono esistere isolati, equilibrio precario che soltanto la passione sa stabilizzare davvero perché è l’unica entità in grado di trionfare (d)ovunque, anche a seguito di mille e più disgrazie.
Dopotutto l’amore è casa, qualsiasi sia il luogo dove ci troviamo.
Creazione a cura dell’autrice Ornella De Luca
Dove cade il fulmine è pura adrenalina di pagine scorrevoli in continua scorsa. Sebbene mantenga alto l’elevatissimo tenore dei tre volumi che lo hanno degnamente preceduto, al contrario di essi, nelle vene della storia di Jack e Andréa scorre la china dell’azione e l’inchiostro della suspense, un ambo di caratteristiche che rafforzano il già dominante magnetismo della scrittura di Ornella De Luca, un’autrice che, oltre a riconfermare il suo innegabile talento, dimostra una poliedriticà d’adattamento senza eguali, scrutatrice indefessa, nell’oscurità delle sfumature di un singolo genere letterario, di taluni dettagli consoni al rapimento totale del pubblico preso all’amo a suon di colpi di scena. A cavallo tra passato e presente in un continuo rincorrere di fatti accaduti ripercuotenti l’oggi più di ieri, i capitoli narranti le vicissitudini, congiunte o meno, dei due protagonisti principali del quarto volume della The Orphanage Series scandiscono un ritmo fatto di slanci periodici e pause ad effetto, un’altalena in perpetuo movimento che, attraverso la sua peculiare evoluzione mantiene in allerta l’uditorio, imponendo agli astanti di rimanere in allerta qualora, da un momento con l’altro, un ulteriore indizio decidesse di mostrarsi, al loro sguardo, in tutta la sua magnificenza, elargire sempiterno di inconfutabili segnali che, uniti come in una classica pista cifrata da settimana enigmistica, guidano all’identificazione del tratteggio finale, un risultato prosaico dall’insita poesia dove ogni particolare è stato studiato fino in fondo, esplorando la sua miriade di anfratti nascosti pur di esaltarne la fascinosa grazia della quale si accompagna, una sinfonia musicale realizzata con lessemi e punteggiatura che, vagliati al microscopio uno per volta, sa ancora sorprendere i perspicaci nell’abitudine di indovinare le dinamiche taciute prima ed estrinsecate dopo: poiché sono gli ingranaggi a rendere funzionante il meccanismo e a designarlo come il migliore mai costruito. Nulla di più.
Creazione a cura dell’autrice Ornella De Luca
Tornai a casa quasi di corsa e, appena arrivato, accesi il pc. Di dormire non ne avevo proprio voglia e in più mi sentivo animato da una smania di vendetta mai provata.
Dovevo capire chi era l’ideatore di quel macabro gioco.
Prima l’avrei scoperto, prima sarei tornato al mio lavoro e alla mia vita di sempre.
Così aprii un motore di ricerca e scrissi il nome che mai, in ben venticinque anni, mi ero azzardato a cercare: Château du grâce.
Il primo indirizzo sembrava quello giusto, cliccandoci sopra fui reindirizzato a un sito ancora in costruzione, che aveva come immagine di benvenuto un enorme vigneto nel bel mezzo della Napa Valley.
La scritta in alto diceva: Modernità e tradizione. Château du grâce sta per tornare.
A seguire, un breve paragrafo che riassumeva la storia dell’azienda, fondata nel 1984 da Brandon Sanders, Mathieu Dumont, Hunter Jimenez e Dylan Brown, quattro amici con un sogno in comune. Brandon Sanders era mio padre, gli altri nomi non mi dicevano nulla.
Saltai la parte romanzata e passai a quella che mi interessava maggiormente. Il sito non spiegava le motivazioni della chiusura improvvisa nel 1993, ma poneva l’enfasi sul desiderio della famiglia di Mathieu Dumont, uno dei vecchi proprietari, di ridare vita all’etichetta.
Due furono i pensieri che mi balenarono in mente leggendo quelle poche righe.
Il primo riguardava i Dumont: la nuova Château du grâce aveva un legame con la vecchia azienda.
Il secondo pensiero riguardava il sito: non era presente un e-commerce perché ancora, ufficialmente, l’azienda non aveva dato il via alla vendita. E questo poteva significare solo che chi mi aveva mandato quella cassa di vino aveva a che fare con i Dumont.
Scorsi la pagina iniziale del sito fino in fondo e trovai una foto della nuova proprietaria della tenuta.
Era una giovane donna sui venticinque anni, dai lineamenti decisi e dallo sguardo severo.
Aveva i capelli chiari raccolti in un’acconciatura ordinata e un trucco impeccabile, molto bon ton, e indossava una camicia chiara con sopra una giacca elegante. Attorno al collo un sottile filo di perle.
Sembrava un avvocato pronto per la Corte Suprema e non la proprietaria di un’azienda vinicola.
Nell’unica foto che possedevo di mia madre, lei aveva una salopette sporca di terra, i capelli legati in una treccia disordinata e…
Che diavolo mi sta succedendo?
Concentrai tutte le mie emozioni su un unico pensiero: la vendetta.
Che adesso aveva il bel volto curato di Andréa Dumont.
Lascia un commento