Avete presente quei momenti in cui sapete di non potervi immergere del tutto in un libro perché intorno a voi la vita reale si fa sentire irrequieta e non avete alcuna scappatoia per sfuggirle, evitando così le sue trappole mortali e adescatrici? Malauguratamente, ho scelto proprio uno di questi periodi temporali per affrontare Le ferite originali di Eleonora C. Caruso, un viaggio intenso che scalpita, sorprendendoci, quanto il mondo vero di cui siamo circondati, un’avventura complessa che, al pari di un eclatante paradosso, va fronteggiata col contagocce dopo aver aperto al massimo il rubinetto, prima e quinta marce di una stessa auto che, impazzita, non riesce a essere gestita e, di conseguenza, in maniera oltremodo inevitabile, è destinata a sfracellarsi nel cuore del lettore, dilaniandolo, lacerandolo, smembrandolo per poi ricomporlo al pari di una moderna versione del mostro creato dalle mani sapienti del dottor Frankenstein, un individuo che, alla parola Fine, si ritrova uguale a prima eppure diverso, punti coincidenti e discordanti a cui, riflettendosi allo specchio, viene proposta un’immagine sconosciuta che ora appartiene loro, per diritto e scelta personali imposti a essi dalla medesima lettura divorante. Quindi, l’unico motivo per cui ho impiegato più giorni del solito ad appropriarmi di Christian e della sua routine sui generis porta il nome di università, in particolar modo mi riferisco alle sue sessioni d’esame che nascondono numerose insidie e tranelli da aggirare per uscirne incolumi, traendone profitto e imparando, si spera, ad affrontare la sua successiva gemella con entusiasmo e vigore superiori.
Tuttavia, sorvolando sulle montagne russe su cui salgo quotidianamente, che abbia o meno voglia di assaporare l’adrenalina dei giri della morte, adesso è giunto l’attimo che stavo aspettando impaziente per parlarvi di questo romanzo, un Thr33 Words che spero vi intrighi a tal punto da indurvi all’acquisto poiché questa è una storia che merita tutta la vostra attenzione e, di conseguenza, la possibilità di essere vissuta dalla maggior parte degli amanti della parola scritta.

Leggendo Le ferite originali, gli impavidi avventurieri si addentreranno in un’atmosfera di pura malinconia, assoluta mestizia che si propone in forme e situazioni differenti, capaci però di straziare in egual misura con le medesime armi contundenti.
La scrittura assai potente di Eleonora C. Caruso trasporta in un universo contemporaneo che poco si discosta dalla a volte triste realtà di tutti i giorni. Nelle pagine di questo romanzo si dispiegano, infatti, vite comuni che possono calzare perfette a chiunque transiti tra le righe del libro, motivo per cui il lettore spiazzato si incastra in un tran tran non suo che lo chiama a gran voce obbligandolo a un’identificazione troppo profonda e intensa da sopportare senza esagerazioni all’eccesso, esistenze che, però, non smarriscono la scintilla speciale con la quale da sempre passeggiano a braccetto, piccole macchiette che caratterizzano gli spaccati ivi descritti abbellendoli con pizzi e merletti di una tale pregevole fattura da permetterne prima il riconoscimento e poi, soprattutto, il ricordo nella mente di ognuno, elementi che, insieme, incupiscono l’indole e lasciano inermi chi tenta di accostarsene anche solamente a debita distanza, una sicurezza che tuttavia sfuma e lascia spazio, pian piano, a possibilità infinitesimali di scontri ravvicinati non voluti, spugne che assorbono qualsiasi gioia per trasformarla in cupa afflizione inducente il pubblico a migrare verso un oblio infinito dove spingersi è prassi curiosa, perdersi conseguenza lapalissiana, non ritrovarsi mai più fatale ovvietà.
I personaggi, certo, non sono da meno. Quali possessori indefessi di stralci animati parecchio drammatici, essi manifestano il loro malcontento esterno proiettandolo sotto forma di pensieri sintonizzati sulla medesima frequenza d’onda, un do ut des che si nutre vorace della carne da lui stesso in precedenza sbranata, uno scambio non equo che, donatogli la positività ormai totalmente evaporata, elargisce sepolcrale rassegnazione, fermo immagine dell’esaurirsi costante dei parametri vitali, approdo di convergenze che, al pari di un crocevia, diventa teatro unico di tragedie in cui i protagonisti indiscussi, mente e corpo, amalgamandosi, smettono di esercitare in maniera volontaria il potere detenuto, abbandonando alla deriva ciò che resta, rimasugli insignificanti che, come sabbia tra le dita, scivolano creando un vuoto troppo grande per essere colmato, scappano identificando il loro individuo come portatore sano di funesta disperazione e abbandonano quell’involucro cavo condannandolo all’ipotetica ombra eterna, oscurità per cui non esiste alcuna luce in grado di fenderla coraggiosamente, domarla con tenace pazienza e, infine, senza più ostacoli lungo il tragitto, vincerla una volta e per sempre.

Il fascino che sta alla base de Le ferite originali è racchiuso completamente nello stile unico della sua autrice, impronta stampata che ipnotica attrae verso di sé il lettore, una persona tra tante altre che, inconsapevole, rappresenta la preda designata dal mirino ben calibrato di Eleonora C. Caruso, una scrittrice che, grazie alla modalità attraverso cui racconta le vicende delle quali si fa portavoce, assume il ruolo di abile paroliere, cantastorie che, tramite una cascata di vocaboli, investe il suo pubblico con il proprio incantesimo, sballottandolo in acque ime e agitate dove solo un freddo glaciale lo può accogliere, tentacoli spalancati che lo avvinghiano suo malgrado in turbinii convulsi di correnti impetuose.
È fuor di dubbio che una simile strategia di cattura dell’attenzione venga concretizzata con graduale premura, costante dedizione che vede il proprio sviluppo fin da subito, senza perdere alcun attimo di tempo, prezioso e incessante ticchettare che può rivelarsi utile nel momento del bisogno. L’autrice, infatti, catapulta lo sventurato marinaio nel suo oceano di carta e inchiostro, medias res che disorientano e colgono alla sprovvista l’ormai naufrago delle pagine, catapulte che confondono e tramortiscono con lessemi frementi nel voler descrivere situazioni, luoghi e personaggi, i classici elementi di un libro che, scorrendo i paragrafi, si svelano a poco a poco dimostrandosi salvagenti capaci di introdurre e integrare, maestri d’accoglienza per gli scanner ortografici che permettono alle vite raccontate di insinuarsi nelle anime ricettive, sebbene esse risultino in qualche modo refrattarie nel consentire l’appena citata occupazione poiché possano non trovarsi d’accordo con la maniera di agire e ponderare della progenie frusciante della scrittrice.
Tuttavia, più si procede a leggere, più la ragnatela intessuta da Eleonora C. Caruso coinvolge, inevitabile effetto che scaturisce da un’abilità nel narrare ben radicata nella sua stessa affermazione, conseguenza che strappa del tutto il lettore dalla sua realtà e lo getta in pasto a un universo al contempo distante e vicino, fiera che necessita sempre di vivo e palpitante sostentamento, nuovo e vecchio mondi che si incontrano frontali ai limiti, unendosi per donare il primo respiro a un cosmo verso cui, nonostante l’allergia che percepiamo nei suoi confronti sia ancora vigorosamente persistente, sentiamo nel profondo di appartenere, rapporto talmente robusto da indurci ad annaspare in cerca di ossigeno nell’esatto quanto durante cui leggiamo l’ultima frase de Le ferite originali, chiusura definitiva del percorso che ci riporta al presente, dono che vorremmo scartare per avere un’ulteriore occasione di ritornare in prima persona là dove Christian e gli altri ancora ci accoglierebbero, casa dolce casa che tanto estranea non lo è più.

Il male insito a Christian è una tempesta di portata epocale. Chiunque si trovi nel suo raggio d’azione diventa irreparabilmente il bersaglio perfetto su cui l’instabile tornado è spinto ad abbattersi identificando il suo distinto piacere di natura oltremodo perversa che pronostica il nutrirsi in maniera avida degli investiti, quasi rappresentanti del suo unico sostentamento, un pasto ipercalorico che, prima ancora di essere afferrato e ingerito dalla belva insaziabile, a causa del durevole contatto ravvicinato con essa, a lungo andare marcisce un pezzo per volta e su sé stesso decade, dimostrando le conseguenze non indifferenti di quell’incontro fortuito di gioia insperata che, purtroppo, si è tramutata in oblio forzato dove solo le ombre hanno una qualche possibilità di esistere.
Non importa che si tratti della sua persona.
E nemmeno conta che si riferisca a coloro che orbitano intorno a lui.
In un modo o nell’altro, Christian riuscirà sempre e comunque a tormentare fino allo sfinimento, persuaso dalla sua malattia a protrarre determinate condotte, talora inciampando nel perseverante utilizzo del bipolarismo al pari di una scusa per qualsiasi scivolone che il protagonista de Le ferite originali ricrea ad arte uscendo dal proprio seminato, cadute pianificate che trascinano rovinosamente a terra pure chi, sciagurato, offre la sua mano affinché il ragazzo si rialzi e continui la sua strada, guarendo dalle ferite riportate anche grazie all’aiuto ricevuto, di certo non meritato, che dovrebbe lenire e fortificare.
Purtroppo, in questo caso, usufruire del condizionale è d’obbligo. Infatti, il vortice trascinante risucchia tutto ciò a cui l’estremità offerta è attaccata, totali rapimenti senza richieste di riscatto in cui i neo imprigionati vedranno affievolire la propria luce interiore, già mascherata anzitempo attraverso una finzione ben congegnata atta a scudo protettivo entro cui celare le debolezze personali, con il solo scopo di favorire l’avanzata incipiente delle tenebre, buco nero che catalizza come un magnete carne e anima, indicando loro un percorso fatidicamente sbagliato da intraprendere, auto-distruzione prematura di cellule neurali che convincono in un circolo vizioso a rimuginare e riflettere su fumose e inquinate elucubrazioni, una Milano in miniatura segregata nello spazio ristretto di una palla di vetro dove la neve, perpetua, cade in tutte le stagioni, a seconda dello scossone violento che la interessa, una gabbia d’oro dalla quale si può fuggire se solo si trova il coraggio necessario a recidere il legame con essa, trovando la giusta aspirazione, quella per cui noi siamo la meta e la partenza, fine della nostra versione obsoleta da dismettere e inizio dell’aggiornamento inedito da installare, l’unica soluzione in cui ricominciare da zero è la parola chiave. Da soli o in compagnia? Dipende da noi e dall’intimo desiderio di migliorarci, giorno dopo giorno, per l’eternità.

 

 

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Le ferite originali
Autrice: Eleonora C. Caruso
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 352
Anno di pubblicazione: 2018
Genere: Narrativa
Costo versione ebook: 9.99 euro
Costo versione cartacea: 19.00 euro
Link d’acquisto: Amazon (ebook), Amazon (cartaceo)
Sinossi: Siamo a Milano, negli anni di Expo. Dafne ha venticinque anni, studia medicina, è benestante, graziosa e giudiziosa, e ha un tale bisogno di essere amata da non voler capire che la sua relazione sta andando in pezzi. Davide è uno studente di ingegneria fisica al Politecnico, vive in periferia, ha la bellezza timida e inconsapevole di chi da bambino è stato grasso e preso in giro dai compagni di scuola. Dante ha quarant’anni, è un affascinante uomo d’affari, ricco e in apparenza senza scrupoli, capace di tenerezza soltanto con la figlia Diletta. Dafne, Davide e Dante non lo sanno, ma tutti e tre hanno in comune una cosa: stanno con lo stesso ragazzo. Si tratta di Christian: ex modello, bellissimo. Seduttivo, manipolatore, egocentrico, Christian ha in sé i mostri e la magia: è bipolare, e alterna picchi di irrefrenabile euforia a terrificanti abissi depressivi, trascinando nel suo mondo spezzato anche Julian, il fratello adolescente, per cui prova un affetto eccessivo, quasi soffocante. Christian catalizza e amplifica come un prisma i desideri di Dafne, Davide e Dante, e le vite di questi quattro personaggi finiscono per intessersi così fittamente che nemmeno al momento della verità – e alla caduta che ne consegue – riusciranno a slegarsi.