Con l’esperienza ho scoperto sempre più di frequente quanto avere fretta sia assolutamente deleterio: se il proverbio afferma che è una cattiva consigliera, ci sarà una ragione plausibile, no? Nella casistica toccata da un tale destino rientra pure il mondo letterario e, proprio per questo motivo, infatti, mi sono sentita in dovere di mettere in pausa la lettura di Alice, non è il paese delle meraviglie quando l’estate scorsa, in agosto, decisi di avventurarmi nella storia di Giuditta Ross. In pratica, temevo che, perseverando col primo volume della serie Gli eredi della foglia, sebbene avessi trovato una trama nelle mie corde, non sarei riuscita ad apprezzarlo a pieno poiché la celerità di leggerlo mi stava spingendo là dove non era ancora il momento giusto di essere. Così, decisi provvisoriamente di fermarmi e riprendere questo bellissimo fantasy, rileggendo la parte già affrontata e terminandone il viaggio in definitiva, non appena fossi stata davvero pronta: non vi sorprenderete, quindi, se vi dico che la Vigilia di Natale del 2017 è stata più incantata e romantica del previsto.
Ora, la domanda da porsi è una sola: quali Thr33 Words ho scelto di associare a questa lettura?
Il libro di Giuditta Ross è pura frenesia, concitata smania che travolge inaspettatamente in uno tsunami di genuine emozioni trascinanti e squassa nell’intimo, disordinando le carte in tavola per costituire un grandioso castello della cui rara magnificenza non ci si era mai beati fino ad allora.
Il primo aspetto dove notiamo questa fiamma che divampa e si eleva verso il cielo con le sue lingue di fuoco, cercando in ogni modo di afferrare porzioni di blu in una salda morsa d’acciaio, sono di certo le scene piccanti che, tra le pagine del libro, si insinuano di nascosto e prendono alla sprovvista il lettore, comunque paradossalmente pronto all’immersione totale nelle suddette situazioni grazie ai preludi che l’autrice ha posto quali esche succulente non tanto per anticipare l’ovvia conseguenza delle sue parole e quindi, in qualche maniera, guastare il brivido dell’attesa delineando la vicenda prima ancora che effettivamente sia accaduta, ma per stuzzicare la curiosità venutasi a creare, una pulce nell’orecchio che imperterrita salta senza dar pace all’organismo ospitante, elettriche aspettative capaci di scatenare, lungo la spina dorsale, terremoti interiori proiettati all’esterno e celebrati da parte del pubblico affamato con l’ingranare della marcia ad ogni paragrafo terminato, pagina voltata, capitolo chiuso, toccando il culmine alla parola Fine, raggiunta in men che non si dica, quasi per incanto.
Tuttavia, sebbene Giuditta Ross contribuisca ad incentivare la passione attraverso la sua palese bravura nel narrare istantanee letterarie da togliere il respiro, una capacità non da tutti denotante una buona conoscenza dei vocaboli e dell’uso che se ne può fare, sono i personaggi di Alice, non è il paese delle meraviglie i veri protagonisti di un tale ardore, punti cardine di una porta ben oliata che non potrà mai cigolare: questi individui, infatti, sono animati da uno slancio considerevole non solo nella sfera concernente le particolari occasioni di cui sopra, ma anche in tutti gli altri ambiti della loro vita su carta, inchiostro indelebile che li cristallizza in attimi fugaci in grado di dimostrare un carattere a tratti selvatico, una sorta di animale in gabbia a cui viene concessa qualche ora d’aria, manciata di tempo sufficiente a svegliare in loro stessi ciò che sopiva in segreto, una fiera celata che ha finalmente l’occasione di manifestarsi repentina, stagliandosi in lontananza e oscurando qualsiasi fonte di luce, un moto interiore che si abbatte pure sugli interlocutori, onde anomale di tumulti affettivi che, formando un ossimoro, alimentano una foga lavica distruttrice e creatrice, rivoli di mortale esistenza che scavano un solco profondo, unici testimoni di un darsi totale, per sé, per l’altro, per le convinzioni di sempre.
Un libro senza una trama ben definita e articolata nei punti giusti non ha sicuramente lo spirito per essere considerato tale poiché la mancanza rimarca una certa vacuità di contenuti e una significativa povertà concernente importanti aspetti, cavalli imbizzarriti lasciati erroneamente a briglia sciolta. Per fortuna, Alice, non è il paese delle meraviglie non appartiene a questa categoria letteraria alquanto infelice: difatti, il fantasy di Giuditta Ross è costruito a partire da una struttura con fondamenta molto solide, un’eccellente base appena abbozzata in continuo divenire che, quindi, si sviluppa insieme allo stesso scorrere implacabile delle pagine, parole su parole che si susseguono una dopo l’altra, incatenando nella propria rete l’ignaro lettore divenuto, dopo il tempo sufficiente a rendersi pienamente conto della situazione, ormai invischiato in una prigione d’inchiostro dalla quale è davvero troppo tardi per evadere. Di conseguenza, più ci si inoltra nei meandri della storia, portando avanti la lettura che si fa via via quasi concitata e frenetica, spinta dal desiderio spasmodico di scoprire e comprendere ogni dinamica nascosta tra le righe, più ogni tassello del primo volume de Gli eredi della foglia comincia a collocarsi nella posizione a lui destinata e solo per lui concepita, una minima migrazione che all’inizio passa inevitabilmente inosservata sul filo dei lessemi dell’autrice italiana, un piccolo spostamento trasformatosi poi in esodo epocale se, dal traguardo in cui si è arrivati, ci si volta indietro, guardando al prologo del libro, stupendosi di tutta la strada percorsa, meravigliandosi di non essere per nulla stanchi e bisognosi di necessarie tregue ristoranti.
Tuttavia, questa caratterizzazione minuziosa, fili intessuti in orditi che si scopriranno essere l’anima di un mosaico stupefacente nella sua morbida armonia, non è relegata unicamente al plot di Alice, non è il paese delle meraviglie, ma va a propagarsi, come l’eco assordante di un richiamo nella vallata, sui personaggi stessi del romanzo, in principio abbozzate macchiette che un artista ha pensato di introdurre nell’opera senza però aver chiaro l’intento finale, in seguito pennellate cariche di intensità colorata che si sono evolute con il progredire del capolavoro e l’esperienza dell’esteta, individui che, seppur diversi e sembranti in qualche modo slegati l’un l’altro, si ritrovano collegati, loro malgrado o meno, tanti tasselli di un puzzle che sottolineano l’importanza fondamentale dell’insieme e della dislocazione funzionale di ognuno, persone a tutto tondo che viaggiano con voluminosi bagagli condivisi, scrigni di emozioni in crescendo e adattatisi ai propri possessori al pari di un guanto che prende la forma della mano abbracciata dalla stoffa intessuta ad hoc, sentimenti difficili da decifrare a causa della personale e caratteristica complessità intrinseca, tanti dilemmi certi di un unico immenso quadro.
È chiaramente lapalissiano associare la parola Magico a un libro come Alice, non è il paese delle meraviglie. Dopotutto, appartenendo alla categoria della letteratura fantastica, è evidente che esso sia intriso della tipica atmosfera del genere, un’aura densa che impregna ogni capitolo del sopra citato viaggio di carta e inchiostro, una trappola per il lettore che viene catapultato in un mondo reale eppure diverso, un pizzico di normalità dei giorni nostri con una spolverata significativa di sogno ad occhi aperti, una vita parallela dove si ha la possibilità di incontrare dietro l’angolo creature non convenzionali, esseri ultraterreni da cui si dovrebbe stare alla larga, nonostante l’enorme attrazione provata nei loro riguardi, come la seducente fiamma ne esercita sull’indifesa falena, un’esistenza che ci porta ai confini ultimi dell’universo e sempre più oltre, permettendoci di conoscere i limiti infiniti dell’immaginazione e nominandoci protagonisti di avventure straordinarie, indispensabili seguiti di antiche leggende che si ripropongono nelle vesti di lontani echi mitici di cui ancora, all’orizzonte, non si vede il termine.
In aggiunta a ciò, se si considera anche la scrittura di Giuditta Ross, penna ammaliatrice che si infila, con passo felpato, negli anfratti della nostra anima, si raggiunge d’obbligo il nirvana del fantasy, una condizione estatica capace di rapire il pubblico inserendolo in una cornice esoterica da cui fuggire è impensabile, incontaminata magia che esala dalle parole impresse prima solo nel testo e poi a fuoco nel cuore di ogni lettore, espressioni che si rincorrono non lasciando scampo e tormentando ogni spirito in ascolto nella perenne ricerca di un termine ancora, l’ennesimo sussurro dell’autrice che rimbomba nelle orecchie come un grido in un antro cavernoso. Il riverbero che ne scaturisce si riflette apertamente sui fotogrammi della cronaca narrativa, cause ed effetti conseguenti che attribuiscono all’insieme un sottofondo di fatato romanticismo, etereo scivolare di sentimenti che, in cascatelle torrenziali, si abbattono non solo su chi ha avuto l’ardire di immergersi nel primo volume della serie Gli eredi della foglia, individui che, non più indifferenti, si lasciano trasportare dalle correnti in atto, sballottamento dopo sballottamento, ma anche sugli stessi personaggi dell’opera, una grande progenie letteraria che, di fronte alla fatalità delle emozioni scaturite in momenti decisamente sbagliati e inopportuni, si ritrovano ad essere quasi piccoli e indifesi sotto lo sguardo indagatore della trepidazione, al contempo timorosi e speranzosi dell’uno che con l’altro potrebbero formare.
Scheda libro
Titolo: Alice, non è il paese delle meraviglie
Serie: Gli eredi della foglia #1
Autrice: Giuditta Ross
Casa editrice: Triskell Edizioni
Pagine: 503
Anno di pubblicazione: 2017
Genere: Romance, Fantasy
Costo versione ebook: 2.99 euro
Costo versione cartacea: 13.43 euro
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Sinossi: Alistair St. Clare è una creatura potente. Un raro vampiro. Cammina sul mondo da secoli e conosce molto bene se stesso e il suo posto nel variegato substrato di esseri non umani che popolano la terra, perennemente in conflitto gli uni con gli altri. Da sempre si destreggia sul filo del rasoio di delicati equilibri di potere. Sa bene che lasciarsi ammaliare da due begli occhi dorati potrebbe costargli tutto ma, improvvisamente, il ferreo pragmatismo di una vita svanisce sostituito da un bisogno selvaggio e folgorante. Alice non è che una semplice piccola vampira in un mondo di lupi mannari. O almeno così pensa. Non sa nulla di sé, solo quello che il vecchio Noan le ha detto da quando si è svegliata, senza un briciolo di memoria di ciò che era. La sua vita si trascina sospesa tra il lavoro al pub, la stramba amica ‘Dhu e un ragazzo carino che le lascia affondare le zanne in lui di tanto in tanto. Questo finché il suo passato non torna prepotentemente a reclamarla. Alice scoprirà che non c’è nulla di semplice nella sua vita da vampira, che l’uomo dei suoi sogni è un tipo da incubo che non si fermerà davanti a nulla pur di tenerla al sicuro.
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