Quando mi capita di riflettere sulla mia infanzia letteraria, i primi titoli che mi vengono in mente sono di sicuro Piccole donne e Piccole donne crescono, due avventure di Louisa May Alcott che mi hanno portata placidamente nel mondo delle sorelle March, inducendomi a un trasporto profondo e viscerale per la loro storia strappalacrime. Nel momento in cui scoprii che la da me sempre considerata duologia fosse in realtà una tetralogia, capirete che in una tale posizione di svantaggio mi sono ritrovata subito a pensare a come risolvere la mia mancanza abissale, progettando quindi la rilettura dei primi e l’affronto ex novo dei secondi. Pochi mesi dopo, durante i quali ho protratto sempre più il mio suddetto piano “malefico”, Michela della casa editrice flower-ed, dispensatrice di piccoli tesori di carta e inchiostro da custodire non solo nei propri cuori ma anche in quelli delle personali librerie private, mi ha consigliato Una ghirlanda per ragazze, una raccolta di sette racconti in cui l’autrice statunitense si è cimentata rivelando le solite caratteristiche che la contraddistinguono, un piacevole ritorno alle origini che i nostalgici come me non possono far altro se non apprezzare intensamente, ma che vedono comunque l’aggiunta di sfumature nuove, totalità forti e diverse che risaltano sulle altre e celano nella propria ombra le loro fragili gemelle, imponendo una presenza non indifferente e scatenando nel lettore inediti moti interiori scombussolanti e squassanti da capo a piedi. Potevo, quindi, non accettare un’offerta simile, gentilmente servitami su un piatto d’argento? Direi di no poiché non era mia intenzione commettere un (altro) gigantesco e madornale errore.

Immaginate che sia un bellissimo pomeriggio assolato, uno di quelli che sarebbe davvero un peccato non trascorrere all’aperto. Supponete di prendere la palla al balzo e, quindi, uscire di casa, prendendo sottomano una bella coperta a scacchi bianchi e rossi, tappeto volante capace di portarvi verso luoghi meravigliosi e fantastici nei quali perdersi prima e ritrovarsi poi, ovunque, da nessuna parte, insieme, da soli, e un cestino da picnic, scrigno custode di una lauta merenda per l’anima palpitante in cerca di verità nascoste, malcelate nell’oscurità di una realtà palese, finestra su un mondo esteriormente superficiale, purtroppo l’unico universo a cui poter aggrapparsi e attingere. Pensate a un posto bellissimo, immerso nella natura più verde e incontaminata, un giardino curato in ogni minimo dettaglio dove, all’ombra di un albero, potrete scorgere intorno a voi le meraviglie donateci dalla Madre senza pretendere nulla in cambio, bellezze rigogliose che, in punta di piedi, accompagnano la nostra vita di sempre, da un lato presenza costante nel loro scrutarci in maniera continuativa, voyeur silenziosi e discreti danzanti su un filo sottilissimo di aracnidea fattura, dall’altro assenza persistente per il loro passare inosservate a causa del comune esserci di sempre, routine abitudinaria che, come ogni fissazione, è dura a morire. Per completare il quadro, figuratevi una leggera brezza che si leva tra le fronde e scompiglia i vostri capelli, portando con sé profumi lontani, esotici bisbigli di cui il vento si è appropriato durante il suo percorso, strascichi di vita che raccontano storie attraverso l’aroma speziato e inconfondibile dell’uno o dell’altro virgulto.

Subito emerge la fragranza intensa del biancospino, un candido faro altruistico che fende l’oscurità dell’egoismo circondandola in un caldo e niveo abbraccio, striato di rosso vermiglio, fuoco accerchiante un’abnegazione che fiorisce nel suo caratteristico splendore seguendo una costante crescita, movimento interiore che in pochi annoverano nel proprio portfolio: solo le persone impegnate a raggiungere obiettivi onorevoli, mettendosi in gioco per il prossimo, bisognoso di un aiuto o più semplicemente di un amico, come se lavorassero su loro stesse per migliorare l’esistenza personale, hanno la possibilità di maturare abbastanza per approfondire la conoscenza di sé e arrivare a un livello di progresso notevole che le indirizza verso la strada adeguata alla loro indole, un viale alberato netto e immenso capace di instradare i suoi destinatari là dove risiede la motivazione ultima, l’unico sprone in grado di permettere la perpetrazione dei buoni propositi, ampliandoli e riempiendone i buchi, cavità vuote ben nascoste esautorate infine della loro comune definizione. Inevitabili sono il moto profondo di felicità, gioia che si trae da simili azioni, un mettersi in gioco che caritatevole giunge al pari di una carezza lieve eppure sentita, una miriade di piccole essenze che, nonostante la dimensione non considerevole, fanno un’immensa differenza, e l’orgoglio della famiglia che, al pari della fierezza sentita dagli amici, vedendoci prodighi nei confronti degli altri, un impegno non indifferente di cui ci siamo fatti volentieri carico, è percepito con intenso trasporto nei nostri riguardi, minuscoli essere pensanti che hanno seminato e raccolto al momento giusto e solo allora.

Tuttavia, l’edera rampicante decide di rubare la scena, attirando la nostra attenzione con il suo vivace colore speranzoso, pianta portatrice di una stretta vigorosa che toglie il fiato nella sua spira mortale e vitale insieme, incontro di rami che, all’inizio insignificante, si ripropone, con lo scorrere del tempo, sotto la veste di svolta, un istante preciso durante il quale l’esistenza congelata viene riattizzata a nuovo fuoco, circostanza capace, in via definitiva, di addolcire il nostro mondo con bellezza e serenità o peggiorarlo introducendo altre disgrazie ed ennesime sconfitte da tollerare. La routine viene, quindi, capovolta e le consuete abitudini ribaltate per accogliere imposizioni differenti a cui dobbiamo sottostare, ringraziando per le quali le eventualità causate dal destino non sempre così benevolo come vorremmo, sbalzi emotivi che dagli astri più luminosi e distanti hanno la capacità di farci precipitare in stalle anonime e dimenticate, alti e bassi di un’altalena impazzita che, su e giù, ci accompagna nel futuro con deboli e forti scossoni a seconda della situazione in cui ci siamo venuti a trovare nostro malgrado, un domani da raggiungere solo percorrendo un sentiero tortuoso che segue il paesaggio, adattandosi alla morfologia del luogo e ubbidendo alle sue leggi naturali. Le novità predisposte non sono certo semplici da accettare, se si pensa anche ai sentimenti contrastanti che, conseguenti, ne derivano, zampilli emotivi che scombussolano e trasportano in lande desolate e inesplorate, approdi in cattività nei quali dover sopravvivere per potervi ergere a indiscussi dominatori, selve oscure in grado di imbrigliare nei loro fitti intrecci i sogni che albergano da tempo immemore nel nostro cuore, desideri così improbabili da risultare impossibili nella loro mera attuazione, aspirazioni che, però, potrebbero diventare realtà se solo noi ascoltassimo il loro canto e lo traducessimo in fede radicata nel profondo, portando ad esempio l’amore che, seguendo la spontaneità progressiva del murale, inaspettatamente nasce nei siti più impervi e inospitali, ivi crescendo a discapito delle nostre funeree previsioni, radici energiche che sanno chiamare casa l’inferno paradisiaco dove sono sorte, prigione senza sbarre aperta all’avvenire come scarpette pronte per essere indossate e usate.

Con l’esaurirsi della riflessione, a questo punto il nostro pensiero non può fare a meno di focalizzarsi su tutt’altro, un universo parallelo al cui orizzonte possiamo scorgere soltanto un paesaggio, una distesa immensa di viole che, grazie alle loro sgargianti tonalità, attirano la nostra attenzione come una calamita, colori diversi che avvincono lo stesso profumo e incantano noi poveri spettatori senza darci la libertà di andarcene incolumi. Il maroso di effluvi ci investe in pieno, riportandoci alla mente ricordi di una vita passata e chiusa a doppia mandata nel dimenticatoio, un’esistenza pregressa che spunta dagli anfratti cavernosi del nostro cuore e affiora in superficie, dimostrando quanta energia il rimembrare possa celare fra le sue trame intricate, matassa ingarbugliata di fili che custodiscono gelosamente i legami tra i nostri passato presente e futuro, tempi in cui ritornano in auge antichi rapporti affettivi, connessioni quasi magiche, per le tracce indelebili riscoperte nel loro vetusto sepolcro, e tangibili, per la veridicità vissuta che le caratterizza, in grado di riverberarsi tramite la loro eco con il ticchettare dell’orologio, partendo dalle trascurabili minuzie e arrivando alle enormi rilevanze, sentimenti sinceri che vanno e vengono come onde frangenti sugli scogli, acque agitate che sballottano e tormentano il nostro essere naufraghi della vita, permettendo la fioritura a nuova esistenza, nella sua vividezza più assoluta, di quell’amore dolce mai dimenticato e protetto dai giorni in continuo divenire, emozione destabilizzante che rievoca alla nostra memoria due aspetti esistenziali su cui non si deve mai soprassedere: in primis l’obbligo a non fermarsi al passato ma continuare per la nostra strada, sebbene la felicità di un tempo possa richiamarci come una sirena convincente, reclamandoci per l’eternità; e, in secundis, la necessità di istruire le giovani menti con gli esempi tratti dalla propria esperienza, elargendo il sapere ottenuto grazie ad altri prima di noi, erudizione vertente su qualsiasi materia del creato in cui noi possiamo definirci esperti e massimi cultori, un modo questo per indirizzare l’eredità umana verso la giusta direzione, ennesimo incipit di una storia che potrebbe essere la nostra.

E mentre la flora intorno sembra accogliere il primaverile risveglio, nello stagno le ninfee attendono il loro momento, raro e prezioso istante che accidentalmente capita quando meno lo si aspetta, ennesima nascita che porta all’apertura totale verso il mondo, una realtà che deve sapersi riconoscere pronta per accogliere i tesori nascosti tra i petali di quei fiori, galleggianti boe che racchiudono nelle loro segrete vegetali una bellezza di tutti destinata a pochi, uno splendore inconscio prima invisibile poi manifesto che dimostra l’importanza dell’interiorità a discapito della mera apparenza esterna, un involucro privo di qualsiasi attrattiva che, quindi, non è capace di risaltarne le meraviglie, una corazza costruita con l’unico scopo di essere grattata come scorza per avere la possibilità di trovare il nucleo effettivo e bearsene, ciechi una volta, ciechi non più. La breccia ormai creatasi può essere vista come una metafora, l’allegoria della prova per la quale l’attesa è valida se si vogliono constatare e toccare con mano i risultati della propria semina, sicure ricompense che meritiamo come conclusione del cammino da noi intrapreso, la famosa strada che è sorta grazie alle decisioni deliberate in base alle alternative verso cui dovevamo optare, molteplici scelte in grado di farci conoscere a fondo l’umana natura, due grandi fazioni che si schierano con le armi sguainate, generosità e malvagità che si scontrano ancora e ancora sul campo di battaglia, testimone sanguinolento di azioni opposte, da una parte entrate di soppiatto nei cuori delle persone propense e ben disposte all’affetto smisurato a loro riservato, dall’altra propensioni alla cattiveria che vanno oltre ogni limite, zenit e nadir di un unico giorno che si compensano e rivaleggiano senza pietà né sconti, non vincitori, non perdenti, in perenne equilibrio precario.

Quali comparse, i raggi del sole salgono sul palco, fasci caldi di luce che filtrano tra le nuvole baciando indefessi il grano e i papaveri, giallo dorato contro rosso sgargiante, colori primari che, al pari di bollenti spiriti in contrasto, si trovano diffidenti, sulle spine nell’iniziarsi a una conoscenza approfondita, e si completano accomodanti, disponibili nel trarre beneficio l’un l’altro, un do ut des che porta guadagni considerevoli ad entrambe le parti coinvolte: in questo modo, le giovani menti vengono saziate, imparando dalle piccole esperienze di vita a crescere e maturare, frutti succosi pronti per essere finalmente colti, diventando ciò che anelavano essere benché la consapevolezza del tutto non fosse così nitida e definita, un preciso tratteggio che si è andato a rivelare pian piano attraverso un grandioso sviluppo interiore per il quale l’impegno e la devozione hanno giocato un ruolo fondamentale, mezzi tramite cui poter approdare verso mete lontane e inesplorate, percepite come inaccessibili a causa comunque della giovane età che di frequente interpreta la parte di un blocco non indifferente ma che, invece, molto spesso si manifesta come profonda serietà, un aut aut tra frivolezza e solennità, scontro tra titani che simboleggia una stabilità necessaria affinché la bilancia non penda verso uno dei due piatti, testa e croce della stessa medaglia che al nostro collo è fissata. Più ci avviciniamo al sapere e alla comprensione, più si rinfocola un amore infinito, passione per la conoscenza che dichiara essere il motore della nostra vita, un’esistenza fatta di limiti e difetti, zavorre ardue da riconoscere e della cui presenza cominciamo a sentire il peso man mano che i giorni nascono e muoiono, pesanti fardelli che possiamo però abbandonare a loro stessi qualora decidessimo di cambiare rotta e dirigerci verso inediti traguardi dove, anelanti, aspettano le virtù da sempre bramate, ai tempi fuori portata, ora vicine, da trattenere per sempre.

Intanto, nel roseto, in mezzo alle sorelle già fiorite e aperte alla vita, un piccolo bocciolo di rosa rimane rintanato nella sua minuscola forma primordiale, straordinaria differenza che, al pari di una tempesta furiosa, disturba l’apparente quiete lineare delle sue compagne, foggia quasi armoniosa che, frastagliata dal difetto, ne trae virtù: difatti, sebbene il caos sia un’ovvia conseguenza dell’imminente bufera, con l’assestarsi dei disordini seguirà di certo una pace suprema, calma esistenziale che pare identificarsi con la seconda possibilità sperata, un miraggio lontano per la quale, quando ci onora della sua presenza, poiché rara e fortuita, dobbiamo rischiare il tutto per tutto, mettendoci in gioco senza riserve, calando gli assi dalle maniche al momento giusto, l’unico istante da aspettare prima e cogliere poi, non pensando alle conseguenze perché, dopotutto, ora non abbiamo davvero nulla da perdere.
Poco è ciò che serve affinché le matasse siano sbrogliate, erbe che, nonostante la loro intrinseca semplicità, vengono tradotte in fasci ingombranti, normale sbaglio compiuto e dettato dall’erronea angolazione attraverso cui si guarda l’universo circostante, un grande tesoro inquinato da rancori assopiti, ruggine radicata che deve essere tolta: volere è potere, una somma energia che scaturisce anche da un modesto sorriso, curva felice che crea legami dal nulla, segmento non retto che testimonia infinita umanità e imperitura tenerezza, sincera emozione che sussiste malgrado non siano presenti basi conoscitive di fondo, e impegnarsi a spada tratta per i desideri tumulati nel cuore porterà alla risoluzione, collocando i tanti tasselli nel luogo che più si addice loro e ricostruendo, così, il mosaico della nostra esistenza dove ogni suo spazio ora non è più lasciato vuoto.

Infine, sulla cima di questa torta floreale a più strati, già di per sé una magnificenza per gli occhi e per l’anima, una ciliegina risalta impettita sull’apice della dolce montagna, tocco finale che esalta la gloria armonica della sinfonia di gusti proibiti, alloro e capelvenere, verdi doni di Madre Natura che non sempre racchiudono la speranza di cui dovrebbero essere portatori. Talune volte, per l’appunto, ci si trova a dover sedare l’entusiasmo dirompente, perfetto per accendere la miccia dell’ottimismo nei confronti delle mille possibilità che l’avvenire può proporre alla nostra persona, poiché molto spesso sorvoliamo sulle questioni che effettivamente angustiano la nostra vita, un’esistenza in grado di sussistere solo nel suo habitat caratteristico, paesaggi incontaminati per i quali è inevitabile nutrire un trasporto puro ed essenziale, passione che si rivela non solo verso le palesi delizie designate alla maggioranza, ma anche nei confronti dei tesori occultati e destinati esclusivamente a sguardi degni e meritevoli, amore imperituro che ci induce a diffondere la magia della suddetta bellezza naturale, elargendone la conoscenza ai confini del nostro universo e convincendo pure gli altri di quel sentimento deflagrante, una realtà fatta di piedi saldamente ancorati al suolo che si adeguano alla sorte assegnata loro, non costituita quindi da utopie così vaste da non poter essere nemmeno figurate nella propria testa, ma caratterizzata, invece, da solidi castelli in terra, ime radici che trovano presa stabile nel nostro senso del dovere, elementari mansioni che non dissimulano il nostro darsi da fare nei riguardi del prossimo, bisognosi individui che hanno la necessità di trovare, nei recessi della loro anima, l’energia utile per combattere qualsiasi ostacolo, una forza che sembriamo in qualche modo trasmettere loro per abbattere muri robusti e riprendere a camminare, sconfiggendo definitivamente le sventure a essi capitate, piaghe quasi cresciute con e per loro, mano nella mano da qui all’eternità, un futuro nebuloso ancora da scrivere dove l’evoluzione vestirà un ruolo fondamentale per i nostri progetti fin troppo noti, non un’incalzante minaccia o una trasgressione illecita, ma la miglior alleata di sempre, compagna di avventure a cui adattarsi per essere emulati.

Ne Una ghirlanda per ragazze, il lettore troverà di fronte ai suoi occhi avidi una narrazione terribilmente coinvolgente: la sfera emotiva gira impazzita su sé stessa, sballottando con i suoi movimenti frenetici coloro che si avventurano tra le pagine di questi sette racconti, scosse violente che permeano ogni parola di Louisa May Alcott e la esaltano fino a raggiungere picchi elevatissimi di improvvisi batticuori, encefalogramma in fibrillazione che fatica a star dietro ai continui sbalzi d’umore, provocando terremoti che inducono all’apnea e obbligano a trattenere l’aria fino a quando non si è assolutamente certi di poterla espellere davvero, trappole ben disposte che catturano il loro pubblico anche attraverso dialoghi a loro direttamente orientati, un tête-à-tête nel quale il narratore parla al lettore come se fosse un caro amico di vecchia data, una persona fidata che entra ancora di più nella storia grazie all’ausilio visivo dato da effigi accompagnanti l’inchiostro su carta, rappresentazioni fugaci di istanti bloccati che, se non dipinti, si sarebbero persi nello scandire perpetuo del tempo inclemente.
Nonostante sia un testo classico, quindi notoriamente pervaso da una terminologia aulica e antica, aspetto stilistico che, proprio per definizione, potrebbe rendere ostico l’affrontare qualsiasi libro, Una ghirlanda per ragazze risulta essere, invece, una raccolta molto sobria e scorrevole, fluida semplicità che viene divorata dal lettore con impazienza e brama, soprattutto se si trova di fronte dei personaggi a tutto tondo che crescono insieme al racconto a loro destinato, individui che sbocciano con esso evolvendosi e non fermandosi, perciò, al loro esordio acerbo, una maturazione opposta all’essere statica che risalta la loro umanità tangibile, tante piccole persone comuni che inciampano nei propri errori ma sanno rialzarsi e ripartire più forti di prima.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Una ghirlanda per ragazze
Autrice: Louisa May Alcott
Casa editrice: flower-ed
Pagine: 300
Anno di pubblicazione: 2017
Traduttore: Riccardo Mainetti
Genere: Classici
Costo versione cartacea: 16.00 euro
Costo versione ebook: 7.99 euro
Link d’acquisto: Amazon