Era una sera qualsiasi quando iniziai Emma e decisi di fare le ore piccole pur di terminarne subito la lettura, uno dei classici attimi in cui avevo proprio bisogno di staccare la spina, dopo una giornata interamente passata sui libri universitari: la necessità di non pensare all’ansia che mi attanagliava e di ritrovare il sorriso, visti i pessimi risultati ottenuti durante quella sessione di studio intensivo, mi avevano spinta a prendere il primo libro a portata di mano e farlo mio, senza se e senza ma.
Nel momento in cui ho avvisato l’autrice, Laura Manea, che l’avevo già concluso, quasi non ci credeva, dato che me l’aveva appena inviato, esattamente poco prima che decidessi di leggerlo: mai sottovalutarmi quando mi prendono certe smanie letterarie. Mai.
Emma è una ragazza di ventun anni che lavora come receptionist, un impiego non soddisfacente, nonostante le premesse date dal titolare prima di iniziare quest’avventura “da grande”, che, però, le permette di pagare l’affitto e di non vivere negli stenti, consentendole di perpetrare la sua indipendenza iniziata con l’andare a vivere da sola alla stessa età della sorella Anna che, sei anni prima, aveva sentito al pari di lei il richiamo insistente della libertà.
La sua vita, decisamente ordinaria e poco movimentata, è fatta di questo lavoro, che la tiene impegnata dal lunedì al venerdì fino alle 18, della regolare chiamata di sua madre Lucrezia l’ultimo giorno lavorativo settimanale alle 18.30 spaccate, meglio di un orologio svizzero, dell’amore verso i libri per i quali baratterebbe un qualsiasi sabato sera pur di abbracciarne uno e immergervisi nelle sue molteplici parole trascinanti, dell’affetto ricambiato verso la sua migliore amica Sofia, un tornado di vitalità capace di convincerla a uscire con la compagnia di amici di sempre ogni qualvolta glielo chiede, evitandole così la condizione deprimente ma ben accetta di vecchia zitella ciabattara, entrando quindi di diritto nella cerchia degli anziani suoi vicini di casa, della sua esistenza di single incallita sorta da quando lei e il suo ex Riccardo si sono lasciati, rimanendo però legati da un bel rapporto di amicizia ben saldo e leale, e infine della sua evidentissima cotta astronomica, che Emma cerca sempre di sedare come meglio può, per Logan, un ragazzo bello da togliere il fiato, simpatico, dolce, premuroso, in pratica perfetto, e decisamente troppo fidanzato per i gusti della nostra protagonista. Dopotutto, i migliori sono sempre già occupati, no? E Maria pare essere davvero la sola e unica donna che quel ragazzo così stupendo per metà irlandese poteva meritarsi dalla vita. Tuttavia, se si dice sempre che “L’apparenza inganna”, significherà pur qualcosa: scopritelo voi se questo proverbio si sposa bene con la storia narrata nel libro di Laura Manea.
Non è sempre oro tutto ciò che luccica.
Quante volte, infatti, assumendo il ruolo dell’osservatore esterno, ci è capitato di assistere, involontariamente o meno, alle vicende che si svolgevano intorno a noi, vedendole all’inizio in una prospettiva che sembrava rispondere per la maggiore alla necessità del momento, evitando di chiederci, senza una ragione ben precisa, se l’angolazione da noi usata fosse effettivamente la più corretta in quell’esatto frangente istantaneo, secondo effimero iniziato con uno schiocco di dita e terminato neanche la durata di un battito di ciglia, ma alla fine comprendendo di esserci totalmente sbagliati, errore identificato come tale solo dopo aver permesso al nostro subconscio di correre a briglie sciolte ed avere il tempo sufficiente di creare una realtà distorta dove la verità di certo non detiene il posto a lei destinato? Eppure, molto spesso la facciata non rispecchia l’interno del suo corrispondente edificio: se con un’occhiata sbrigativa e sommaria alla sua esteriorità si possono percepire determinate caratteristiche fondamentali per farcelo riconoscere come esempio lampante di eccellenza, apice massimo ottenuto dalla messa in atto di un progetto immobiliare sontuoso e inimitabile nella sua unicità, aprendo la sua porta e varcandone la soglia, al nostro sguardo, ora più attento e focalizzato nel captare qualsiasi nuova informazione in merito, in maniera sorprendente si rivelano da una parte il vuoto, pochezza di spirito che desolante e maestosa occupa tutto lo spazio a disposizione, anche quello che non è di sua esclusiva proprietà, inondandone ogni anfratto con la sua non presenza, rendendo l’ambiente arido e sterile, terra infeconda dove la vita ormai è un rarissimo ricordo, dolce rimembranza la cui eco adesso è puro miraggio lontano, punto indefinito che si staglia informe all’orizzonte, dall’altro lato le ombre generate dalla suddetta vacuità, nere parvenze che sottintendono un mondo di autenticità, labirintico universo dove perdersi è tanto facile quanto ritrovarsi risulta essere la più ardua delle imprese, fitta rete di dogmi che non ammettono repliche o interpretazioni differenti dall’unica ammissibile, diktat che svelano e manifestano in tutta la loro evidente veridicità lo scrigno di Pandora celato agli occhi di tutti, persino ai nostri che si erano soffermati solo sull’apparenza, senza alcun approfondimento lecito e quasi obbligato.
Ogni palazzo, seppur di cristallo, quindi, può nascondere delle crepe più o meno evidenti, cicatrici che minano la sua tangibile lucentezza spegnendola a poco a poco, lacerazioni definitive che possono anche causarne il crollo, un castello di carte che nulla può contro un alito di vento, una struttura architettonica che inevitabilmente cede all’evidenza e si lascia andare, distrutta dalla stanchezza di perpetrare imperterrita una battaglia contro i mulini a vento, un Don Chisciotte che decide, dopo lungo rimuginare, di fare dietro front e prendersi a carico nuove sfide, avventure più invoglianti e meritevoli della sua completa attenzione. La sua rovina al suolo rende consapevoli che non esiste una mera perfezione, anche se noi cerchiamo in tutti i modi di ricercarla ed afferrarla perché illusi che solo in questo modo potremmo ottenere la felicità tanto desiderata, puzzle preciso e completo il quale identifica ogni più minimo dettaglio necessario al raggiungimento della gioia impeccabile, tanti “troppo” che a lungo andare appesantiscono il quadro generale, aumentandone i fronzoli superflui e, perciò, eccedendo nella manifestazione di questa irreprensibilità ingannatrice.
A questo punto, ci si rende conto che è l’essere imperfetti a racchiudere in sé la vera ineccepibilità: infatti, ognuno di noi possiede delle peculiarità che lo identificano come speciale e ineguagliabile, frammenti di luce che abbagliano chi entra in contatto diretto o meno con loro, sia in maniera positiva sia nella sua gemella negativa, a seconda degli individui con cui si ha a che fare, perle preziose da custodire gelosamente, al pari di stelle polari grazie alle quali orientarsi e ritrovare la via di casa, tesori differenti che, da persona a persona, accumulano un livello particolare di importanza in base al tipico soggettivismo di coloro che di fronte a noi indugiano a lungo in quel limbo, senza confini spaziali o limiti temporali, dove essi rimangono sospesi in contemplazione, vestendo i panni di acuti indagatori di ogni astro celeste osservabile e studiabile al microscopio, attenzione posata e calibrata che merita lo stesso immenso zelo anche da parte nostra, ricambiandola con ardore, aumentandola un passo alla volta sempre di più, innalzandola a vette altissime di amore incondizionato.
E così si impara a non nascondere i propri difetti, quei nei che manchevoli cerchiamo costantemente di non far affiorare in superficie e di mantenere celati non solo a noi stessi ma anche agli altri, testimonianze di una carenza latente che, con un’elevata probabilità, potrebbe causare valutazioni negative nei nostri confronti, indizi permanenti da ringraziare e da maledire in contemporanea: difatti, la testa di questa medaglia ci consente di sentirci protetti dalla realtà, un rifugio ermetico dove salvaguardarsi dalle fatalità della vita, una chiusura a riccio nella quale risultare immuni dalla paura del fidarsi del prossimo, un’azione da cui non si può più tornare indietro, perché implicherebbe un’apertura incondizionata alla portata di tutti, spalancando definitivamente l’ingresso alla nostra sfera emotiva e mentale, fulcro e perno portante di noi, Sole del nostro sistema privato dove, al pari di una cassaforte, manteniamo intatti e al sicuro i dettagli più importanti e significativi del nostro essere, e dal timore di rivelare troppo del nostro io, come se fosse necessario e vitale mantenere una sorta di distacco, anche nei confronti di chi palesemente ci ama e ci vuole bene, quelle persone che con una sola occhiata riescono a leggerci dentro alla stregua di un libro da sfogliare ancora e ancora, in quanto vorremmo evitare di pesare su di loro con le zavorre che, legate alle caviglie, ogni giorno rallentano il nostro incedere, introducendo problematiche di tutte le sfumature, giusto per movimentare una vita già di per sé dinamica e folle nella sua rapidità di evoluzione; la sua croce, invece, induce l’essere di ognuno di noi ad occultarsi, quasi si dovesse vergognare della sua natura e fosse tenuto a paventare, a causa di una sua effettiva rivelazione, ineffabili conseguenze, lontanissime dall’avere anche solo una piccola soluzione, contribuendo così a offuscare l’esclusiva luce naturale che contraddistingue il suo detentore dal resto della popolazione, andando a nascondere perfino le sue purezza ed essenza caratteristiche, peculiarità evidenti del nettare pulsante che scorre nelle sue vene, linfa vitale sostituita, senza mezzi termini, da una sua ombra parziale, nonostante sia certo necessaria per un’esistenza piena e soddisfacente, rimpiazzandola con una parvenza esile tale da eclissare la nostra fiamma e non permetterle di rischiarare con la sua brillantezza intrinseca non solo noi stessi, felicità tradotta con il più semplice dei sorrisi, perenne dimostrazione spensierata sulla linea delle nostre labbra, ma anche gli altri, con i quali siamo riusciti a migliorare la nostra capacità di comunicazione, esternazione di una socialità a cui non siamo mai stati abituati ma che sentiamo di voler davvero approfondire fino ai suoi anfratti più profondi, e il mondo circostante, specchio d’acqua in cui si riflette la giusta vitalità, prima sconosciuta ora ritrovata poi saldamente trattenuta e tutelata a spada tratta.
Il cambiamento, piccolo o grande che sia, sarà radicale: effettivamente, la crescita interiore a cui saremo sottoposti non si presenterà banale e superficiale, ma porterà con sé una drasticità degna di nota con la conseguente nuovissima e inedita versione di noi stessi, atta ad accogliere a braccia aperte tutto ciò che la vita ci offre in maniera incondizionata, alternandosi casualmente tra gioie e dolori, lacrime amare una volta e la seconda stille salate di letizia, su e giù come gli ottovolanti di un parco divertimenti, seguendo il percorso tortuoso a noi destinato e accettandolo sempre con la speranza nel cuore e la positività nella mente, ringraziando il fato per qualsiasi esperienza esso decida di trasformare in ostacoli da superare sul nostro cammino, fatiche di Ercole che temprano la nostra indole e la aiutano a mutare in meglio, facendo quindi tesoro di ogni ferita ricevuta quale regalo, strappi che ci hanno permesso di essere qui ed ora in questa veste e non in un’altra, un abito che non ci sta stretto come potevamo pensare all’inizio ma che calza a pennello, opera di sartoria realizzata su misura dall’erosione del nostro vissuto, un passato che ha creato il nostro presente e contribuirà all’attuazione del nostro futuro.
Sebbene una grande maturità sia scaturita inevitabilmente nel nostro intimo proprio per l’aver affrontato tutte quelle imprese che fino ad ora il caso ci ha posto di fronte agli occhi con la sua consueta ironia distintiva, non smetteremo mai di incappare in errori madornali, inciampando nel nostro stesso agire inconsapevolmente sbagliato, soprattutto se a guidarci nel buio della nostra notte imperitura è la sofferenza lacerante, quell’afflizione che, capace, si insinua tra le crepe del cuore, ferendolo con costanza attraverso affondi sempre più intensi e distruttivi, attecchisce con le sue radici malsane, cominciando e protraendo, per tutto il tempo necessario a conquistare la resa finale e totale del corpo ospitante, la sua opera definitiva di contagio per la quale non esiste alcuna quarantena adatta a fermarne la corsa, e distorce l’intera realtà, compreso quel minuscolo angolo di paradiso che conoscevamo meglio di chiunque altro, il medesimo luogo di pace dove ci sentivamo di appartenere fin da subito, accolti dal calore di un abbraccio, rinfrancati dalle parole dette o semplicemente ascoltate, tranquillizzati dal suono di una voce in grado di far breccia in noi con il suo essere immediata e gentile, un umano comportamento che aveva l’innata capacità di prometterci amore e devozione per tutti gli anni ancora a venire, emozioni forti e rinvigorenti che forse, con il nostro operato sconsiderato, potremmo aver perso per sempre.
Basta un attimo per sentirne subito la mancanza.
Solo un secondo affinché iniziamo a rimpiangerlo.
Un minuto, o forse meno, per cominciare a sentirci in colpa, vivendo già in quel rimorso con il quale molto probabilmente dovremo convivere per l’eternità poiché nessuno con dei trascorsi come i nostri potrebbe mai sperare di avere una seconda possibilità.
E se così non fosse? E se dall’altra parte ci aspettasse a braccia spalancate un’immensa e limpida capacità di perdonare che mai avremmo creduto avverabile? Non siamo e non saremo mai infallibili, nonostante la maggior parte di noi ambisca ad esserlo: sbagliare, quindi, risulta assai comprensibile, specialmente quando di fronte alle fatalità della vita ci siamo ritrovati fragili e deboli, inermi pedine di un gioco più grande di noi, pezzi degli scacchi sballottati a piacimento dall’avversario, non curante delle lesioni a noi inferte e dispregiativo del nostro essere umani emotivamente sensibili alle circostanze della vita, a volte parecchio poco rosee e favorevoli quasi fossero allergiche a quella felicità che l’esistenza, al pari di uno strascico nuziale, dovrebbe portare con sé.
Non importa quanto siamo insicuri qualora le avversità decidessero di fare capolino sulla nostra strada.
E non importa nemmeno se dimostriamo di essere forti dirimpetto agli eventi, evitando di farci investire come un fiume in piena, travolti sia fisicamente che figurativamente parlando.
Ciò che conta davvero è l’amore, quel sentimento vero che va oltre le apparenze e non si sofferma puntiglioso su ogni singolo dettaglio, l’emozione dove l’uno trae beneficio dall’altro, donandosi reciprocamente e completandosi, un amalgama nel quale io e tu diventano noi, anime gemelle destinate a incontrarsi e a viversi nel tempo per loro prescelto, prima dopo o adesso, senza alcuna fretta di nascere e approfondirsi, ma con la dovuta calma e la sacrosanta perseveranza necessarie per raggiungere un tale obiettivo. Perdonare, quindi, è normale in questi casi e ripartire da dove si era rimasti è la scelta più giusta che si potrebbe mai fare.
Emma si presenta come una storia leggera ed essenziale, piuma che si innalza al più piccolo richiamo del vento, carezza spensierata sul viso che però lascia un’impronta indelebile, segno di una profondità non banale che affiora tra le sue righe di esistenza pura e semplice: infatti il lettore, immergendosi nel libro di Laura Manea, troverà una miriade di significati intrinseci e penetranti, tonalità di colore che, ben celate all’ombra di quelle parole raccontanti la storia di una ragazza come tante e una donna come poche, riflettono delle lezioni di vita da scovare, interpretare, comprendere ed assimilare, scene che rimarranno impresse nel suo pubblico tanto da portarlo ad amare il romanzo in un crescendo esponenziale culminante con l’ultima pagina dell’opera stessa. Si deve ammettere che alcuni particolari trovati in Emma possono essere tranquillamente scovati in altri romanzi del medesimo genere letterario, ma essi, nella fattispecie, risultano comunque imprevedibili e stupiscono in maniera molto positiva il lettore, provocandogli in essere emozioni struggenti e travolgenti, mare in burrasca che sconquassa e lascia inebetiti in quanto la vicenda qui narrata è la perfetta trasposizione di ciò che ognuna di noi ha vissuto almeno una volta, attimi di esistenza che possono anche ripresentarsi con i medesimi dubbi e le identiche incertezze derivanti da un’età lontana dal nostro presente. Perché, dopotutto, noi stesse in qualche modo eravamo, siamo e saremo Emma, che lo vogliamo asserire oppure no.
Scheda libro
Titolo: Emma
Autrice: Laura Manea
Casa editrice: Laura Manea
Pagine: 222
Anno di pubblicazione: 2017
Traduttore: –
Genere: Romance
Costo versione cartacea: 14.25 euro
Costo versione ebook: 2.99 euro
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