Ero davvero curiosa di iniziare In una scatola di latta di Elisa Borciani, scoprendo così tutti i segreti intrecciati nelle sue pagine, in particolare quello riguardante il significato dietro cui si cela il suo particolarissimo titolo, rimastomi impresso fin dal primo momento in cui l’autrice mi chiese di segnalare e recensire il suo romanzo.
All’inizio pensavo di leggerlo con calma, “spalmandolo” su più giorni, tanto per prendermela comoda e assaporarlo un capitolo alla volta, acuendo la mia concentrazione già di per sé molto alta. Peccato che, nonostante gli intenti nobili, abbia fallito miseramente, visto che ho impiegato qualche ora per divorarlo e adorarlo: pochissimo tempo è bastato a questo libro per farsi amare, facendo breccia nel mio cuore che, in quel lontano lunedì pomeriggio, aveva proprio bisogno del caldo abbraccio di una storia d’amore spensierata, vera e drammatica insieme.

Aurora ha perso tutto. La sua intera vita si è sgretolata in un solo giorno, attraversato in pieno da un fulmine a ciel sereno che le è costato carissimo, un lampo che ha decretato la fine del suo presente e il crollo inevitabile dei suoi progetti futuri, lasciandole unicamente ricordi amari che feriscono con continuità e senza alcuna sosta, un oggi statico in cui non riesce a trovare una soluzione da attuare per risollevarsi e ripartire, un avvenire che la atterra, abbandonandola senza fiato e impaurita di fronte a un nulla ignoto che intimorisce, soprattutto se lo si deve affrontare per forza in solitaria, nonostante ci si fosse abituati all’avverbio insieme.
In quella fatidica data, la nostra protagonista ha dovuto dire addio al suo lavoro, un posto di responsabile dell’ufficio commerciale estero in un’azienda di ceramiche. Tutta la sua esistenza girava attorno a quell’impiego: brava con i clienti, tanto da ricordare le date dei loro compleanni, e così stacanovista da aver permesso alla ditta di raggiungere traguardi numerici importanti in un solo anno, Aurora dedicava dieci ore di ogni sua giornata a rispondere al telefono, la cui auricolare era sempre ben piantata nel suo orecchio, e, qualora si fosse presentata la necessità, a partire, valigia alla mano, per apporre firme necessarie sui vari ordini richiesti. Peccato che Rebecca, il suo capo, a causa del cattivo andazzo degli affari, a detta sua, decida di applicare dei tagli al personale, focalizzandosi anche sulla nostra protagonista e scaricandola senza battere ciglio.
Tuttavia, la vera ciliegina sulla torta ancora deve venire: essa, infatti, aspetta la ragazza a casa, quel rifugio moderno e minimal che aveva creato con la complicità del suo fidanzato Riccardo. Proprio lì, la batosta più grande si abbatte senza pietà. Con una telefonata, Aurora capisce quanto faccia male sentire nella stessa frase le parole “ospedale” e “incidente”, in particolar modo se il soggetto al quale si riferiscono è la sua dolce metà.
Così, a conti fatti, l’unica azione possibile che le resta da compiere ora è prendere lo stretto necessario e partire, andandosene via e, quindi, lasciandosi alle spalle la sua vecchia vita, casa lavoro e amore, cercando la sua sé stessa che sembra essersi perduta nei meandri dell’universo, forte della sua natura di bastian contrario nei confronti dei buoni propositi della ragazza, riuscendo magari a trovare una buona ragione per ricominciare da zero e reinventarsi in un nuovo mondo nel quale finalmente vivere, ancora una volta.
Ed è proprio con questi intenti che casualmente la nostra protagonista si ritrova nella piana di Luni, dopo aver guidato e guidato, e dalla strada che dal mare porta a Sarzana si accorge di Nicola, un piccolo puntino nascosto di esistenza, dove il tempo pare essersi fermato per prendersi una vacanza breve e ristoratrice insieme.

Un borgo che, appoggiato su quella collina, sembra aver preso la forma della natura in cui è incastonato, guardando gli uomini dall’alto senza muoversi.

Richiamata da una qualche sensazione viscerale sconosciuta, Aurora decide di prendere la palla al balzo e dirigersi verso quel posto paradisiaco, dimenticato da Dio: riuscirà ad archiviare davvero le sue sventure e rinascere, perciò, a vita nuova?

A volte, di fronte alla spietata evidenza che l’esistenza avversa ci manifesta apertamente, affinché la nostra indole sopravviva alla realtà nuda e cruda appena scoperta, scegliamo volontariamente di scappare verso la direzione opposta, lasciandoci alle spalle quella situazione non troppo piacevole che, selvatica, è apparsa sotto forma di imponente ostacolo sul nostro cammino vitale, bloccando così la nostra avanzata verso il futuro, imponendoci una svolta obbligata data dalla paura di affrontare tali complicazioni per timore di non riuscire a risolverle e quindi comprendere, infine, di non essere in grado di emergere dal tunnel in cui siamo entrati in maniera accidentale, inconsapevoli e ignari di quello che ci attendeva una volta dentro, nei suoi meandri più bui e profondi, adesso ormai in trappola.

Alla fin fine, ciò che ci serve ora è vivere alla giornata, cercando di non perdersi nei piccoli passi che si effettuano uno dopo l’altro e scegliendo in maniera voluta di non pensare a ciò che si dovrebbe affrontare in quel momento e negli istanti esattamente successivi, un atteggiamento questo che equivale a una manna dal cielo, una rinvigorente boccata d’aria al termine di minuti e minuti trascorsi in un’apnea dilagante, una tempesta di vitalità in seguito a un periodo quasi infinito di secca apatia e svilente tristezza, secondi eterni che sembravano protrarsi fin troppo, portandoci a picco, attraendoci verso il fondo di un abisso emotivo dal quale riaversi sarebbe stato oltremodo difficile, se non addirittura impossibile: il terrore di affrontare la realtà per ciò che è davvero si impone sulla nostra persona, inducendola a far finta di niente e a credere smodatamente che vada tutto bene, nonostante le nostre membra, testimoni infallibili di gioie rubate e distrutte, stanche delle avversità vissute e logorate nel profondo dal destino a loro dedicato, siano chiaramente debilitate e segnate dagli eventi, brevi e prolungati quanti di tempo che feriscono e straziano, lasciando sul nostro cuore pulsante cicatrici così tanto vistose quanto indimenticabili da ricordarci costantemente il dolore a esse legato e chiedendo in cambio tributi altissimi da pagare, la felicità in nome della più totale malinconia, il tutto barattato col niente che lascia inermi, sconfitti e propensi a un negativismo quasi entusiasta delle sue briglie finalmente sciolte. Facile, perciò, iniziare a impersonare qualcun altro, colui che vorremmo disperatamente essere, ma la cui manifestazione è stata impedita dagli eventi, quell’individuo sicuro e risoluto che salvi le apparenze e sappia nascondere le macerie rimaste della sua anima malandata agli occhi di tutti, perfino quelli di sé stesso, celando così le proprie debolezze e abituandosi a una finzione che fa comodo al personale quieto vivere.

Tuttavia, sebbene questo iter comportamentale paia essere la conclusione migliore alle parentesi dolorosamente ingombranti che capitano tra capo e collo quando meno le si attendono, ospiti non desiderati la cui presenza invadente deve essere per forza tollerata senza poter obiettare a riguardo, non può considerarsi quella giusta per antonomasia. Dopotutto, provare a dimenticare mettendo in stand-by la propria esistenza e sé stessi non porta a niente, se non a un continuo e infinito rimandare l’inevitabile scontro frontale con la realtà, conti della serva da effettuare qualora volessimo davvero superare le problematiche sorte in passato e finalmente dedicarci al nostro presente, a cuor leggero, senza ombre antiche che bramano contaminare la nostra nuova luce ritrovata e risucchiarci, facendo terra bruciata dei ruderi dell’anima già malauguratamente dilaniata dalla sfortuna, silenziosa e letale creatura che striscia quatta e ben celata ad occhi indiscreti per poi attaccare prendendo alla sprovvista le sue prede, ignare vittime di un gioco più grande di loro, oscuro presagio di un epilogo che non può portare a nulla di buono, arrivando, infine, anche alla progettazione graduale del nostro futuro, prima, solo accennato e abbozzato in quanto costantemente impauriti dall’ennesima possibile ricaduta e desiderosi di schivare avvenimenti simili per l’intero nostro avvenire, dopo, molto più deciso e nitido poiché resi consapevoli del fatto che non si può smettere di sognare solo per una scottatura del cuore, grave o meno che sia: bisogna riuscire a trovare il coraggio necessario per reagire, facendo emergere la fiera impavida che ognuno di noi possiede nella propria gabbia interiore, sacra prigione da profanare quando ne abbiamo esigenza, contropiede da attuare al momento giusto per rispondere agli attacchi imprevedibili della vita, riuscendo non solo a schivarli ma anche, e soprattutto, a pararli come il prode guerriero che sognavamo di essere e ora siamo realmente.

Se ci guardiamo intorno adesso, possiamo scorgere una miriade di opportunità, offuscate in principio dalla nostra ferma angoscia nei confronti del domani, incerto giorno dal sapore dolce amaro di inizio e di fine, alfa e omega che rappresentano due facce della stessa medaglia in continua opposizione, occasioni che aspettavano e tutt’ora attendono solo noi per essere colte, frutti maturi di vita fiorente e positivismo in divenire, ricchezze prelibate che si presentano a tutti in un istante preciso, scelto appositamente per ogni individuo, momenti che spesso coincidono e permettono la comunione di due felicità, sottolineando la nostra non solitudine nel mondo e identificando la presenza di un qualcuno affine alla nostra persona nei modi più disparati possibile, nascosti o palesi che siano, un nostro simile che comprende lo stato d’animo in cui siamo, capendone ogni singolo tono di colore, e vive in prima fila la stessa circostanza che abbiamo vissuto e viviamo noi, portandoci a racimolare le ultime forze rimaste e farci valere con il massimo che siamo in grado di dare, non più soli e abbandonati ora, ma finalmente insieme, di nuovo insieme, quel bellissimo avverbio a cui eravamo abituati e che avevamo perso in uno schiocco di dita, ritrovato però dopo molto peregrinare, attimo effimero che ci rimembra quanto l’attesa di tutto ciò valga la pena, lottando per esso fino all’ultimo e mettendoci in gioco totalmente, senza esclusione di colpi.

Solo così, possediamo le risorse per riscoprirci in una versione inedita e autentica, un io rivoluzionato che è stato in grado di affiorare grazie all’amicizia e all’affetto delle persone che ogni giorno ci manifestano, e continuano imperterriti a farlo, il loro amore nei nostri confronti, un sentimento senza filtri che non interessa solo una piccola parte di noi, ma che va ad abbracciare ogni nostro minuscolo dettaglio, passando al setaccio prima quelli più insignificanti per poi arrivare ad ispezionare le peculiarità più evidenti e distintive della nostra persona, dimostrandoci che non abbiamo alcun bisogno di nasconderci dietro le menzogne per vivere senza preoccupazioni e tribolazioni dell’animo, piccole grandi bugie che a lungo andare pesano come un macigno indigesto sulla bocca dello stomaco, zavorre che dovranno essere sganciate prima o poi, nel momento giusto, solo in tal caso, durante quell’attimo rubato al tempo che sancisce l’ora della verità, minuti scanditi unicamente per uno scopo, una confessione dovuta sia a noi sia alle persone rilevanti della nostra esistenza, tutti individui questi citati che ci hanno permesso di diventare più saggi e consapevoli del nostro passato, apprezzandone le esperienze pregresse che, indipendentemente dal loro taglio negativo o positivo, hanno contribuito a farci arrivare qui, in questo istante, come siamo ora, con le lacerazioni che la vita ci ha causato, non più vergognosi di portarle appresso, ma adesso decisamente fieri di mostrarle, anche loro dettagli di noi, tasselli di un mosaico senza i quali non sarebbe lo stesso. Perciò, lasciamoci alle spalle i pesi che ci siamo autoimposti e libriamoci nel cielo, liberi da tutto e tutti, soprattutto da noi stessi, mano nella mano con chi davvero ci merita e contraccambia tutto quello che possiamo e vogliamo donargli.

Con un linguaggio semplice e decisamente fresco, attuale ma senza cadere nell’ovvio, Elisa Borciani dà vita a una trama così accattivante da riuscire a rapire il lettore e la sua attenzione, trasportandoli in quel di Nicola in compagnia di Aurora e degli altri personaggi, inducendolo a leggere il suo romanzo in un soffio, un battito di ciglia non abbastanza longevo da permettergli di accorgersi che ha davvero divorato il testo e che è realmente arrivato ormai al suo termine, limite ultimo dove lo attende, suo malgrado, la parola fine.
In una scatola di latta è una storia nella storia, parallelismo di vite diverse che si intrecciano a doppio filo nonostante la lontananza temporale e spaziale, condividendo l’ordito fitto e permeato da verità non dette, celate agli occhi di tutti, anche allo sguardo dei protagonisti diretti e non, due esistenze messe a confronto in un’unica matassa ingarbugliata dalla quale riesce a trasparire l’importanza del passato, proprio stampino che forgia nel bene e nel male, non solo rendendo ad ogni persona la sua identità, praticamente il suo essere lei e lei soltanto, ma rimarcando anche il valore delle scelte fatte durante l’ieri, decisioni instradanti nel cammino più conforme a ciascuno in quel domani che tanto distante dall’oggi ormai non è più.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: In una scatola di latta
Autrice: Elisa Borciani
Casa editrice: goWare
Pagine: 156
Anno di pubblicazione: 2016
Traduttore:
Genere: Romance
Costo versione cartacea: 10.99 euro
Costo versione ebook: 4.99 euro
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