Col senno di poi, non sono sicura di cosa mi aspettassi da Anouk, un romanzo di Federica Galetto, ma sicuramente non avrei mai pensato di leggere un libro del genere. Sono rimasta sconvolta al termine della lettura, lo confesso: non mi ero certo immaginata una scrittura simile, travolgente e avvincente che mi ha coccolata fin dal primo capitolo senza mai lasciarmi, una trama incalzante, particolare e musicale che è riuscita ad evocare nella mia mente atmosfere tanto reali quanto magiche, e, infine, dei personaggi ben caratterizzati che mi hanno toccato il cuore in maniera indelebile e lì, nel profondo, hanno attecchito, rimanendo ancorati al suolo palpitante e contribuendo al suo battito scandito attimo dopo attimo.
Credo si sia compreso bene dalle mie parole, ma lo dico esplicitamente, giusto per essere sicura che il mio messaggio giunga a destinazione in modo corretto. Ho amato questo libro e tutte le sue peculiarità, elargite con estreme maestria e padronanza della parola, proprie di un narratore esperto, esaltandone ogni intrinseca bellezza e segreto celato, trasportandomi in un mondo che non dimenticherò mai.
È il 1987 e Anouk Lennox è una donna sola. La sua vita scorre lenta tra i momenti trascorsi a contemplare fuori dalla finestra del suo cottage, luogo pregno d’amore che la rimanda lontana coi pensieri, riportandole alla memoria un’epoca ormai passata, remota, esaurita, quando ancora i suoi genitori erano vivi e riempivano le giornate col calore e l’affetto caratteristici di un padre e di una madre, le passeggiate nella brughiera, zona magica dove la realtà e la fantasia si mescolano senza forzature, ricreando un’aura mistica e surreale nella quale, racchiusi in essa, ci si sente al sicuro, un rifugio dall’esistenza che ci avvolge con le sue spire mortali, e, infine, la scrittura, praticamente la sua vocazione, quell’amore per la parola stampata che l’ha sempre accompagnata e continuerà a farlo, fedele e amica, compagna di una vita, compagna per l’eternità.
La brughiera era senza tempo, questa la natura della sua assordante tranquillità, e si stendeva esattamente fra la bellezza pastorale della vallata e il sublime dei picchi, terra di fuggitivi, demoni e misantropi.
Un sospiro a valle, un ansimo sui picchi.
Nella brughiera solo un mero trattenere il fiato.
Tuttavia, fino a tre anni prima, questa donna era in tutt’altra situazione. Aveva un marito che non la degnava neanche della più minima attenzione, forse attratto da lei esclusivamente grazie ai soldi di suo padre, ma, nonostante questo, l’amore aveva bussato alla sua porta, l’entrata di servizio che portava il nome di Cedric. Quest’uomo, sposato con figlia, era tutto per lei e sarebbe continuato a esserlo se alla fine Anouk non avesse preso la decisione di lasciarlo andare, visto che, tutto sommato, per loro due un futuro mai ci sarebbe stato, neppure dopo che lei aveva divorziato da Xavier: l’amante non avrebbe mai abbandonato la sua famiglia, anche se avrebbe voluto corrispondere totalmente il trasporto della donna, la sua piccola colomba.
La nostra protagonista, quindi, sembra essersi gettata tutto alle spalle e, per sancire ancora meglio questo suo traguardo raggiunto, decide di partire per la Scozia sotto richiesta di un editore, Ian MacDowall, che si è dimostrato profondamente interessato a un suo lavoro e deciso, perciò, ad approfondire dal vivo la questione. Che sia l’occasione per staccare la spina dalla sua esistenza fatta del vuoto più totale o magari risulti il momento della sua rinascita, la donna decide di partire, senza troppo pensarci e rimuginarci sopra, sebbene la paura dell’ignoto la attanaglia più del dovuto. Cosa la attende là? Non lo sa, ma è curiosa e abbastanza forte da volerlo scoprire e affrontare.
La realtà non sempre è piacevole: la sua aleatorietà ha l’innata capacità di sballottarci a destra e a manca, inclemente. Se prima succede che si ottenga da essa un favore, una piccola grazia fra innumerevoli sventure di enorme portata, una boccata d’aria fresca dopo un’apnea in burrasche senza precedenti, un’uscita luminosa in fondo a un tunnel nero ricolmo unicamente di un pessimismo altrettanto oscuro, in pratica un faro che rappresenta al meglio la speranza, ultima a morire, penetrante con la sua scia anche attraverso la più densa e infrangibile delle superfici marine, poi tutto sembra rovesciarsi, pare svegliarsi di colpo e riportarci con i piedi per terra, provocando una brusca svolta dal sentiero dolce che stavamo percorrendo e del cui panorama stavamo finalmente godendo, una caduta in picchiata senza paracadute che pronostica una sola e ben prevedibile conseguenza, un rovinoso scontro con la dura terra, la realtà che stavamo imparando ad apprezzare dopo tanto tempo passato a litigarci, disperandoci e lasciandoci sempre più andare, fino a toccare il fondo, già da molto pericolosamente vicino, già da molto malsanamente magnetico.
A questo punto? Cosa ci rimane da fare adesso, a parte continuare imperterriti a raschiare il barile cercando, verso quella direzione, una via di scampo da prendere, senza volgersi indietro?
Fuggire e provare a dimenticare, ecco, queste sono le azioni da compiere ora per trovare un briciolo di tranquillità, quiete necessaria per riprendersi e forse ricominciare da capo, ponendo su tutto, in via definitiva, una pietra sopra, in particolare su quelle mille emozioni scaturite in noi a seguito delle vicende in cui siamo stati (co)protagonisti, situazioni (s)piacevoli che anche in questo momento paiono non avere alcun tipo di soluzione. Ogni occasione che ci viene presentata in tal senso è buona per decidersi a farlo. Qualsiasi scappatoia che casualmente si para di fronte a noi è da accogliere di buon grado, pur di non affrontare nel tale istante i problemi insormontabili che la nostra realtà ci induce a fronteggiare, una serie più che infinita di Everest da scalare e conquistare, uno alla volta, uno per volta, picchi lontanissimi da sembrare impossibili anche solo pensare di poterli davvero raggiungere, vette ignote e forse per questo maggiormente temute, mete che, invece di adularci a persistere pur di arrivarci, ci spingono verso la direzione opposta, voltando loro le spalle, di sicuro per l’oggi, magari anche per domani, augurandoci, alla fine, che sia per sempre.
Purtroppo, le difficoltà non si superano in questo modo. Purtroppo, le difficoltà non si volatilizzano solo perché lo desideriamo nel nostro profondo, solo perché preghiamo di non ritrovarle esattamente nella stessa posizione in cui le avevamo lasciate, sulla nostra strada, terribilmente dissestata, tanto scoscesa quanto impervia. Evadere non è mai la scelta giusta. Non si deve tergiversare di fronte ai grattacapi, auspicando che si risolvano così, come per magia, il tempo di un battito di ciglia, anche esclusivamente accennato, confidando che spariscano, senza lasciare traccia, orme sulla sabbia cancellate in modo subitaneo dall’arrivo dell’ennesima piccola onda che in maniera placida e carezzevole sfiora la rena, come il più tenero degli amanti. Non ci si deve nascondere, rimanendo all’ombra della nostra vita, trasformandoci in estranei nei suoi confronti ed alienandoci dalle vicende per paura di selezionare tra le alternative che abbiamo o per timore di incassare i colpi delle conseguenze di tali decisioni.
L’esistenza va vissuta.
Tutta.
Indipendentemente da ciò che intorno a noi succede, episodi di (stra)ordinaria realtà che si sommano ai loro sé passati e contribuiscono, giorno dopo giorno, a forgiare il nostro io, evolvendolo con la lentezza di cui ha naturalmente bisogno, una modifica con l’altra, trasportandoci verso lo stadio successivo, miglioramento implicito che ci plasma e ci fortifica.
Indipendentemente da quello che il fato pone sul nostro cammino, che siano ostacoli facili da oltrepassare, richiedenti un piccolo balzo, minimo sforzo che pare una bazzecola se rimuginiamo su esso per ulteriori brevi istanti, o che risultino essere intralci più ardui da superare, impresa possibile solo tramite un’arrampicata da esperti conoscitori delle pareti rocciose, molteplici uomini che covano l’ardente desiderio di dominare dall’alto il mondo, sentendosi parte di esso, percependolo in sé stessi di riverbero.
Dopotutto, vivere realmente è necessario per esistere.
Senza esitazioni o limiti.
Senza rimpianti o risparmi.
L’inerzia non deve essere considerata, neanche lontanamente, perché essa, subdola nemica invisibile, ci porta a un appassimento interiore che può rappresentare l’incipit di una climax discendente, morte apparente della nostra indole, morte effettiva del nostro spirito, la nostra fine totale. Il demone dalla lunga falce, infatti, è sempre dietro l’angolo e può colpire quando meno ce l’aspettiamo, nei momenti in cui apparentemente sembriamo in forze, pimpanti riflessi di una vita dinamica e scattante, dimostrazioni effettive di una vivacità esistenziale che risponde a pieno alle caratteristiche cercate da sempre, negli attimi in cui tutto pare andare nel verso giusto, finalmente, durante i quali ogni piccolo frammento di realtà sembra collocarsi nel luogo a esso dedicato, una locazione che può essere occupata solo e unicamente da quel preciso tassello di mosaico.
Non agevoliamo, quindi, il decadimento delle nostre membra. Non aiutiamo come buoni samaritani colei che vuole disintegrarci e cancellarci dalla faccia della terra. Anche se molto probabilmente non ce ne rendiamo conto, stiamo tendendo la mano a quel punto fermo oltre il quale l’esistenza non è più contemplata, oltre il quale la vita perde di significato e un’altra entità di pari e opposta importanza prende il sopravvento su di noi come siamo stati fin dall’inizio, in continuo divenire verso una forma più evoluta emotivamente e mentalmente, sul nostro mondo come lo conoscevamo e ricordavamo, casa da sempre, casa per sempre, rifugio e luogo di comunione con il nostro prossimo, sul nostro futuro come pensavamo sarebbe stato e come mai più sarà, avendo valicato il confine tra vita e morte.
Cerchiamo, perciò, di vivere la nostra esistenza nel modo in cui il destino ci ha dato la possibilità. Solo vivendo, allontaniamo da noi lo spettro della fine assoluta. Solo vivendo, possiamo capire tutti i significati delle situazioni che ci capitano. Solo vivendo, esistiamo: quel che verrà verrà, non possiamo controllarlo, ma sicuramente possiamo affrontarlo con veemenza e fermezza, a testa alta, e superarlo, positivamente o negativamente che sia, con coraggio e forza, i nostri assi nella manica, qualsiasi evento possa succedere come conseguenza, qualsiasi significato esso possa assumere per noi stessi e per la nostra realtà, qualsiasi persona possiamo incontrare sulla nostra strada a seguito della tal situazione, conoscenze che ci dimostrano quanto non siamo soli a questo mondo, quanto possiamo contare sulla nostra persona, certo, ma anche su coloro verso cui proviamo un profondo affetto, stranamente e ovviamente ricambiato.
Modificando, in questa maniera, come fronteggiare il nostro presente, mutano anche le convinzioni e le abitudini che fino a quel momento, dagli esordi, ci avevano caratterizzati: basta davvero poco per guadagnare un nuovo passo per quel futuro roseo tanto sognato, basta davvero poco per ritrovare il sorriso e la voglia di continuare ad andare avanti, arrivando, con le nostre tempistiche, all’istante che il destino ha prefissato precisamente per noi e solo per noi. E così, viaggiamo. Viaggiamo e rinasciamo a vita nuova, un tour panoramico “esterno” che ripropone noi stessi in chiave diversa, facendoci scoprire, nel vero senso della parola, assieme a noi, gli anfratti più nascosti e temuti della nostra anima, ispezionandoli e studiandoli minuziosamente, una conoscenza a 360 gradi, grazie alla quale non potremo più (s)fuggire: dentro e fuori, fuori e dentro, noi come eravamo, noi come siamo ora e saremo un giorno.
Con uno stile aggraziato e delicato, capace di ricreare immagini reali e tangibili, teletrasportando il lettore tra le pagine del suo libro, individuo che si sentirà enormemente vulnerabile e spaesato ogni qual volta terminerà una frase, un paragrafo, un capitolo, Federica Galetto con Anouk dimostra una grandissima maestria nell’uso della parola, testimonianza palese di immensa bravura, non solo nel rendere l’immediatezza di tutte le più piccole situazioni, come del resto la semplicità intrinseca che le identifica, ma anche nello studio specifico delle loro difficoltà e importanza, a volte non banali, come ben possiamo intuire, da trattare quindi con i guanti, attraverso l’attenzione e la profondità che più rispondono ai loro requisiti. Ciò che, però, rimarrà nel cuore di chi si avventura in questa piccola perla letteraria, è sicuramente la protagonista, una donna che potremmo conoscere nella realtà, un’amica, una madre, una sorella, una come tante, una come poche, con le sue problematiche da affrontare, situazioni intricate che ognuno di noi potrebbe incontrare durante la sua vita, in qualsiasi istante, in qualsiasi luogo, sempre, ovunque. Anche Anouk, quindi, fa sentire il lettore parte integrante della sua storia, segnandolo con il suo essere vera e concreta, causando, inoltre, la sua più completa immedesimazione, a tratti non permettendogli di sganciarsi dalla sua figura per il tempo di un respiro breve e concitato, portandolo a continue elucubrazioni sul libro come se fosse lui il vero personaggio principale, come se quella fosse la sua realtà, mescolanze di esistenze diverse eppure simili, amalgama di vite normali eppure fenomenali.
Scheda libro
Titolo: Anouk
Autore: Federica Galetto
Casa editrice: flower-ed
Pagine: 161
Anno di pubblicazione: 2017
Traduttore: –
Genere: Narrativa contemporanea
Costo versione cartacea: –
Costo versione ebook: 4.99 euro
Link d’acquisto: Amazon
10 Giugno 2017 at 7:06
Grazie 🙂
10 Giugno 2017 at 14:57
Grazie a te :* <3