La rubrica Mi è semblato di vedele un liblo! oggi si dedica a un libro di narrativa contemporanea, un romanzo di un autore di Cagliari che concorrerà alla 55a edizione del Premio Campiello. Pronti a conoscere insieme a me qualche significativo dettaglio del suddetto titolo?
Lo scrittore Claudio Demurtas, nel suo Chiaro di Venere, narra la storia di Federico, un giovane studente universitario di giurisprudenza, focalizzandosi sul suo processo di maturazione sentimentale politica e religiosa, sviluppo che rispecchia pienamente le contraddizioni e le problematiche di un’epoca di transizione dal boom economico dei primi anni ’60 a un mondo nuovo che metteva in contestazione, col ’68, idee, valori e comportamenti del passato.
Titolo: Chiaro di Venere
Autore: Claudio Demurtas
Casa editrice: Eventualmente
Data di pubblicazione: 3 gennaio 2017
Pagine: 192
Genere: Narrativa contemporanea
Formato: Cartaceo
Costo: 15.00 euro
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Sinossi: Dall’atroce massacro nella Piana delle Giare in Vietnam nel 1963, alla drammatica fine di Salvador Allende dieci anni più tardi a opera di Pinochet, si dipana il filo della storia di Federico, una matricola universitaria di nome e di fatiche, sullo sfondo del suo amore tormentato per Luisella, confessa tutte le sue défaillances sentimentali, politiche, sociali e religiose, ambientate in una Sardegna onirica, ma non per questo meno vera, che cela sotto nomi di fantasia paesaggi di Cagliari, Carbonia, Ilbono e della mitica Arbatax dalle rocce rosse. E questa matricola, disarmante e disarmata, cui non basta il papiro per affrancarsi dai luoghi comuni miserelli frutto per lo più di pertinace mancanza d’informazioni e di letture all’inizio dell’anabasi la sua visione del mondo e delle cose era quasi tutta contenuta nelle cronache di calcio del “Corriere dello Sport” – capace però di critica e di autocritica, riuscirà spandendo sudore e sofferenza a trovare se stesso, il mondo e gli altri e la vita e l’amore attraverso vicende velate, a volte, da semplice ironia, a volta da umorismo o sberleffo amaro tout court, o camuffato talora da angoscia esistenziale vera e propria e maschera tragica.
Chiudo la segnalazione con un piccolo estratto che spero riesca a stuzzicare qualcuno tra voi, invogliandolo così a leggere Chiaro di Venere. A presto e buona lettura!
La littorina entrò in stazione fermandosi bruscamente. Federico scese fischiettando: non vedeva l’ora di conoscere la risposta del preside. La prospettiva di stare dietro una cattedra gli suscitava grande fiducia nel futuro. Si sarebbe potuto comprare presto la Seicento, naturalmente di seconda mano, ottimo biglietto da visita con le ragazze. Sotto casa, comprò Il Gazzettino poi s’avventò per le scale del palazzo più alto di via dei Mille, una via angusta, buia, tutta di case antiche che si rovesciavano addosso esili balconi in ferro e panni stesi. La sua stanza si trovava proprio al centro di quel quartiere medioevale che guardava dall’alto Civitanuova. Solo il sole di mezzogiorno riusciva a penetrare in quel groviglio scuro di vicoli disegnando nappe gialline e solo grazie a esso cardelli e canarini si rinfrancavano e perfino i gerani rinvigorivano nei davanzali. Andò dritto in camera sua e disfece la valigia appoggiando le cose alla rinfusa sul letto d’ottone, gonfio per il doppio materasso e sul tavolino, come sempre coperto da una spessa tovaglia scura. Fece il numero della zia; nessuno rispose. Contrariato, spalancò la finestra lasciando planare la vista su un mare di tetti, sui terrazzini e le ringhiere, sugli abbaini accovacciati, sui gatti, e giù giù fino alla scia delle navi e al cielo striato sopra i monti lilla. Poi acchiappò il giornale. Un titolo a nove colonne urlava in prima pagina: Iniziato il blocco contro Cuba dopo un drammatico monito a Mosca. Sotto c’era una eloquente immagine del presidente Kennedy che parlava corrucciato alla Nazione.
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