Avevo scelto di leggere questo libro tanto tempo fa, dopo un’estrazione a random tra tutti i romanzi della vecchissima collana a cui esso appartiene. Riposto poi sulla scrivania dove solitamente mi dedico allo studio e al blog, è rimasto lì per mesi e mesi, fino a quando, grazie all’occasione del Domino Letterario di dicembre, ho finalmente intrapreso il viaggio tra le righe di E le stelle stanno a guardare di Archibald J. Cronin, l’opera più importante per cui l’autore è conosciuto. Temevo di non farcela a mantenere il mio impegno preso con le altre blogger partecipanti all’iniziativa, ma mi sono ricreduta: ingranando la marcia, un capitolo dopo l’altro, il romanzo e i suoi personaggi mi hanno risucchiata piacevolmente e non mi hanno più lasciata andare. Mia madre mi aveva assicurata che questa opera di “sole” 550 pagine fosse di una bellezza infinita, ma sinceramente non credevo fino a questo punto.
Prima di passare alla trama e alla mia opinione sul romanzo in questione, vorrei inoltrarvi i blog che hanno partecipato il mese appena trascorso a questa iniziativa davvero bellissima:
~ Il nostro angolo dei sogni;
~ Ragazza in rosso;
~ Scheggia tra le pagine;
~ Questione di Libri;
~ Leggendo Romance;
~ Le recensioni della libraia;
~ Leggere In Silenzio;
~ Voglio essere sommersa dai libri;
~ Words;
~ La Nicchia Letteraria.

Siamo a Sleescale, precisamente nei Terrazzi, sobborgo dove sono dislocate le dimore dei minatori e delle corrispondenti famiglie. Vige un’insolita calma piatta nei dintorni: le case, i vicoli e qualche negozio sono immersi nel più totale silenzio che denota una strana tranquillità, fin troppo immobile, come se tutto in quel piccolo paese fosse deceduto, morto e sepolto da tempo. In effetti, potrebbe essere considerato così, dato che da ormai tre mesi i lavoratori stanno scioperando. Al numero 23, però, c’è attività. Marta non riesce a continuare a dormire accanto al marito, a conti fatti la causa di tutti i suoi mali, praticamente: colpa sua se ora è incinta del quarto figlio, concepito una sera durante la quale Roberto era tornato alticcio a casa e l’aveva voluta ardentemente, come se Sam, Ugo e Davide non fossero già abbastanza; colpa sua se non c’è niente da mangiare in casa e lei deve mendicare il cibo, andando al mattatoio a chiedere a Hob se per caso avessero degli scarti da darle; colpa sua se avevano dovuto vendere quasi tutti i loro averi al Monte per poter racimolare qualche soldo e comprare i beni di prima necessità; colpa sua se questo sciopero persiste e resiste, visto che è stato proprio lui a proporlo e indurre gli altri a seguirlo nei suoi propositi malati e senza senso. Maledetto, Roberto, lui e le sue idee da strapazzo. Mai una volta che facesse la cosa giusta. Sua moglie è sempre più allibita: è la prima volta che le capita, nella storia della sua famiglia di minatori, da una generazione all’altra, di dover ingoiare, a forza, un rospo così grande, un’onta talmente profonda e lercia da non riuscire a dimenticarla e raschiarla dalla sua rispettabile persona. Quale macchia ora segna le loro vite! Certamente, non possono mica continuare così. Questo è davvero troppo, visto che comunque tutti in famiglia lavorano alla Nettuno, il signor Fenwich, il figlio preferito della padrona di casa, cioè Sam, e anche Ugo con Davide, nonostante questi ultimi avessero mire più “alte”, ma più insulse, secondo il modesto parere di Marta: Ugo ama il gioco del calcio e vorrebbe farsi notare, iniziando quindi una carriera lontano dal pozzo; Davide, invece, grazie all’appoggio di Roberto, tra poco intraprenderà gli studi a Tynecastle per guadagnarsi la patente e poter insegnare. Altra vergogna per la signora Fenwich, ma sicuramente meno rispetto allo sciopero. Il marito sciagurato provvederà ovviamente a rimediare, riportando la sua famiglia al tenore di vita al quale si era abituata, cancellando almeno parzialmente la cicatrice dell’ignominia. Sì, ritornerà per forza sui suoi passi… Vero?
Sullo sfondo del mare e delle impalcature della miniera, proprio così ha inizio E le stelle stanno a guardare, dove i personaggi più disparati e diversi prendono vita, incontrandosi e scontrandosi, festeggiando le proprie fortune e ingoiando amaro per le sconfitte, perdendo a tratti la speranza, ma poi riacquisendola, come se niente fosse successo, come se fossero profondamente convinti dell’esistenza di un domani in cui la giostra della vita gira nel verso giusto anche per loro.

Ricchezza e povertà sono due realtà in continuo contrasto, che si rincorrono, si azzuffano, l’una cerca di prevalere sull’altra, inutilmente, rimanendo in una stasi equilibrata, ma queste condizioni risultano essere vicine nonostante le differenze, complementari, sebbene discordanti e lontane nelle loro peculiarità, amiche e nemiche allo stesso tempo, colleghe litigiose da sempre e per sempre, tanto limitrofe nella loro identità da creare una panoramica totale e completa nella sua asprezza, visione d’insieme che permette al lettore di inquadrare la situazione, di comprenderne le dinamiche, di carpire le informazioni necessarie per scegliere da che parte stare, la fazione per la quale simpatizzare, scoprendo che, sebbene la lontananza temporale dall’oggi, nel romanzo di Cronin si respira la stessa aria di una possibile realtà di tutti i giorni, pesante, soffocante avvilente opprimente. Il divario sociale, qui presente in maniera vivida chiara e dettagliata, non preclude, però, il crearsi di legami d’amicizia, un sentimento che, come l’amore, non si intimorisce di fronte alle imposizioni del proprio tempo, non ha paura delle conseguenze di simili affronti agli usi e ai costumi di una volta, non si avvilisce dinnanzi alle sfide, alle battaglie che potrebbe perdere perché in svantaggio ma che si sente in dovere di intraprendere per poter affermare, urlare a gran voce che, sì, nonostante gli ostacoli di una vita, nonostante le svolte brusche obbligate per scansare frane rovinose della realtà intorno a noi, nonostante tutti coloro che hanno tentato, tentano e tenteranno ogni volta di svilirci, di aprirci gli occhi verso l’inevitabile, di fermarci definitivamente per fare dietro front, tornando sui nostri passi per fare ammenda per degli “sbagli” compiuti e dettati dall’indipendenza e libertà che andavamo e andiamo cercando, nonostante tutto ciò, ha provato, con tutte le sue forze, con ogni sua capacità, senza esclusione di colpi, senza limitarsi, scendendo quindi in campo al 100%, a raggiungere il suo obiettivo, scopo inusuale per cui vuole lottare e giocarsi ogni asso nella manica. Lottare e poi perdere per i propri propositi è meglio che gettare la spugna in partenza, vivendo nel rimorso, nel rimpianto che forse si avrebbe ottenuto il premio ambito da sempre, quella meta irraggiungibile ma che, invece, ora sarebbe stata tutto l’opposto.
La vita, però, a volte si prende gioco di noi e non elargisce le ricompense tanto attese e sudate. Non importa quanto si faccia, non ha importanza l’impegno che si dedica affinché si raggiunga uno stadio vitale che sia trampolino di lancio per un avvenire migliore, base di una realtà diversa da quella a cui si era abituati, fondamenta solide che permettano anche a chi non lo credeva possibile di vivere un nuovo capitolo del vecchio e storico libro dell’esistenza. Non conta il mettersi in gioco per una globale ristrutturazione del presente, modifica radicale del passato, provvisorio e valido panorama del futuro: sebbene gli intenti siano palesemente a favore di una miglioria necessaria e desiderata da tempo immemore, ci sarà sempre qualcosa che andrà storto, ringraziando l’ironia senza fine della sorte, o qualcuno, con mire infime e infide, indirizzate solo al proprio tornaconto personale, andando a impersonare un’ipocrisia imponente ed evidente agli occhi di tutti, eppure sembrante invisibile, quasi inesistente, un individuo che vuole accaparrarsi riconoscimenti importanti non validi, celebrazioni esultanti non meritate di battaglie vinte non solo grazie alla fortuna che lo arride, facendo girare la famosa giostra sempre nel verso a lui più confacente, come se fosse l’unico protagonista indiscusso di vittorie rubate ad altri, ma anche ai rapporti basati su legami non veri ma interessati all’usufruire dei buoni affari scaturenti da essi, furbi intrecci per screditare, con colpi bassi e pugnalate alle spalle, i propri avversari, senza fermarsi di fronte alle accuse più spregevoli, quelle che infilano la lama nel profondo della ferita aperta ormai da anni, squarcio che addolora la mente e il cuore in maniera continua, facendo sanguinare l’antica piaga senza posa, obbligando a provare fitte infinite, non solo nell’anima ma anche nell’orgoglio privato dall’umiliazione, dall’incassare i colpi senza poter ribattere con la stessa moneta, valuta di livello troppo limitrofo alla base di un barile raschiato e raschiato ancora, quasi ci fosse una possibilità ulteriore di trovare qualcosa in quel fondo chiaramente perduto.
A questo punto, si depongono le armi quanto basta per mantenere la posizione, riponendo le nostre aspettative in coloro che ci circondano, quelle persone per cui stiamo lottando e per cui continueremo a lottare seppur con armi impari, perché dopotutto ne vale sempre la pena, vivere e combattere per uno scopo e una vita di nuovi fini non è tempo perso. La testardaggine e l’impuntarsi strenuamente porteranno frutto prima o poi: alla fine, si raccoglierà ciò che si è seminato. O forse no? Può capitare, infatti, quel momento in cui coloro per i quali ci ergiamo a paladini riflettono sulle alternative e decidono di voltarci le spalle, perché in qualche modo lesioniamo gli usi e i costumi tradizionali, fondamenta del passato ereditate dal presente e quindi attese nel futuro, poiché in una maniera a noi sconosciuta ma abbastanza rilevante abbiamo perso la loro fiducia e conseguentemente il loro appoggio: il desiderio di cambiamento, di rivalsa nei confronti del solito potere dominante è presente in modo tangibile ed evidente, ma, in quanto si ha paura di fronte alla possibilità e quasi certezza di vedersi arrivare delle novità da affrontare, seppur rappresentanti un progresso in meglio, si tende a cambiare rotta, a navigare in acque tranquille, sicure, conosciute, pur di non fronteggiare l’ignoto e quindi forse insormontabile ombra lontana di un’entità la cui natura è ancora sconosciuta. Perché voler rischiare il nostro quotidiano solido e stabile per qualcosa che difficilmente potrebbe riuscire? Perché affidarsi a qualcuno che ci delude con le sue idee rivoluzionarie ma che comunque non hanno ancora portato a niente se non a ennesime delusioni che comprovano i nostri sbagli? Meglio riporre le aspettative verso quei personaggi, più o meno noti, che con le loro ricchezze, immeritate o no, hanno ottenuto tutto ciò che si erano prefissati di raggiungere, obiettivi impossibili resi abbordabili, a portata di mano, a portata di tutti, attraverso manovre calcolate e precise, la cui natura lecita sconosciuta ai più è nota unicamente alle stelle, le uniche che guardano e vedono tutto, furbe azioni che però hanno permesso di abbracciare il successo sognato da una vita. Inutile voler ottenere di più quando quello che si ha già è a rischio. Tra l’accontentarsi e l’alta probabilità di distruggere tutto ciò che si è guadagnato, la decisione è presto presa, soprattutto se la maggior parte di noi è rimasta tutt’ora ancorata a dettami di un’esistenza ormai obsoleta e oltrepassata, dove il bigottismo persiste e resiste.

E le stelle stanno a guardare è un libro completo e reale, duro nella sua crudezza, drammatico nello svolgersi consecutivo degli eventi che lo costituiscono. Cronin è riuscito a ricreare un mondo vero racchiuso in 550 pagine, esempio di una vita non letteraria, usando unicamente le parole, rivelando una maestria nel descrivere momenti malinconici con l’aggiunta di pungente ironia, quasi a stemperare l’atmosfera, portando il lettore, senz’ombra di dubbio, a ridere, anche se in quell’istante la risata è l’unica manifestazione di sentimenti estranea alla scena. L’autore sembra voler indurre il suo pubblico alla visione del bicchiere mezzo pieno, insegnando a ridere di fronte le brutture del mondo, a non demordere nonostante la sorte si intrometta nel proprio personale cammino regalando dei bastoni che puntualmente cercano di bloccare l’avanzare entrando in contatto con le ruote della vita. Dopotutto, anche se tutto sembra andare nel verso sbagliato, non è detto che anche poi sarà così perché, nonostante a volte il cielo notturno sia limpido, senza la minima ombra di luce, ci sarà un tempo in cui le stelle faranno ritorno e brilleranno. Impariamo a non perdere la speranza in un domani migliore: solo in questo modo si può pensare di vivere bene e a pieno, lasciando le orme a coloro che verranno, impronte che li porteranno laddove noi non siamo arrivati ma dove essi arriveranno. Prima o poi non importa, il tardi è sempre meglio del mai.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: E le stelle stanno a guardare
Autore: Archibald J. Cronin
Casa editrice: Bompiani
Pagine: 550
Anno di pubblicazione: 1935
Traduttore: C. Coardi
Genere: Classici
Costo versione cartacea: 5.60 euro (rilegatura all’americana)
Costo versione ebook: 6.99 euro