La casa editrice Garzanti mi ha sempre indotta all’acquisto dei libri che pubblica. Saranno le copertine stupende e molto evocative, che ti fanno pensare a cosa potrebbero celare, cosa potrebbero significare, a cosa mai potrebbero alludere; saranno i titoli che intrigano, che rincarano la dose già elargita a fiumi dalla copertina a cui si riferiscono, che, ancora una volta, inducono a una sorta di riflessione in merito al contenuto del romanzo, che ci incuriosiscono e ci permettono di sognare quell’attimo appena precedente all’apertura del libro e alla sua conseguente lettura; saranno magari entrambi i suddetti elementi, combinazione perfetta e appropriata nell’attirare l’occhio del lettore, accendere la sua curiosità, la sua ingordigia di divoratore seriale, praticamente l’accostamento che provoca una tentazione così forte da considerare inutile qualsiasi opposizione da parte nostra, portandoci quindi a peccare, inevitabilmente, senza nutrire alcuna speranza di redenzione; o forse sono semplicemente io, facile preda di bocconcini letterari di questo genere, un pesce così ingordo da mangiarsi l’esca senza problemi, anche se sa che essa cela un amo appuntito e decisamente imprigionante, una sorta di costrizione, una catena che mi rende prigioniera per forza di cose. È in questo modo, però, che scopro nuovi talenti, nuove penne che mi scuotono nel profondo e mi sorprendono, lasciandomi beare, dopo la fine del loro romanzo, di un’eco sensazionale, risonanza che, allo stesso tempo, si smorza e imperterrita urla la sua presenza, come per farmi ricordare che è lì, presente nel mio cuore e nella mia anima ormai ammaccati per la lettura. Così è capitato per L’imperfetta di Carmela Scotti, un romanzo che invito tutti a leggere, un inno alla libertà, non del corpo ma dello spirito.

Il padre di Catena è morto e l’intera realtà della ragazza, costruita e sviluppata attorno al pilastro che il genitore rappresentava, è crollata in una volta sola, tutta a un tratto, imponendole una vita completamente diversa da quella a cui era abituata, costringendola a fronteggiare una serie di avversità che via via si aggiungono a quelle che già deve sopportare. Da quando la figura paterna, grandissimo riferimento per la quindicenne, Stella Polare del suo universo, è passato a miglior vita, Catena ha potuto notare, con suo grande rammarico ed evidente delusione, l’accentuazione dell’odio che la sua stessa madre nutre nei suoi confronti: come non provare disgusto per una figlia che si perde nelle parole dei libri, sciocchezze che le sono da ostacolo per le mansioni da portare a termine, come ad esempio lavorare nei campi per provvedere alla propria famiglia, cucire e cucinare, impedimenti che la inducono a disobbedire alla madre, una figlia primogenita ingrata, la pecora nera della famiglia? Catena non rappresenta altro che un neo sciagurato nella visione di Maria, sua madre, che può essere accomunata alla Madonna solo ed esclusivamente per il nome di battesimo, un’inesattezza la cui imperfezione è accentuata dall’aspetto decisamente identico al padre, altro punto a sfavore per la ragazza in quanto l’unico suo genitore rimasto in vita ha sempre provato disprezzo per quell’uomo, uno scansafatiche, un inetto come padre e come marito, che inseguiva i “sentieri d’inchiostro”, invece che provvedere ad arricchire la moglie e le tre figlie, permettendo, quindi, loro una vita sempre più agiata e sfarzosa, ma forse anche vuota e striminzita, povera nonostante la sua ricchezza materiale.
Perciò, nella figura materna la ragazza non può cercare conforto alla sua perdita, una frattura profonda che non si potrà mai rimarginare e che ha piegato la sua anima ormai sola, dato che nemmeno le sorelle, Antonia e Teresa, con cui ha vissuto tantissime esperienze sempre insieme al padre, leggendo, imparando a usare le varie erbe per guarire le malattie di cui la nonna paterna, Agata, era un’esperta, conoscendo le costellazioni e il cielo notturno puntellato di stelle, nemmeno loro ora le sono più vicine: probabilmente per paura di ritorsioni da parte della madre, con una sorta di intensa dedizione all’obbedienza, le due sorelline più piccole hanno deciso di accondiscendere a tutte le richieste di Maria, tra cui anche l’imparare a denigrare Catena, non incontrando più il suo sguardo, evitando lei e le sue manie, quelle imperfezioni che quasi la madre imputa come dono del demonio. Il quadro viene poi completato dallo zio paterno Ignazio che, appena ne ha l’occasione, usa violenza sulla ragazza, non solo fisica, a suon di bastonate e stupri alla luce del sole, sotto gli occhi e gli orecchi della cognata stessa, ma anche psicologica, dicendole che anche suo fratello morto non sarebbe mai stato fiero di lei, rincarando la dose di sua madre, incolpandola, perciò, di qualsiasi cosa, come se fosse la ragazza la causa di tutti i loro mali, il bacillo di un virus nauseabondo, gramigna dalle radici infime che si insidia dove il terreno è fertile e porta alla distruzione di tutte le altre piante, inaridendo così la culla della sua vita.
Ed è proprio qui e solo qui che Catena realizza, capisce cosa deve fare, comprende ciò che una situazione simile richiede, una causa-effetto necessaria per potersi sentire libera davvero, aprendosi finalmente un varco e uscendo da quella prigionia che, più va avanti, più le sta stretta, la soffoca. Le conseguenze di una tale azione? Non è tempo di pensarci ora, lo farà più avanti. Si accorgerà delle difficoltà scaturenti da essa, certo, ma nessun pentimento all’orizzonte. Lei opera nel giusto, lei è al limite della sopportazione, lei deve prendere in mano la situazione e compiere tutto ciò che richiede una simile circostanza. Di cosa mai Catena si renderà colpevole, vi starete chiedendo: basta leggere il libro per scoprirlo.

Ciò che in primis sicuramente colpisce di questo romanzo è la profondità del legame umano che intercorre tra la protagonista e il padre ormai defunto, un rapporto non solo importante, caratteristica che si può facilmente estrapolare e comprendere dalle parole espresse dalla voce narrante de L’imperfetta, ma anche imperituro, immortale, infinito, come se, nonostante la sua morte, la figura paterna aleggiasse tra le righe del romanzo, accompagnando sua figlia nel suo faticoso cammino impregnato, per un’ingente percentuale, di avversità e sfortune, subdole colleghe invisibili di Catena, vergognose nella loro natura, sfortunatamente leali fino all’ultimo passo della ragazza nel suo viaggio personale, fitte liane imprigionanti, sabbie mobili dello spirito libero che, con solerzia, non la abbandonano mai, difficoltà che non smetteranno nemmeno per un attimo di svilupparsi e cercare di avviluppare a sé stesse l’animo così tormentato e scalfito fin nelle fondamenta di una protagonista imperterrita, battagliera e fiera nel suo incedere continuo e senza sosta, che si rialza dopo ogni caduta, procedendo a testa alta e perseguendo la strada che le è stata assegnata, nonostante tutto, nonostante tutti.
Tuttavia lei non è sola. Può ancora contare su qualcuno. Suo padre la tiene d’occhio, a vista, seguendola con lo sguardo e con la sua stessa ombra: prima con le sembianze del vento tra le fronde degli alberi, voce della natura che circonda Catena e la culla, la conforta, in quella corsa contro il tempo che intraprende obbligata, una via a senso unico che, purtroppo, non può percorrere a ritroso, anche se è proprio quello che vuole, anche se tornare al punto di partenza è il suo desiderio più recondito, intimo, prezioso, meta irraggiungibile ormai, lo sa bene, di cui conserverà per sempre un ricordo lontano, nei tempi felici che furono, pensando a chi ama e che mai più rivedrà, sperando per loro quel futuro che avrebbe tanto voluto condividere e vivere; poi sotto forma di cane, il migliore amico dell’uomo, non un animale a caso quindi, ma un fido anziano, vetusto, con un bagaglio di esperienze che grava sulle sue spalle stanche, nonostante il quale, però, affianca senza problemi la ragazza, come a sottolineare la stessa testardaggine di Catena nell’affrontare di petto qualsiasi situazione la vita ponga davanti a sé, una qualità questa che permetterà a entrambi di non lasciarsi sopraffare, non senza aver combattuto fino in fondo, non senza aver raccolto con la propria tenacia i semi che, in precedenza, avevano sparso sul terreno accogliente e pronto, non senza aver guadagnato almeno alcune grandissime vittorie, gli scacchi matti conquistati dal non piegarsi alle sventure capitate loro tra capo e collo, successi che permettono a essi di vedere, in lontananza, la luce in fondo al tunnel, che consentono il delinearsi di una speranza latente e persistente nei confronti di un avvenire diverso, più roseo rispetto al presente disarmante e distruttivo, oblio profondo da cui stanno cercando di venire a galla, la cui potenza, però, sembra invece trattenerli a sé, con forza spietata, con un’ironia così crudele da commuovere il lettore e fargli sentire, direttamente sulla propria pelle sensibile, sensazioni spiacevoli, che scavano dentro, distruggendo qualsiasi entità incontrino per strada verso la discesa all’intimo profondo e personale, mettendo a ferro e fuoco tutto quello che di vitale c’è, estinguendolo e lasciando il posto al niente, se non all’oscurità più totale e assoluta. Grazie alla presenza costante della figura genitoriale maschile, elevata alle volte a idolo, simulacro, icona intorno alla quale volteggia spensierata l’esistenza della ragazza, un personaggio così autorevole da impedirle quasi, in segno di rispetto e devozione puri, di riferire al lettore il suo nome, quasi fosse un peccato anche solo pensarlo, realizzarlo e concepirlo nella propria mente, nascosta dalle orecchie altrui, indiscrete e non meritevoli di ascoltare la melodia di quelle lettere, prelibatezze per pochi eletti, un’informazione che però ci viene svelata al termine del romanzo, solo e soltanto lì, sottolineando come L’imperfetta abbia un inizio e una fine grazie unicamente a lui, vincolando il libro a un giogo incarcerante determinato da quest’uomo, Catena cresce in maniera sia forzata, dovuta al susseguirsi di vicende più grandi di lei o comunque lontane anni luce dall’età che la ragazza ha nell’istante in cui avvengono, sia corretta, grazie agli insegnamenti del padre quando ancora lui era in vita e all’istruzione che lui le impartisce dopo la morte, adottando le suddette due forme concernenti flora e fauna, un’educazione continua, eterna, rimarcando, ancora una volta, sia la sua presenza perseverante, sia l’importanza che gioca nei confronti di sua figlia, plasmando la sua vita, un anello di catena alla volta, legandola a sé in una forte presa confortante e avvilente al tempo stesso, rimembrandole il suo voler bene, certo, ma anche la sua dipartita da questa terra.
Tutto nel romanzo rimanda alla figura di una catena. La struttura narrativa, unendo passato e presente, definendoli in maniera diversa tanto da sembrare periodi di vita di due persone completamente differenti, distanti, agli antipodi, richiama un circolo vizioso, maglie distinte che si uniscono formando un solo serpente metallico che si ritrova unito al termine di tutto, che si morde la coda a livello del punto di non ritorno, dove qualsiasi cosa si conclude e incomincia insieme, determinando la fine e l’inizio, opposti che si respingono, ma che risultano essere essenziali l’una all’altro e viceversa, attraendosi inevitabilmente e inesorabilmente in uno iato tra alpha e omega, titani rivali di una vita, compagni fedeli e amici della stessa. Tuttavia, non ritroviamo solo questa connessione, nesso che dà vita alla metafora celata tra le pagine del romanzo. Ricordiamoci le due figure centrali del libro, Catena, il cui nome non è stato lasciato al caso, e il padre, forze potenti e simili imbrigliate, collegate, congiunte da qualche energia che permette loro di fare affidamento l’uno sull’altra, nonostante la lontananza, nonostante la morte a separarli. Sebbene la costrizione che si viene a creare, tali prigionie non fanno altro che risaltare ed esaltare ulteriormente la libertà emotiva della protagonista, l’autonomia che effettivamente conta in un essere umano, vigore antico e imponente, in grado di portarci lontano senza doverci spostare di un millimetro, in grado di trasmettere tutto ciò di cui abbiamo bisogno per volare via, anche solo in maniera temporale e soprattutto mentale, dal luogo in cui fisicamente siamo internati, in grado di lasciarci sognare e partire verso i lidi della vita che più ci rappresenta, ci aggrada, ci gratifica.

Carmela Scotti è una meteora, un corpuscolo che, infrangendo l’atmosfera intima del lettore, si incendia, illuminando a giorno la sua anima, scontrandosi poi con il suo cuore, ammaccando quel suolo fecondo dove la potenza della sua scrittura e la sua bravura eccezionali riescono ad attecchire, portando a galla emozioni incomparabili e inaudite, sentimenti che solo un autore con anni di esperienza potrebbe suscitare in chi legge. Esiste l’eccezione alla regola, però, questa scrittrice, lei che, con questo romanzo, ha decretato la mia più profonda ammirazione nei suoi confronti, inserendosi, con la sua leggiadria, in punta di piedi, attraverso un linguaggio moderno a tratti e antico alle volte, usufruendo di alcune metafore, giochi di parole, le cui difficoltà e fantasia sembrano richiamare le peripezie che Catena fronteggia con il voltare delle pagine, nel mio personale gruppo di autrici italiane che seguo con piacere, le mie preferite, che la accolgono a braccia aperte.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: L’imperfetta
Autore: Carmela Scotti
Casa editrice: Garzanti Libri
Pagine: 194
Anno di pubblicazione: 2016
Traduttore:
Genere: Narrativa contemporanea
Costo versione cartacea: 14.90 euro
Costo versione ebook: 4.99 euro