Stavo giocando al computer quando mi è venuta la malsana idea, per il 2025, di dare uno scossone importante alla rubrica di scrittura creativa, Storytelling Chronicles, che condivido con un gruppo di belle personcine sempre pronte a buttarsi nella mischia, anche quando le premesse non sembrano proprio ottimali.
Mentre le volanti della polizia mi stavano addosso per farmi fare una bruttissima fine –spoiler: sono riuscita a scamparla-, mi sono chiesta: “Perché non ideare una long a puntate, centrata su un solo personaggio principale, in cui ogni sua parte è un racconto a sé stante, ma, se preso insieme a tutti gli altri, descrive la storia e lo sviluppo psicologico del suo protagonista?”.
Esattamente così è nata la famigerata e diabolica Pillola Rossa -nomenclatura scopiazzata da uno dei capolavori cinematografici che ha forgiato la mia adolescenza: Matrix– che obbliga le partecipanti a una struttura narrativa differente dall’usuale, sottostando inoltre a determinate condizioni più stringenti di quelle proposte nei singoli racconti standalone, e cioè la Pillola Blu. Infatti, oltre allo sviluppo “verticale” dell’avventura che dà corpo all’episodio -esso deve avere un inizio e una fine ben definiti, come peraltro già ci si aspetta in questa tipologia di esposizione- e a dover mantenere più o meno lo stesso numero di parole utilizzate nelle varie one-shot, deve essere presente la crescita “orizzontale” del main character che, un po’ per volta -e cioè capitolo dopo capitolo-, costruisce la propria identità e il proprio destino.
Per questa ragione, nella produzione di gennaio -sì, siamo al 28 febbraio e, ahimè, ne sono assai consapevole- si doveva soddisfare la seguente lista di punti, la cui prima metà è chiaramente atta all’introduzione dell’eroe -o antieroe- della collezione di “piccoli” scritti -capirete più avanti perché l’ho messo tra virgolette-:
1. Deve essere presente “un nuovo inizio”, inteso come il principio di un’avventura, la partenza per un viaggio, il primo tassello della consapevolezza di sé o qualsiasi altra situazione che può rispondere alla richiesta.
2. Deve essere presentata una delle principali caratteristiche del protagonista attraverso un’azione (esempio pratico: è gentile? Che compia quindi un atto di gentilezza).
3. Il capitolo deve essere ambientato spazialmente in una sola location (esempi pratici: l’ufficio postale, la camera da letto, il bagno, un bar, una biblioteca, ecc.).
4. Qualcuno deve lanciare qualcosa (esempi pratici: una palla, un improperio, ecc.).
5. Qualcuno deve mangiare qualcosa (esempi pratici: un panino, la polvere, ecc.).
6. Sulla scena è presente una sedia: usatela senza remore.
Ora, cosa avrà mai deciso di esporre al pubblico ludibrio la testolina bacata della sottoscritta? Partiamo dall’inizio. Visto che sono la mia prima fan -ovviamente è una grandissima menzogna ahahah-, ho pensato di buttarmi su un qualcosa che non fa parte del mio repertorio: quindi, mi sono lanciata su un genere mai toccato prima, adottando uno stile molto diverso dal mio solito -sembra prima persona, ma non è, serve a darti l’allegria (semicit.). Spero l’abbiate letta cantando perché io l’ho scritta esattamente in questo modo- che dà vita a una donna davvero davvero particolare.
Sarò stata convincente? Non ne ho idea, ma sono comunque contenta e stranamente soddisfatta di me medesima non solo perché mi sono messa in gioco a 360 gradi, come ancora non avevo fatto -o forse solo una volta, con un testo tanto dark quanto spicy che all’epoca mi aveva letteralmente svuotata-, ma anche perché, così facendo, sto ringraziando, a modo mio, il videogioco che ha dato davvero l’avvio a tutto, e cioè Cyberpunk 2077.
P.S.: Purtroppo, sebbene sia una così boomer inside da odiarli profondamente, vi avviso che ci sono dei trigger warning da tenere presente -per ora, mi limito a violenza fisica, violenza psicologica e linguaggio scurrile-. Non sono troppo specifici per evitare qualsiasi tipo di anticipazione, ma comunque potrebbero rivelarsi utili per chiunque si voglia approcciare alla lettura.
P.S.2: Durante un piccolo scambio di battute con Catia, ho deciso di inserire un dettaglio che in verità lei mi ha consigliato sull’onda dello scherzo, a mo’ di battuta goliardica fra noi. Ebbene, ti ho presa seriamente in parola, come puoi vedere: grazie per gli infiniti spunti che inconsapevolmente mi dai!
Creazione a cura di Federica, admin del blog On Rainy Days
1. console.log(“…”): è un metodo del linguaggio di programmazione Javascript che consente di visualizzare il messaggio contenuto tra le virgolette direttamente nella console del browser. Per accedervi, basta aprire una pagina web, premere o F12 dalla tastiera o l’opzione “Ispeziona” del menu che esce con un click destro del mouse e, infine, scegliere la tab “Console”.
2. Hello World!: quando si impara a programmare in un qualsiasi linguaggio di programmazione, il primo esempio pratico verte sempre sulla stampa a video della scritta “Ciao mondo!” in inglese. Nell’ambito dello sviluppo, esso risulta uno dei modi più diffusi per assicurarsi che il programma sia operativo e funzioni nel modo corretto.
«Sei sorda o cosa?!»
Apre gli occhi di scatto, ma non riesce a mettere subito a fuoco: la ritrovata luminosità dell’ambiente circostante non gliela sta rendendo troppo facile.
«Sgancia la grana, cazzo!»
Sbatte le palpebre una volta, e capisce di essere seduta, abbastanza composta, su un divanetto.
Sbatte le palpebre una seconda, e capisce di avere la guancia appoggiata, a un tavolo, relativamente pulito.
Sbatte le palpebre una terza, e capisce che le sue braccia seguono mollemente l’attuale postura del suo corpo, le mani con i palmi verso l’alto, quasi fossero in attesa di qualcosa o in preghiera adorante.
«Muoviti o ti sparo, troia!»
Si raddrizza per dare uno sguardo intorno e un leggero capogiro la coglie. Si sgranchisce le membra, partendo dalle dita dei piedi fino ad arrivare alla coppia mascella-mandibola, un po’ per risvegliare i muscoli forse atrofizzati un po’ per accertarsi di non avere niente di rotto. Si strofina gli occhi.
«Solo questo?! Dov’è il resto, eh?! Ci stai fregando, puttana!»
«Non c’è nient’altro, non vi sto mentendo, ve lo giuro!»
Non può fare a meno di soffermarsi sul litigio in corso e inclinare il capo, curiosa.
Da una parte una donna, le mani in alto, sta tremando dietro il bancone. Sopra dei jeans semplici e una maglietta qualsiasi a maniche corte, indossa un grembiule. La sola nota di colore del suo abbigliamento è data da una bandana celeste che le incornicia il viso, utilizzata sicuramente per mantenere la chioma nera al suo posto durante il lavoro. Non pare esserci nessun altro nella tavola calda, o almeno non percepisce alcun rumore proveniente dai restanti locali. Forse ne è la proprietaria oltre che unico membro dello staff.
Dall’altra, al di là degli sgabelli di fronte al piano di servizio, ci sono due uomini armati, uno impugna una Colt M1911 e il secondo un coltello a serramanico. Vestiti di stracci non ben identificati, sembrano avanzi di galera che hanno dimenticato cosa sia una doccia, ultime ruote di un carro già di per sé talmente claudicante da aver bisogno di una rottamazione preventiva. Alza un sopracciglio.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
«Se le mozzassimo le mani, riuscirebbe comunque a disegnare ‘sti animali del cazzo?»
«No, vi prego, lasciate stare la mia bambina, non vi ha fatto niente!»
Osserva il Chiacchierone. Potrebbe essere il capo del duo, è sempre lui a prendere la parola dopotutto. Stringe la pistola con la mano destra fuori asse verso il corrispettivo lato: non ha proprio idea di quello che sta facendo. La sua espressione si fa scettica, è un po’ confusa.
«È l’ora, Dirk, è l’ora?! Posso sgozzarla adesso, amico?!»
«Come cazzo fa a essere il momento giusto se la stronza qui ancora non ci ha dato i quattrini, idiota?!»
Scruta il Coglione. Non sta un attimo fermo, o è iperattivo, e, quindi, incapace di stazionare due secondi netti nella medesima posizione senza cambiarla continuamente, o è strafatto di cocaina. Fa ondeggiare la lama sguainata come se stesse dipingendo a casaccio, non si sa bene se vuole solo squarciare l’aria oppure cavare gli occhi al suo compare. Mentre la mano sinistra si prodiga nel balletto di cui sopra, con la destra il Da Vinci dei poveri mantiene salda innanzi a sé una bambina, lo sguardo spalancato dal timore e le dita strette al braccio con il quale è bloccata sul posto dal collo. Sarà la figlia della “stronza”.
«Vi prego, lasciatela an…»
«Tira. Fuori. I. Fottuti. Soldi.»
Ogni parola viene scandita dal movimento della mano armata, un energico dondolio avanti e indietro che infierisce verso il petto della donna per ciascuna oscillazione. Quest’ultima, però, non sembra curarsene. È troppo impegnata a occhieggiare la sua prole, forse sta cercando una via di fuga per salvare il salvabile ed evitare conseguenze scomode.
Arriccia le labbra con fare pensoso e distoglie lo sguardo. Quali sono le alternative a sua disposizione? Se lo domanda, benché la problematica non sia di sua competenza, e l’unica risposta che trova, è il coltello sul tavolo dove poggia ora gli arti superiori. Un piccolo sorriso le accende lo sguardo quando un’idea comincia a formarsi nella sua testa, ma esso ha davvero vita breve. Una smorfia accompagna la realizzazione: come mai ci sta riflettendo? Scuote il capo.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
«E se prima ci divertissimo un po’ con loro?! Che dici, Dirk, che dici?!»
Il Chiacchierone rivolge la sua attenzione a chi ora gliela richiede. Un po’ intrigato e un po’ disgustato dalle implicazioni sottintese a quanto udito, un leggero ghigno di malignità si forma sul suo viso butterato. Fa un cenno al collega di malefatte affinché proceda con una spiegazione più esaustiva: tutti la conoscono già, forse il solo a non essere capace di arrivarci, può essere il Coglione, ma lei crede che lo scopo del circo sia indurre la “stronza” alla resa totale.
«Tu ti occupi della madre e io della puttanella in miniatura, no?! Ci stai, amico, ci stai?!»
«Ho sempre pensato tu fossi un folle bastardo, ma rimani sempre il mio folle bastardo preferito!»
«No no no, vi prego, no!»
L’atmosfera si fa elettrica, il coltello che perpetua nell’ondeggiare, potrebbe tagliarla con facilità. Mentre gli stupratori in procinto di essere sghignazzano per quanto hanno deciso di mettere in atto, le lì per lì vittime si scambiano una breve occhiata profonda, muti singulti che, gemelli, dialogano fra loro e labbra tremule che, in coppia, cercano di darsi forza a vicenda.
Inclina leggermente la testa affilando lo sguardo sulla scena.
Non se ne sente affatto toccata. Comprende che la situazione non è delle migliori, comprende che i predatori stanno per commettere un’atrocità per puro divertimento e comprende che le prede, alla fine, dovranno scendere a patti con devastanti ripercussioni; eppure, difatti, non le importa alcunché.
Non è emotiva, non è empatica, non è esemplare. Fa quello che vuole, quando vuole, come vuole e, in tutto ciò, non è necessario che abbia un motivo valido da addurre. Non si sente in colpa, non prova rimorsi, reagisce e agisce in barba a regole e conseguenze. Non si fa carico del prima o del dopo, ma solo del suo durante.
Per questo è disorientata. Non si è neanche accorta di aver impugnato il coltello che, pensosa, già se lo rigira tra le mani, guardandolo con intento. Perché vuole intervenire? Anche prima ci stava riflettendo. Per caso, la donna o la bambina le rammentano qualcuno che conosce o ha conosciuto? O forse ha vissuto una situazione simile, magari in prima persona?
Si morde il labbro inferiore, punzecchiando parte del suo piercing, come se l’azione in sé e per sé possa aiutarla a far luce in quell’oscurità, ma non ci riesce. Sembra aver liberato la memoria, in qualche modo. Ora che si interroga apertamente, non ricorda manco come sia arrivata in quel posto. Tutt’a un tratto ci si è trovata e basta.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
«NO!»
Stupita dal fugace straniamento, riporta la sua attenzione sul mondo circostante. Vorrebbe arrivare al bandolo della matassa contorta di cui ha appena riscontrato la presenza, ma non è il momento più giusto per farlo. Di fronte, vede il Coglione che ha cambiato posizione e tiene la mocciosa per i capelli, pensa l’abbia arpionata quando era distratta, per trascinarla con forza verso uno dei locali sul retro e agire indisturbato. È sgomenta: perché non l’ha sentita gridare? Di solito è la naturale risposta a una simile domanda, giusto?
«Potete avere me, ma vi supplico, lasciate stare la mia bambina!»
«Stai ferma o ti sparo, cazzo!»
La “stronza” ha mantenuto la stessa postura con la quale l’aveva lasciata, anche se risulta leggermente spostata verso l’apertura del bancone. È innegabile il suo intento, vuole fermare il cocainomane prima che si apparti con la figlia, ma, sebbene l’intenzione sia buona, la realizzazione lo è un po’ meno: considerando la pistola puntata in direzione del suo petto, benché chi la regge, non sia l’esperto tiratore che crede di essere, la donna non ha davvero alcuna speranza. Perché la gente tende a salire sul piedistallo dell’eroe quando non ci sono le basi per poterlo impersonare senza farsi ammazzare?
«Dirk, ma a me piacciono giovani, Dirk!»
«Sta’ zitto, idiota! Credi davvero che questa troia abbia voce in capitolo?! Va’ di là e basta, cazzo!»
Un respiro le si blocca in gola e un flashback la investe come un treno in corsa.
Da quando pensi di poter esprimere la tua opinione? Sei ancora troppo immatura, anche se vai già bene per svuotare le palle.
Digrigna i denti. Non ha idea di chi abbia pronunciato quelle parole, le sfugge anche il frangente in cui siano state articolate e ignora persino il modo in cui lei abbia reagito a seguito delle stesse, ma sa di essersele sentite dire, sa che non aveva fatto niente per meritarsele e sa come avrebbe voluto replicare.
Occhieggia il coltello, adesso nella sua mano destra, ancora nella sua mano destra.
Inspira ed espira. Forse è giusto agire.
Inspira ed espira. Per forza deve agire.
Inspira ed espira. Cosa aspetta ad agire?
È sincera, non è certa di cosa dovrebbe fare, eppure lo fa comunque, quasi fosse l’automatismo di un ordinario processo manuale dei suoi.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
Considerato che a prima vista il manico risulta essere la parte più pesante, afferra direttamente la lama. Determinata, riporta lo sguardo sul Coglione che nel frattempo ha ripreso la sua camminata a scatti. La bambina tenta di divincolarsi, le mani che, senza successo, desiderano liberare i capelli graffiando gli artigli malevoli del suo aggressore, ma ancora non proferisce alcun suono. D’altro canto, la madre controbatte subito all’azione, un brusco movimento sulla propria sinistra per aggirare del tutto il bancone e ostacolare, di persona, l’avanzata del cocainomane.
Uno sparo piuttosto prevedibile entra a gamba tesa in partita, bloccando sul posto la globalità degli astanti, anche se di base nessuno viene ferito o abbattuto. Dopotutto, la comunicazione a riguardo era stata data in precedenza, con un ampio preavviso, ma per fortuna lei aveva avuto ragione fin dall’inizio.
Ci si poteva aspettare altrimenti? No, difficilmente sbaglia.
Malgrado ciò, alza gli occhi al cielo per l’esasperazione data dal tipico comportamento senza senso degli esseri umani. Deve smettere di cercare risposte a domande poco retoriche perché, ora, la sua priorità è un’altra. Al resto penserà dopo. Forse.
Scruta la distanza che la separa dall’obiettivo. Sono circa dieci metri, perciò è giusto optare per un lancio a rotazione completa. Un sorriso genuino balena sul suo volto mentre, con cautela, scivola lungo il divanetto e se ne esce, alzandosi in tutta la sua statura.
Porta il braccio dietro il capo, lasciando l’altro penzoloni accarezzarle il corpo, e accompagna la mossa con un leggero spostamento in avanti del piede corrispondente, ma, quando inizia a caricare il colpo, si ritrova paralizzata. La mocciosa la sta fissando, due pozze cervone che la analizzano a fondo, incredule.
La sua espressione si fa scettica, mentre una tenue speranza fiorisce in quella della controparte. È in piena modalità stealth. Come ha potuto la marmocchia accorgersi dei suoi impercettibili movimenti? Sbuffa, avrebbe fatto i conti più tardi con l’ennesima cazzata da chiarire.
Chiude gli occhi e, mantenendo la postura, si concede un attimo per ritrovare la concentrazione. Quando li riapre, si sente pronta, uguale eppure in qualche modo diversa da poco prima. È stranamente rilassata, più di quanto avrebbe mai creduto possibile. Forse si trova finalmente nel suo elemento? Con un’alzata di spalle accantona la questione e riprende da dove aveva lasciato, permettendo all’arma di portare a compimento il proprio destino sanguinario.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
È straordinario come il tempo possa rallentare in frangenti del genere. Si riescono a notare i tantissimi dettagli che inevitabilmente si perdono nei meandri delle banalità d’insieme: i polmoni della “stronza” ignara si espandono con maggior oculatezza, le pupille della piccola di poche parole si dilatano quanto l’olio in un bicchiere d’acqua e il sibilo del colpo da lei sferrato diventa musica istantanea per le orecchie di chi, al pari suo, ne è sia intenditore sia estimatore.
È bastato un attimo per sapere come sarebbe andata a finire. Prima.
Basta un attimo per ricredersi anche sul più minuscolo dei particolari. Ora.
Basterà un attimo per comprendere che ci si era completamente sbagliati. Dopo.
O, come in questo caso, è sufficiente lei.
Il Coglione crolla al suolo, faccia a terra, in un assordante silenzio, portandosi dietro la bambina. La lama è entrata nel suo collo fino all’elsa e lì è rimasta. Sgrana gli occhi. È innegabile la sicurezza che nutre nei suoi stessi confronti, in fin dei conti la materia prima la può portare unicamente a quelle precise e determinate conclusioni, ma, se non vi avesse assistito di persona, non ci avrebbe mai creduto sul serio.
Da dove viene tutto quel talento fuori scala? Un po’ esaltata un po’ incredula, si osserva le mani rigirandosele più e più volte: la risposta potrebbe celarsi tra un callo qui e una cicatrice lì.
«Ma cosa cazzo…»
Il Chiacchierone è così preso alla sprovvista che abbassa involontariamente la pistola, mentre guarda ingrandirsi sotto l’amico un’ombra rossa tanto inquietante quanto definitiva. È troppo assorto nella macabra contemplazione per rendersi conto del ricongiungersi dei due ostaggi.
Madre e figlia si stanno abbracciando, la prima in seguito a uno scatto fulmineo quasi rasente al pavimento per meglio stritolare la prole alla giusta altezza, la seconda dopo essersi tirata poco gentilmente i capelli ancora impigliati nel rigor mortis in crescendo ed essersi lanciata verso il dolce approdo della sua vita. Le damigelle in pericolo non hanno voluto perdere ulteriori minuti a interrogarsi su rischi e pericoli, indugiando in luoghi dove una mente è meglio non stazioni.
Le osserva curiosa. Sembrano l’una l’ancora dell’altra, i porti sicuri dai quali salpare all’alba di ogni giornata con la solenne promessa di rivedersi ai tramonti che verranno, una casa che lei, nonostante i ricordi a singhiozzo, sa di non aver mai conosciuto in vita sua.
Deglutisce e scuote il capo, sperando che il cuore, stranamente redivivo, decida di tornare al suo solito letargo di ghiaccio e nulla. Non ha tempo per queste stronzate.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
«E tu da che buco del cazzo sei uscita?!»
Con lentezza rivolge l’attenzione all’oratore di turpiloqui. Finalmente è riuscito a notarla.
Avrà capito che un coltello non può piovere dal cielo nel posto giusto al momento giusto quando meno lo si aspetta?
Avrà compreso che doveva essere stato un intruso sul loro palcoscenico esclusivo ad averlo lanciato e aver fatto del suo compare di malefatte un bersaglio?
Avrà intuito che, per fare chiarezza sull’intera situazione, avrebbe dovuto semplicemente visionare la direzione da cui era arrivata l’arma?
Un mezzo sorriso compiaciuto appare sul suo volto affamato di caos e morte. Passa la lingua sul labbro superiore, pronta a gustarsi il nuovo piatto prelibato che il destino ha deciso di porre sulla sua strada. Avendo iniziato alla grande, non vede l’ora di finire col botto.
«Allora?! Chi cazzo sei tu?»
Non distoglie lo sguardo dal Chiacchierone. Mantenere il contatto visivo, senza manco dare alcuna soddisfazione nel rispondere alle sue domande, dovrebbe alzare il livello di stress della controparte che si nota già essere sulla buona strada per lasciarsi travolgere da una crisi di nervi epocale. Inclina il capo, da un lato per aumentarne il disagio e dall’altro per riflettere un secondo. Ipotizzando il caso peggiore, e cioè quello in cui il caricatore abbia a disposizione sette colpi in totale, sa che l’aggressore ne ha ancora al massimo sei da riversarle addosso. Intorno a lei, non ci sono ripari decenti dove proteggersi qualora le occorresse. Nondimeno, considerando il tremore dell’idiota che adesso le punta contro il ferro e la sua conclamata inabilità nell’usarlo a dovere, forse non ne ha neanche bisogno. Annuisce convinta.
«Chi cazzo ti ha mandato, eh?! Il Cardinale, non è vero?!»
Smarrita, assottiglia gli occhi, distinguendo il movimento netto del cane che viene armato. La sensazione distesa già vissuta in precedenza torna a farle visita, alla pari di una vecchia amica che non vede da tempo e che desidera ricongiungersi a lei pure solo per cinque lunghi minuti.
Non aspetta che spari per muoversi e attaccare. È stanca di questo perpetuo rinvio.
Al solito, la lancetta dell’orologio sembra rallentare la propria avanzata per darle il maggior spazio di manovra possibile. Pare quasi una sua alleata in questa battaglia contro il degrado della società, benché non abbia richiesto l’intervento di alcuno a parte sé stessa: non ha necessità di impicci aggiuntivi per ingegnarsi e cavarsela, si basta da sola.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
Grazie a uno scatto fulmineo va verso destra e, con la coda dell’occhio, parallelamente alla sua avanzata ma dal lato opposto, vede il primo proiettile fare la sua corsa. Nota la scia del colpo con una precisione che quasi la soverchia: se non possedesse di suo un’ampia conoscenza riguardo la .45 ACP, senza impegnarsi troppo riuscirebbe a contare distintamente i 22,80 millimetri del bossolo, catalogarne le venature d’ottone in base a ogni sfaccettatura giallastro-dorata che presenta e identificarne l’innesco large pistol di tipo Boxer con cui si accompagna.
Dopo l’ispezione accurata che si è concessa di eseguire nella sua testa, si lancia a sinistra tramite un altro guizzo improvviso e, nell’esatta modalità del suo precedente, è in grado di studiare nei dettagli il percorso del secondo piccolo bastardo camiciato. Che grande spreco di metallo.
La danza alternata da esperta giocatrice di hockey su ghiaccio continua per altre tre pallottole, prima di arrivare al cospetto del Chiacchierone e fermarsi a un passo da lui. Alla fine, il caricatore della Colt M1911 aveva solo sei cartucce: le è andata bene, nonostante fosse ben lungi da auspicarsi una tale speranza.
Non aspetta che la schifezza umana capisca di non avere alcuna chance contro la sua persona. L’esito sarà uno solo, quello in cui l’unica a sopravvivere risulterà lei.
Perciò, mentre l’ultimo membro della coppia ormai scoppiata intuisce che forse è giunto il momento di sfruttare l’appendice semiautomatica alla stregua di arma contundente, lei ghermisce con entrambe le mani la sedia spuntata dal nulla alla sua sinistra e colpisce al fianco destro quell’idiota decisamente troppo lento nel reagire. Il mobile si frantuma e la vittima sbatte con violenza contro il bancone della tavola calda, perdendo la presa su una pistola che oggettivamente non gli può più essere d’aiuto.
Non aspetta, e questo è ciò che conta. Perché rimandare l’inevitabile?
Riporta il corpo acciaccato della sua preda rantolante sotto di sé e, agguantato per il bavero dalla mano destra, comincia a infierire prendendolo a pugni in faccia, ganci sinistri su ganci sinistri con cadenza letale, senza pietà, senza pause, senza pentimenti, ritmo spettrale di una melodia da incubo che, suonata per pochi, può essere realizzata bene solo da altrettanti.
Quando l’assenza di movimento lo pervade, si ferma e osserva lo scempio che ha compiuto. Il Chiacchierone ha il volto tumefatto, neanche sua madre potrebbe più riconoscerlo. Gli ha spaccato le ossa del lato destro a una a una, con la furia chirurgica di una lottatrice provetta che non vuole perdere perché sa di vincere.
Si è eccitata, letteralmente, quando ha sentito il rumore delle lacerazioni per ogni cazzotto che gli ha inferto. Essere in grado di togliere la vita a mani nude e rendersene conto nell’atto di farlo l’ha mandata in cortocircuito da overdose di serotonina. Apre e chiude le mani, la sinistra con le nocche imbrattate di sangue e la destra immune alle sozzure vermiglie del mondo. Sorride beata.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
«È finita davvero?»
Con la cautela data dall’allerta gira la testa a destra, abbassando le braccia lungo i fianchi. La “stronza” e la “puttanella in miniatura” sono ancora unite nella presa da boa constrictor che va allentandosi con lo scemare dell’adrenalina. La osservano con curiosità e timore insieme. Avranno assistito a tutta la scena? Non le interessa.
Per rispondere alla domanda, mani in tasca e spalle rilassate, si risparmia superflue perifrasi in favore di atti concreti che parlano da sé. Si avvicina ai corpi dei due assalitori e si limita a punzecchiarli con la punta degli anfibi bordeaux, prima l’accoltellato e poi il preso a pugni. È chiaro sappia già che siano morti stecchiti, ma non vuole lasciare niente di intentato, soprattutto se vuole evitare ulteriori chiacchiere inutili.
«Io mi chiamo Tate, comunque. Ti ringrazio per averci salvate», la donna riprende a dare fiato alla bocca e lei alza gli occhi al cielo. Cosa deve fare per essere lasciata in pace?
Inizia a guardarsi in giro per cercare una scappatoia e darsela a gambe, ma ciò che trova, è solo l’ampio locale anni ’50 nel quale è spuntata suo malgrado. Il pavimento a quadri bianchi e neri enfatizza, ricambiato, i tavoli rossi con divanetti sia abbinati sia dello stesso colore la cui comodità ha potuto saggiare in prima persona. Ammette di essere un po’ indolenzita qui e là, ma pensa sia dovuto principalmente a quanto successo prima che le sue chiappe sode finissero in quel posto. Su tre pareti di quattro sono appese delle locandine di film ambientati nella medesima epoca della tavola calda, essi incorniciano la porta della cucina, quella del bagno e il jukebox pronto per un nuovo giro di giostra qualora se ne presenti l’occasione. L’ultimo muro, in concomitanza del quale si apre l’ingresso e staziona il classico campanello che suona quando dall’uscio entra un nuovo avventore, è fatto interamente a vetri, uno sguardo disincantato e limpido su un quartiere scuro e decisamente poco raccomandabile.
«Qual è il tuo nome?»
Si strofina la testa con entrambe le mani, avanti e indietro, partendo dalla nuca e arrivando al ciuffo del suo fauxhawk blu notte. Si era dimenticata di avere ancora dietro di sé un pubblico fastidioso. Ne ha già le palle piene, la sua pazienza ha raggiunto il limite.
«Non ne ho idea.»
È la prima volta che proferisce parola e quasi se ne spaventa. Un tono così basso e rauco è tipico di qualcuno che non è abituato a dare spiegazioni, ma che, per giocoforza, a volte, è costretto a sentire il suono della propria voce.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
«In che senso?», Tate non molla la presa ora che ha avuto la grazia di una vera conversazione. Perché non rischiare la vita una seconda volta, prima di abbassare la saracinesca? Sbuffa.
«Nell’unico senso possibile. Non ricordo niente.»
Si chiede come mai si stia prestando a una così patetica interazione, ma non ne coglie il significato. Un principio di mal di testa la colpisce e sa già che quel picchio di merda non lascerà la sua presa fino al momento di coricarsi e oltre.
«Beh, potrebbe rivelarsi una cosa positiva, no?»
Si volta del tutto e con scetticismo fronteggia la donna che nel frattempo si è alzata. Le arriva a malapena all’altezza delle clavicole, una montagna da un metro e ottantotto contro una collinetta inferiore a lei di almeno venti centimetri. Dietro le sue gambe si nasconde la figlia che non smette di fissarla con un piccolo sorriso sulle labbra. Inclina il capo. Che sta succedendo?
«Potresti vederlo come un nuovo inizio, per lasciarti alle spalle tutto il resto, qualsiasi realtà esso possa celare…»
Inarca un sopracciglio e arriccia le labbra. Non ne comprende la ragione, ma, inaspettatamente, si impone di rifletterci davvero, torturandosi le punte dello snake bite con le dita della mano imbrattata. Passa la lingua sopra all’ormai traccia fantasma del suo passaggio, ripercorrendone i punti salienti come per rinfrescarsi una memoria che di fatto esiste a tratti, e percepisce un leggero sapore ferroso. Sarà il sangue del Chiacchierone? Una luce nefasta le illumina lo sguardo al ricordo di quanto compiuto.
«Beh… P-prima però do-dovremmo trovarti un n-nome…», balbetta Tate che, con voce stridula e deglutendo vistosamente, forse in risposta all’assaggio poco ortodosso a cui ha assistito senza dover pagare un biglietto, non perde tempo a interpellare la figlia sulla questione, sperando magari di non focalizzarsi troppo su certi particolari onde evitare incubi nella notte a venire: «Hai qualche idea, Ellie?»
La bambina annuisce con vigore e si stacca dalla madre, mettendosi in linea d’aria fra lei e la bandana munita. Per nulla turbata dallo spettacolino sopra le righe avvenuto di fronte alla sua persona, principia nel fare strani e concitati gesti con le mani, facendola incuriosire ancora di più, sebbene la non comprensione istantanea della realtà usualmente la porti ad alimentare velocemente il buffer del nervosismo. In quei frangenti desidera svuotarlo subito, smaltendolo come si deve, a modo suo e con i fuochi d’artificio.
«Oh!», tutt’a un tratto la donna si batte la fronte con il palmo destro aperto, quasi si fosse ricordata in quell’istante di un elemento non trascurabile col quale avrebbe dovuto ragguagliarla da tempo. «Ellie è nata muta. Quindi, può interagire soltanto attraverso la lingua dei segni», lo spiega in una maniera così semplice e tranquilla da spiazzarla del tutto.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
Sgrana gli occhi. Ora conosce il motivo per cui la piccola non abbia mai gridato durante la tentata aggressione e abbia percepito i suoi movimenti silenti quando ha deciso di buttarsi nella mischia: alla fine può mettere da parte almeno due delle tante parentesi aperte e ancora non chiuse nell’ultima mezz’oretta scarsa. Ci voleva proprio, un po’ di ordine nel caos dei suoi pensieri.
«Cosa sta dicendo?», le interessa scoprire l’arcano, mentre cerca comunque di starle dietro sebbene si trovi impreparata in merito. È la prima volta che è palesemente in difetto, di sicuro dovrà rimediare.
«Che dovresti chiamarti X», comincia a delucidare la non più “stronza” in astinenza da sbrodolamenti di parole varie ed eventuali con chicchessia. «Oltre l’ovvio, sei una vera e propria incognita.»
Perplessa, assottiglia lo sguardo prima di chiederle, mimando le virgolette sull’ultima parola della domanda: «Cosa ci sarebbe di “ovvio”?»
«Sulla schiena, alla base del collo, hai una cicatrice abbastanza vistosa e frastagliata. Ha la forma di una croce greca ruotata di 45 gradi», risponde Tate compita, felice di interagire con una persona che, per quanto diversissima da lei, almeno è un esponente dell’età adulta. «Insomma, una X di nome e di fatto.»
Un’espressione sorpresa la induce a schiudere le labbra. Si porta la mano destra sul retro del collo, così rapidamente da darsi una piccola sberla, perché accertarsi di quanto la titolare della tavola calda e la sua copia in miniatura le hanno detto con nonchalance, è davvero il minimo. Rilascia un sospiro e chiude gli occhi con rassegnazione: odia stare un passo indietro agli altri.
«Ma tu guarda!»
L’esclamazione strabiliata di Tate riporta la sua attenzione sulla scena. La mocciosa ha steso il braccio sinistro verso di lei e tiene l’altro piegato per riportare dietro l’orecchio una ciocca dei suoi lunghi e selvaggi capelli neri. Ha in mano un piccolo oggetto rosso, ma non capisce cosa sia. Guarda la madre in cerca di spiegazioni, continuando a strofinarsi il marchio in rilievo sulla collottola. Se lo vorrebbe scorticare.
«Sappi che è un onore riceverne uno da Ellie», comincia a dire, mentre accarezza il capo della figlia con il classico sorriso da orgoglio materno stampato sul volto. «Non condivide con nessuno i suoi leccalecca, neanche con me.»
Inarca un sopracciglio e torna a osservare quell’arto proteso nella sua direzione, uno dei tanti sinonimi eclatanti o di fiducia sconfinata nei confronti del prossimo o di immenso desiderio nel voler aiutare il bisognoso. Non ne afferra il significato però, perché lei non rientra in alcuna delle suddette categorie.
È una sconosciuta, peraltro killer a sangue freddo, comportarsi in questa maniera in simili circostanze è un completo azzardo che non va incoraggiato nel modo più assoluto. Eppure, si protende verso quell’inaspettata elargizione.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
Di preciso cosa la sta attirando come una calamita? Il coraggio sfacciato di una ragazzina che non sa quello che fa? La sua cieca convinzione che, dato il salvataggio, non le farebbe del male? Forse è l’affinità tra simili la chiave di tutto, lei che non parla per scelta, discutibile, e l’altra che non lo fa per impotenza, insindacabile.
Una volta ottenuto il premio, si riscuote all’improvviso e, lanciando un’occhiata intorno a sé, inciampa un attimo nella consapevolezza delle sue azioni. Non è proprio il tormento della coscienza sporca a persuaderla quanto il desiderio di ricambiare l’imprevedibile con qualcosa di altrettanto fuori dal comune.
«Ehm, scusa per il locale. Te l’ho mezzo sporcato e mezzo distrutto», lo mormora a caso, con un velo evanescente di imbarazzo nel tono, quasi volesse continuare a discorrere per forza dopo averci preso un po’ gusto, indicando il circondario con il dolcetto ricevuto. Quando i mulinelli d’aria si esauriscono in uno sbuffo delicato, lo scarta e se lo ficca in bocca. È al gusto fragola.
«Non è un problema, non avevo ancora passato lo straccio e in più… Credo che quella sedia sia un bug», Tate sorride e ridacchia del sorprendente disagio di quella bellezza tatuata, così femminile eppure androgina, scrollando le spalle non curante della situazione disastrosa in cui versa il suo locale.
Semplicemente annuendo, l’ora X accetta l’informazione come lo farebbe di fronte una bolletta da pagare o l’arrivo della morte, senza fiatare né discutere. Mastica il cuore di zucchero e, una volta ultimato lo spuntino, tiene penzolante tra i denti il bastoncino bianco, una sigaretta innocua pronta a essere accesa e consumata.
«Che si fa con i rifiuti da smaltire?», chiede, indicando con un cenno del capo perlopiù le salme dei due balordi capitati nel posto sbagliato al momento sbagliato.
La piratessa senza nave né ciurma fissa lo sguardo sugli essi furono aggressori, magari ripensando agli attimi di terrore vissuti insieme alla figlia o magari meditando su quello che sarebbe potuto accadere loro senza la caduta di un meteorite affetto da eterocromia nel proprio locale: «Ci penserà il Garbage Collector: è un idiota, ma sa fare il suo mestiere senza porre domande scomode.»
Annuisce e si volta, non solo per oltrepassare la soglia e trovare qualche risposta, ma anche per andarsene da quel posto di merda. Sarebbe anche l’ora: stare lì la sta trasformando in un miscuglio di emozioni strane e troppe, troppe parole.
«Ehi!»
Tate ora si sente così confidente da urlarle contro e, mentre si gira, con la flemma tipica della pigrizia, per comprendere cosa voglia ancora da lei, la nota nell’atto di seguitare il discorso: «Il minimo che potresti fare, è aiutarmi, no?»
Dalla tasca posteriore dei jeans estrae un canovaccio che le sventola di fronte agli occhi. Da salvatrice della patria a collaboratrice domestica, ma dove cazzo è finita?
Alza gli occhi al cielo, inspirando, e scuote il capo, espirando. Non ce la può fare, non è stata programmata per questo, ma comunque si lascia andare a una breve risata di pancia mentre torna indietro. Sul significato di ciò e sul resto avrebbe riflettuto l’indomani.
Fonte: Pinterest
Film di riferimento: Matrix
Copyright © 2025 Lara Premi
Tutti i diritti riservati.
Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autrice o, se reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
28 Febbraio 2025 at 18:59
Un inizio col botto, una storia lontana da te a cominciare dalla tua protagonista e poi tutta la trama che con questo primo capitolo viene solo voglia di saperne di più e ancora di più.
Ambientazione molto particolare, adoro la bimba ma già lo sai e adesso sono curiosa del capitolo due e rivedere ancora X
28 Febbraio 2025 at 23:52
Quando hai detto che eri uscita dalla tua zona di confort, non sapevo bene cosa aspettarmi ed ero molto curiosa di leggerti. Posso solo affermare che l’attesa è valsa la pena. Questa storia è a dir poco esplosiva. Frase dopo frase sei riuscita a descrivere la scena da punto di vista “psichedelico” di questa “ragazza molto particolare”. Ho intuito quasi subito che lei non fosse umana, grazie alle descrizioni precise delle sue “non-emozioni”, i suoi movimenti meccanici e misurati. La scena forte e violenta è del tutto giustificata e anche ben gestita… fino ad arrivare a una parte finale che spiazza positivamente. È stato bello poter intravedere un cedimento appena accennato di X che nemmeno lei si spiega. Di fronte all’ingenuità e alla purezza di un cuore innocente, nessuno può resistere (ok, lo ammetto mi sono fatta qualche film sul dopo, forse sto andando troppo veloce nella mia testa ahahah).
Quindi sono davvero impaziente di vedere come continuerà la storia e come evolverà questo personaggio assolutamente originale.
Sei stata brava anche a inserire tutti gli elementi richiesti.
Che dire… un personaggio senza memoria del suo passato e un nuovo inizio dinnanzi…
Scrivi, scrivi, scrivi… pleaseeee 🤩😊💝
Ps: ho apprezzato anche l’originalità dei “nomignoli” usati (anche abbastanza complessi) per tutti i personaggi per evitare la ripetizione dei soggetti.
Commento tecnico irrisorio. Qualche frase era troppo arzigogolata e complessa, ma ho notato che comunque fa parte del tuo stile. 🥰