Mentre nella mia testolina ancora su di giri riecheggia quanto accadutomi sabato 7 ottobre -sembra essere già passata una vita dal mio matrimonio, eppure solo oggi stiamo ultimando il nostro viaggio di nozze! Ebbene sì, in questo preciso momento stiamo quasi per tornare in Italia dalla lontana Corea del Sud; quindi, non posso fare a meno di ringraziare e santificare la programmazione automatica di WordPress perché altrimenti adesso il presente articolo non sarebbe qui a farvi compagnia o disturbarvi, a seconda di come la guardiate-, con un blogtour sempre organizzato dalla carissima Susy, oggi celebriamo l’uscita della seconda parte de L’Enigma dell’Acqua di Constance S., epilogo definitivo della trilogia fantasy La Coscienza di Cain in cui ognuno di noi saprà finalmente la conclusione della storia d’amore tra l’Ingannatore di anime e la ragazza con il sangue angelico nelle vene: curiosi di scoprire come l’autrice ha desiderato terminare il suo viaggio inchiostrato con plot twist assicurati?
Creazione a cura di Annarita della casa editrice Genesis Publishing
Dopo un focus sui nemici più giurati di tutti i tempi, la luce e l’oscurità, a cura de I Miei Magici Mondi, un approfondimento da parte di Rivendell: Katy Booklover in merito alla fiducia che ognuno dovrebbe riporre nel proprio cuore e uno studio dettagliato, made by On Rainy Days, sulla coppia di protagonisti che ha saputo accompagnarci egregiamente fino a questo momento, Cain e Alexandra, preceduta da un breve sguardo sui secondary characters che The Carly Library ci ha regalato con grande precisione e dalla fantastica recensione di Silvia tra le righe che è capace di invogliare chiunque a leggere persino l’etichetta di uno shampoo, La Nicchia Letteraria si è occupata dell’intervista all’autrice, un modo sia carino sia diverso di conoscere, in una veste completamente nuova, la persona dietro le parole scritte.
Buongiorno, carissima Constance, e benvenuta a La Nicchia Letteraria, il mio piccolo angolo di paradiso inchiostrato ove cerco sempre di ritagliarmi un quanto di tempo per collocare, al loro sito originario e dopo la tipica baraonda made in quotidianità, i pezzi distinti della mia persona bistrattata un po’ a destra un po’ a manca, sia durante la giornata lavorativa sia nel mentre della vita privata ormai ebbra dello sposalizio imminente.
A costo di parere quasi scontata nell’avanzare il presente quesito di apertura del nostro minuto botta e risposta, diamo pure il via alle danze così, e cioè chiedendoti cosa ti ha spinto a intraprendere una carriera nella ars scribendi, in particolar modo nel genere letterario del fantastico. C’è stato qualcuno di specifico nella tua vita di lettrice che ti ha ispirata a tal punto da decidere di percorrere un simile tragitto non solo difficoltoso nella natura degli ipotetici ostacoli in cui si può incappare lungo lo stesso ma anche soddisfacente negli obiettivi raggiungibili per i quali scarpinare è il minimo indispensabile?
✒ Buongiorno a te. Grazie per l’accoglienza, sono molto felice di essere qui a parlarvi un po’ di me. La mia passione per la scrittura ha avuto inizio ai tempi delle scuole superiori. La professoressa di italiano scelse di leggere alla classe un mio racconto fantasy, genere che leggevo con piacere e che mi ha sempre affascinata, suscitando il plauso dei miei compagni. La certezza di aver trasmesso emozioni per mezzo delle mie parole fu la scintilla che mi spinse a mettere su carta altre storie. Tempo dopo provai a mettermi in gioco partecipando ad alcuni concorsi letterari: vedere i miei racconti brevi pubblicati all’interno di alcune antologie fu un’emozione indescrivibile. Mi diede l’entusiasmo necessario per cimentarmi nella stesura di un romanzo più lungo e complesso.
Sebbene Hermione Granger lo dica in modo così chiaro e conciso che sbagliarsi in un frangente del genere è davvero improbabile nonché impossibile, La paura di un nome non fa che incrementare la paura della cosa stessa, ora nominerò il timore di una buona fetta di noi lettori tra cui rientra prepotentemente anche la sottoscritta, il cliffhanger, l’odiosissimo finale aperto al quale di solito si arriva boccheggianti in cerca di una pausa seria da tutto il trambusto vissuto fino a quel capitolo o epilogo che dir si voglia per poi rendersi conto quanto il vero pandemonio non abbia ancora avuto inizio. A parte chiederti cosa ne pensi nel momento in cui rivesti il ruolo opposto a quello di autrice e quindi lo incontri, che sia inaspettato o meno, durante una qualsiasi lettura in corso, da scrittrice credi sia necessario tra un volume e l’altro di una saga affinché il pubblico sia invogliato a continuarla e, infine, ultimarla oppure, in questi casi, basterebbe la bravura di una penna nell’intavolare una trama con i controfiocchi e dei personaggi ben sviluppati per attirare la totale attenzione di chiunque?
✒ Il finale in sospeso è a mio parere una scelta che sta andando attenuandosi data la tendenza a preferire romanzi autoconclusivi o “stand alone”. Non considero il cliffhanger un elemento utile a invogliare il lettore nel proseguimento della lettura di una saga e mi dispiace che spesso venga considerato come tale. Interrompere la narrazione a un punto cruciale può essere una necessità quando si tratta di dividere in due parti un manoscritto piuttosto lungo. Il vero tradimento, se così si può chiamare, è non portare a termine una saga, privando i lettori di un meritato epilogo. Mi è capitato, e provo ancora molta amarezza per non aver potuto conoscere il destino di molti personaggi che amavo. Da lettrice, il cliffhanger non mi ha mai disturbato: se la storia merita, certamente continuerò la lettura, spronata anche dalla curiosità di sapere cosa succederà. Ho letto saghe dall’intreccio valido e appassionante in qualsiasi modalità: alcune caratterizzate dalla presenza del cliffhanger, altre in cui ogni libro della serie poteva essere letto separatamente, poiché dedito all’approfondimento di figure precedentemente introdotte: figli, amici, fratelli… Tendo comunque a preferire saghe che raccontano il percorso degli stessi personaggi.
Antoine Gombaud ha dichiarato “Chi comincia ad amare, deve essere pronto a soffrire” e in effetti, considerando il quantitativo non numerabile di storie più o meno romance che ho affrontato in anni e anni di grande appassionata durante i quali piangere è sempre stato il primo must have del mio starter pack da giovane marmotta, devo ammettere che lo scrittore francese non ha proprio tutti questi torti. Riflettendo, inoltre, sulla tradizionale opzione, particolarmente sfruttata dagli autori, concernente l’inserimento, fra le pagine delle loro opere, di un’infinità di tormenti che spesso e volentieri tendono a derivare da un rapporto d’amore in cui pene travagliate si impadroniscono quasi in toto delle giornate di chi cerca la condivisione e la connessione effettive con qualcuno verso il quale prova un’emozione forte, si scopre quanto la siffatta tipologia di sentimento sia gettonatissima nella top ten dei trope, come se sotto sotto i lettori fossero talmente masochisti con loro stessi da prediligerla senza troppo pensarci. A tuo parere, quale sarebbe la ragione dietro un tale comportamento? Che sia una semplice coincidenza o forse la complessità vince a mani basse un legame semplice eppure di egual valore?
✒ No. Non è una coincidenza. Tuttavia, non credo che i lettori che prediligono le storie d’amore tormentate, categoria nella quale mi inserisco anche io, siano dei masochisti. Ogni storia che narra della nascita e dello sviluppo dei sentimenti che sbocciano tra due persone regala emozioni, anche quelle più divertenti e scanzonate, che scelgo di leggere nei momenti in cui ho bisogno di una lettura fresca e leggera. Credo tuttavia nel potere dell’irrisolto: parlo del coinvolgimento emotivo, e del fascino indiscusso, generato da personaggi che devono imparare ad amare loro stessi, prima ancora di avere la pretesa di donare amore a un altro essere umano.
Nel momento in cui è presente questa difficoltà, quando un personaggio deve ancora “determinarsi”, il percorso verso il lieto fine diventa più difficile. E per questo più agognato e desiderato.
Creazione a cura di Annarita della casa editrice Genesis Publishing
Quando ho scoperto Stephenie Meyer durante la mia adolescenza, è stato terribilmente facile innamorarmi di Edward Cullen e, alla pari di lapalissiana conseguenza, dell’idea di principe azzurro sotto le (s)mentite spoglie di vampiro che era abituato a emanare da ogni suo luccicante poro fin dal lontano 1901. Abbandonati i lidi dei quattordici anni, ormai in età adulta e consapevole di avere una poco leggera propensione verso i cosiddetti cattivi ragazzi, nel momento in cui ho conosciuto Daniel Grigori di Lauren Kate e la sua biondaggine tanto ribelle quanto sfacciata, mi sono ritrovata ad annaspare come fossi una giovincella alle prime armi, dimostrandomi di essere ancora in grado di perdere la bussola innanzi a protagonisti maschili, non indifferenti nell’aspetto, dall’animo e dal cuore nobilissimi.
Mentre ti confesso di starmi riprendendo tutt’ora dalla sbandata per Rhysand di Sarah J. Maas, e qui posso affermare di essere finalmente tornata in me stessa considerando che i bad boys sono i migliori in assoluto sebbene lui sia borderline qualora si prendesse in esame il suo sviluppo, ti chiedo veloce veloce: nel mondo fantastico qual è la tua crush con la C maiuscola? Magari hai anche una creatura immaginaria preferita, per questo? Perché hai scelto di utilizzare proprio nella tua storia gli angeli e i demoni? Sei legata a qualche saga particolare dove essi appaiono in tutto il loro abbagliante splendore alato?
✒ In realtà non ho una vera e propria crush con la “C” maiuscola. E allo stesso tempo, ne ho tantissime! Inutile fare un elenco. Confesso, a mio rischio e pericolo, di non aver amato particolarmente Edward Cullen. Troppo buono, troppo bello, troppo perfetto. Troppo… tutto. Mi piacciono i protagonisti maschili che sanno affermare loro stessi, amo le personalità forti e mi piace che vengano mostrate anche le loro imperfezioni, gli errori commessi e i lati oscuri. Elementi che ho potuto enfatizzare e mettere in risalto scegliendo di narrare una storia con angeli e demoni. I miei però, non sono i classici angeli dotati di ali. Mi sono divertita a dare vita a creature intermedie, sospese tra cielo e terra, più simili a custodi dell’Equilibrio che a vere e proprie entità celesti, che non mi andava di scomodare. Mi riferisco a “Ingannatori di anime”, “Discendenti degli antichi giganti”, “Angeli terreni” e “Riequilibratori” incaricati di preservare l’Ordine, costantemente minacciato.
La mia fonte di ispirazione? Moltissime! Da ragazzina ho divorato i romanzi di Anne Rice e Laurell K Hamilton, ho letto manga e mi sono innamorata perdutamente delle opere di Go Nagai. Questi libri e fumetti hanno avuto un ruolo importante nella crescita della mia scrittura.
In ultimo, ma di certo non meno importante, ringraziandoti per avermi fatto compagnia per questo articolo che mi ha permesso di conoscerti meglio, ti pongo la domanda forse più scomoda da indirizzare a un qualsiasi autore dopo una nuova pubblicazione edita da poco e, quindi, nel pieno della sua attività di paroliere all’opera: per caso stai già lavorando a qualcosa dopo aver concluso la storia di Cain e Alexandra? Pensi di far soffrire ancora una volta i tuoi poveri lettori come hai fatto in precedenza, facendo sudare l’agognato lieto fine, oppure hai un guizzo diverso da calare sul tavolo quasi fosse un asso della manica decisamente fuori dal comune?
✒ Scrivere una saga è una bellissima esperienza che mi sento di consigliare nonostante sia impegnativo sotto molti punti di vista. Si finisce per affezionarsi ai personaggi che ci hanno fatto compagnia per tanto tempo, rendendo difficile mettere la parola “fine”.
Amo molto il mio Cain: testardo, passionale e tormentato. Non avevo progettato di dedicargli una trilogia, ma durante la stesura del primo volume “Il Patto” ho scoperto di aver bisogno di spazio per sviluppare anche la storia degli altri personaggi.
Ora mi sto dedicando alla stesura di un distopico con elementi fantasy e romance. Non so dirvi se si tratterà di un solo romanzo o di una saga. Non intendo pianificarlo. Come sempre, mi lascerò guidare dall’istinto, prendendomi il tempo necessario per godere della magia della creazione di un nuovo mondo e delle vicende di questi nuovi personaggi. Li sento, sapete? In ognuno di loro c’è nascosto un piccolo frammento di me. Scalpitano. Si fanno sentire con prepotenza: sono ansiosi di raccontare la loro storia.
Che bella chiacchierata! Grazie mille per l’ospitalità e per le domande interessanti. È stato un piacere essere qui e avere l’occasione di raccontarvi qualcosa di me.
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