Per una lettura rapida e indolore, come non scegliere Erri De Luca, anche se cosciente del fatto che non è un autore di libri semplici e di facile comprensione? Ormai sono assuefatta al suo modo di scrivere, ai suoi romanzi che seppur brevi sono d’impatto e densi della magia delle parole italiane, abituata alla sua maestria nel legare passato e presente, creando quasi un rapporto tra essi e il futuro imprevedibile e irraggiungibile per ora. Non potevo evitare, quindi, di cadere ancora nella trappola di questo autore: mi sono lasciata catturare senza sforzo e senza alcun contrattacco da parte mia in quanto non aspiravo a nient’altro.

Il torto del soldato è un libro curioso, diverso dagli altri di De Luca che ho letto e forse anche il più complesso finora, a livello di contenuti e di rilievo significativo. All’inizio, sembra tutto nella norma, come da programma per i suoi romanzi: il protagonista è un uomo esperto nella conoscenza del yiddish, una lingua secondo lui sottovalutata, che ha bisogno di qualcuno che permetta a chi non può di conoscerla in tutte le sue sfumature più nascoste, riportando a galla il valore e l’importanza delle parole di questo idioma. Una casa editrice gli ha chiesto espressamente di tradurre di alcune opere scelte dello scrittore Israel Yehoshua Singer, fratello maggiore del premio Nobel Isaac Bashevis Singer: dopotutto, la voce narrante è conosciuto come appassionato della letteratura yiddish e ha tradotto l’ultimo capitolo del romanzo Di Familie Mushkat del suddetto autore. Come potrebbe non accettare? Pagina dopo pagina, il protagonista spiega come quella lingua sia simile al napoletano, racconta di alcuni viaggi fatti nel passato e che lo hanno segnato nel profondo, forgiando la sua persona e portandola alla meta che prima definiva il suo futuro e che ora rappresenta il proprio presente, decanta il suo amore per la montagna e per le scalate, e sottolinea, infine, la passione sfrenata e travolgente che nutre nei confronti dei libri e della scrittura.

Dell’infanzia ricordo libri e nessun giocattolo. C’erano di sicuro, ma si sono persi. Soldatini, trenini, bestie, case: i giochi sono miniature del mondo, utili a un bambino per sentirsi gigante. Aiutano a crescere sopportando l’inferiorità.
Ho giocato poco, preferendo leggere. Dentro i libri non era possibile immaginarsi grandi. Le storie erano immense, la mia lettura piccola in confronto. Molte cose neanche le capivo. I libri mi ribadivano la mia taglia minuscola. Ma qualcosa all’interno s’ingrandiva. Il medico diceva ch’era il fegato, che allora si curava con l’olio di merluzzo.
A me sembrava invece che aumentasse la capacità d’aria dei polmoni. La lettura di Stevenson mi ha gonfiato di aria di oceano. La poesia napoletana mi scioglieva la lingua. London mi ha insegnato la neve. Le storie delle stragi di guerra mi facevano rimbombare la vena della fronte.

Una sera di luglio, mese in cui il protagonista si trasferisce nelle Dolomiti per trascorrere le vacanze, si reca alla solita locanda di sempre, luogo dove rimettere le energie dopo una scalata e la conseguente doccia per lavare via le fatiche dell’escursione, il sudore dell’impresa, la pesantezza del giornata ormai giunta al termine. Ma quel vespro, che sembra essere uno come tanti già passati e quindi vissuti, è un momento da ricordare, quell’istante di tempo che segnerà magari non la sua vita, o forse non ora, ma sicuramente l’esistenza di un’avventrice della locanda, una donna che siede da sola a un tavolo e che sorride all’uomo, quando entra nel locale. Perché la sua venuta riesce ad attirare quell’attenzione femminile? Ma soprattutto perché l’accompagnatore della donna, un signore su d’età, sembrava avercela con lui, dati i suoi sguardi truci e di fuoco che gli riserva senza alcun valido motivo? Ed è proprio qui che, oltre a introdurre un avvenimento alquanto scioccante che lascia leggermente senza fiato e spaesati, Erri De Luca cambia registro nel suo modus operandi, modificando la voce narrante, spostando l’attenzione su quella donna, una donna con una sua storia degna di essere narrata e vissuta, anche solo come pubblico, da noi lettori.

Questa lettura è stata differente da quelle a cui mi ero abituata con i precedenti lavori di questo autore. Il libro, praticamente, si divide in due parti, sezioni differenti che narrano di due vite completamente diverse, eppure in qualche maniera legate, come se componessero insieme le due facce di una stessa medaglia, uno yin e uno yang che si completano, incontrandosi inaspettatamente, scontrandosi inevitabilmente. Tutto questo risulta essere possibile solo grazie al destino che, come ben si sa, ha un forte senso dell’ironia, un sarcasmo sottile che rappresenta, però, in determinate occasioni, una presenza impossibile da non notare, quasi scomoda in un certo qual senso. Eppure, solo grazie a questo fato, una forza sconosciuta e misteriosa, che uno dei due protagonisti, la donna in particolare, vede stagliarsi un profondo cambiamento nella sua vita, il classico turning point che stravolge tutto e tutti, un punto di svolta che sancisce la fine di un’era e l’inizio di un’altra, il confine tra vecchio e nuovo, il limite ultimo tra un passato ormai andato e un presente che scalpita per poter finalmente cominciare senza intoppi. La donna avrà delle domande in quel frangente, certo, ma non avrà paura di affrontare l’ignoto, non avrà timore di ricominciare da capo, di intraprendere un nuovo percorso di vita, non temerà, quindi, di vivere davvero, di lasciarsi andare e di esporsi finalmente in prima persona, uscendo da dietro le quinte, affrontando la ribalta e l’alzata del sipario sulla sua esistenza, prima sopita ma adesso palpitante e vivace, come se avesse proprio ora iniziato a vivere realmente.
Come mai questo “ritardo”? Cosa le ha impedito di impadronirsi, come era giusto che fosse, della sua vita prima di quell’istante decisivo e definitivo che ha cambiato ogni sfaccettatura, ogni minuzia di sé? La figura di suo padre impone in questa donna una presenza imponente e fastidiosa: vediamo un uomo di un’altra epoca, che sembra essere quasi costretto a vivere in anni così lontani dal suo tempo così tanto ricordato e idolatrato, obbligato, a causa della sua condizione di criminale di guerra non punito, a rimanere all’erta, a non tralasciare alcun evento contemporaneo, vedendolo e interpretandolo come un segno premonitore di cosa potrebbe capitargli, un anziano signore troppo sedimentato nella mentalità che il nazismo gli aveva inculcato, un ristretto ed obsoleto punto di vista che lo riporta a riconsiderare tutti i fatti, a trovare una spiegazione al motivo per cui lui e tutti gli altri della sua risma non hanno vinto la loro battaglia, perdendo miseramente, vedendo cadere rovinosamente su sé stesse tutte le aspettative nutrite. Questa fissa, questa mania di indagare, lo porta a un’ossessione senza pari, che offusca la sua vista, che gli pone davanti agli occhi scenari distorti, dissimili dalla realtà che però lui non riesce davvero ad affrontare perché sarebbe come ammettere che, sì, ha sbagliato, in tutta la sua vita non ha fatto altro che commettere un errore dopo l’altro, fino a giungere alla conseguente fine sancita dalle azioni passate intraprese con consapevolezza agghiacciante. Per questo, la figlia cerca di fargli adottare un altro punto di vista, spiegandogli come lei stessa vede e interpreta i fatti, senza ovviamente raggiungere ad alcun risultato che porti suo padre a comprendere come effettivamente stanno le cose: dopo svariati tentativi inutili, è ovvio arrivare a una sorta di rassegnazione, evitando di tornare sugli stessi argomenti, evitando di commentare, di dire la sua in merito, tacendo tutti i suoi pensieri, sperando che prima o poi il genitore arrivi a capire da solo, a comprendere davvero e magari a redimersi un giorno. Speranze vane, come si scoprirà, ma alla fine della fiera, i nodi arrivano sempre al pettine ed è proprio lì che si deve fare i conti con tutto, con il presente ma soprattutto con quel passato che ci ha portati dove siamo ora, un tempo andato che ha forgiato la nostra persona, che l’ha resa quello che è, un passato che non si può cambiare, ma che si può sempre tradurre in un “adesso” migliore, se solo si aprissero la coscienza e la mente verso nuove prospettive, se solo si comprendesse che non siamo soli al mondo e che il mondo non gira intorno a noi.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Il torto del soldato
Autore: Erri De Luca
Casa editrice: Feltrinelli
Pagine: 88
Anno di pubblicazione: 2014
Traduttore:
Genere: Narrativa contemporanea
Costo versione cartacea: 6.50 euro
Costo versione ebook: 3.99 euro