Succede sempre così. Ogni volta che recensisco un libro, devo rimuginare parecchio sulla lettura appena terminata, ritornare sui miei “passi” sfogliando di nuovo il cartaceo o l’ebook che sia, ricordarmi ciò che ho “vissuto” in prima persona, nonostante esclusivamente come spettatrice e non protagonista, far venire a galla ciò che ho sentito, provato, cosa mi ha emozionata delle pagine, scorse una ad una fino ad arrivare alla conclusione. Non so voi, Nicchiani, ma a volte rivivere una lettura da cima a fondo è ancora più doloroso di quando la si è affrontata la prima volta: nel momento in cui un libro ti entra dentro, ti segna l’anima, ti inebria la mente tanto da non permetterti di fare altro se non pensare, nuovamente e tuo malgrado, alla storia, significa che quell’angoscia sentita in ogni fibra del tuo essere, quella sofferenza che hai percepito e che con il progredire della narrazione è cresciuta fino a non lasciarti andare più, seppur forse giusta per l’epilogo di un’opera come Lo scrigno di Adymair, è valsa la pena di viverla, esclusivamente per venire a contatto con un libro che non si può scordare, un romanzo che rimarrà ancorato nei recessi del nostro cuore, i cui battiti hanno accompagnato perfettamente il ritmo della storia, cullandola dall’inizio alla fine, accelerando alle volte, fermandosi in altre, quando l’emozione era così potente da bloccarti il respiro, l’alito di vita difficile poi da riprendere perché adesso non è più come poche pagine prima, adesso è così diverso da spaventare.

Il coprifuoco è iniziato già da un bel po’ di tempo, ma non importa: Eirien, sua sorella Finduen, il mago Atelmor, Herlyeaen e Ioethen sono sull’erba, appena fuori le mura di Nubila, in circolo, ad ascoltare la prima ragazza suonare la lira e cantare la storia di Adymair e Ravendryl, un elfo e un’elfa, una coppia che, seppur innamorata, è stata distrutta dall’ossessione di lui nel proteggere Ayunkhn, la terra dove Adymair e i suoi hanno sempre vissuto, una terra che ha scatenato una guerra feroce tra queste creature e la Confraternita, una sorta di istituzione il cui unico scopo, a quanto pare, sembra essere quello di aiutare il prossimo, permettendogli una vita migliore a questo mondo, obiettivo che può essere raggiunto solo se tutti gli individui siano uguali tra loro, sullo stesso piano, negando quindi la superiorità di capacità innate, come la magia.
La voce melodiosa di Eirien e il contenuto struggente di questa leggenda segnano tremendamente Finduen; tant’è vero che la ragazzina chiede alla musicista mezza elfa il prosieguo della storia: insieme ad Atelmor, svela alla sorellina che Ravendryl, con un patto stipulato con i Confratelli, consegna ai nemici il marito, decretando non solo la sua morte ma la fine di quella guerra, secondo la “traditrice”, ingiusta e inutile; dopotutto perché spargere così tanto sangue solo a causa della sciocca e neanche troppo importante richiesta della Confraternita di avere solo una piccola parte del territorio di Adymair e i suoi?
Dopo alcune riflessioni a riguardo, i ragazzi si congedano, tornando ognuno alle rispettive dimore. Nonostante Atelmor si fosse offerto di accompagnarle a casa, Eirien declina il suo invito, anche se nutre in seno una strana sensazione, come se di lì a poco debba succedere qualcosa, proseguendo da sola con la sorella, percorrendo, in punta di piedi, una delle strade principali di Nubila, Acerviel. Sarà stato il sesto senso prettamente femminile, ma il presentimento della mezza elfa si avvera: dalla finestra della casa del Primo Alphus, il capo della Confraternita stanziata a Nubila, esce un losco figuro, un uomo, che si accorge delle due ragazze senza prestar loro però alcun interesse, tanto da andarsene via velocemente e silenziosamente, come era giunto. Evitando di perdere altro tempo, le due ragazze bussano alla porta della dimora del Primo che, dopo qualche minuto, passato in preda al panico sempre più crescente, viene aperta dalla moglie, Prissen. Tutte e tre, seppur all’inizio la signora sembrasse decisamente scettica, si recano al piano superiore, entrando poi nello studio di Alphus. Nonostante ci si potesse aspettare ciò che videro, la sorpresa fu devastante. La stanza era stata messa a soqquadro, azione che aveva provocato la rottura di determinati oggetti non ben identificati, ma non solo: quell’iniziativa era poi culminata nell’uccisione stessa del Primo.
Inutile dire la miriade di domande che potrebbero formarsi a questo livello di narrazione: chi era quell’individuo uscito di soppiatto dalla casa di Prissen e consorte? Perché suo marito è stato ucciso? È stato trafugato qualcosa di particolare o è semplicemente stato un furto “finito male”? Questo non è che l’inizio di una trama fitta di particolari, costituita da una rete di personaggi caratterizzati alla perfezione e incastrati tra loro altrettanto bene.

Confesso di essere rimasta senza parole dopo aver letto l’ultima pagina del libro, sperando quasi di essermi sbagliata, che Lo scrigno di Adymair ancora non era terminato, che ci sarebbero stati altri colpi di scena, che tutti avrebbero avuto il loro lieto fine meritato, perché dopotutto la speranza è l’ultima a morire. Peccato che la parola conclusiva “FINE” scritta in maiuscolo, il cui significato così prepotente mi ha tolto il respiro, non ha lasciato spazio a ulteriori dubbi, lasciandomi, poi, in un’apnea tormentosa dalla quale ancora non sono riemersa e probabilmente questa sensazione di amaro in bocca mai mi abbandonerà. Per una romantica ed emotiva come me, potrei anche dirvi che il libro sarebbe dovuto finire in maniera diversa, opposta a come effettivamente è accaduto, ma, se si pensa ai personaggi, alle loro personalità più differenti e disparate, se si rimugina sulle loro convinzioni, alcune andate alla deriva di una fissazione oscura e devastante, tanto da offuscare qualsiasi altra luce benevola in quel buio senza via d’uscita, l’epilogo di ogni vita presente in questo romanzo di Snee Dronningen è giusto e coerente, calzante a pennello al proprietario specifico. Ma noi lettori non abbiamo comunque una vita facile con questo libro: infatti, l’autrice non specifica esattamente cosa ogni creatura nata dalla sua penna si deve aspettare nel suo domani, no, lei si limita a renderci partecipe di un fulmine a ciel sereno, positivo o negativo che sia, abbandonandoci poi in mezzo al niente, ancora scioccati e accecati dalla luce folgorante di quella calamità naturale elettrica. Magari in questo modo la scrittrice permette al suo pubblico di fantasticare su un dopo in cui forse si possono sistemare gli avvenimenti pregressi, in cui si può, anzi si deve, continuare a sperare in un avvenire migliore, in cui noi lettori possiamo crogiolarci nella felicità che, almeno io, tanto auspicavo e desideravo con tutto il cuore.
La lettura è stata davvero intensa e per questo ancora più devastante di quanto potessi immaginare: la curiosità e la voglia spasmodica di sapere e capire, caratteristiche che si annoverano tra le mie peculiarità di lettrice, fin dall’inizio mi hanno invogliata a continuare Lo scrigno di Adymair, in maniera quasi maniacale, senza sosta, perché, più mi inoltravo nel fitto della selva dei capitoli, più, se da una parte alcuni misteri venivano svelati con calma, evitando accelerazioni inopportune nella narrazione, dall’altra nuovi dubbi, nuovi quesiti, nuove domande sorgevano nella mia testa, sommergendola, obbligando i miei neuroni a concentrarmi solo ed unicamente sulla mia lettura, inducendomi a non pensare ad altro all’infuori della storia. Mania questa che credevo si sarebbe dissolta una volta ultimato il libro. Quanto mi sbagliavo! Anche i sentimenti che mi hanno colta decisamente in fallo sono cresciuti con la trama, sviluppati pian piano assieme ad essa e culminati all’ultima riga dell’ultima pagina, dove lì, solo lì, è giunta la stilettata al cuore che sapevo sarebbe avvenuta, ma che, leggendola e quindi vedendola nero su bianco, è diventata reale, tangibile, effettiva e definitiva. Piangere è stata la reazione più ovvia, forse, sentirsi smarrita, spaesata anche e devo ammettere che pure la rabbia sopraggiunta poteva essere prevedibile, eppure, nonostante siano tutti sentimenti quotidiani, all’ordine del giorno per chi legge, posso dire che in questo modo, così travolgenti e forti, delle emozioni così spaventose seppur magnifiche perché dopotutto l’autrice è riuscita a farle scaturire con le sue parole, ancora non le avevo provate: sono rimasta colpita da ciò che ho sentito, folgorata da ciò che, nonostante tutto e soffrendo in silenzio, sono riuscita a digerire, sorpresa anche dal rospo intero che sono stata capace di ingoiare.

Dopo tutto quello che ho detto, dopo tutte le ulteriori scoperte di cui riuscirete a venire a conoscenza solo leggendo Lo scrigno di Adymair, potrei facilmente maledire Snee Donningen, ma invece le dedico una piccola parola per l’immensità senza eguali che è il suo libro. GRAZIE per avermi permesso di leggere la sua storia, GRAZIE per avermi fatto vivere qualcosa di unico e di irripetibile, GRAZIE per tutte le emozioni provate durante la lettura ma che ancora si riverberano nella mia anima.
In ultimo, ma non meno importante, ringrazio Eirien, lei che ha dimostrato un coraggio immenso nelle decisioni estreme che ha preso, lo stesso coraggio che ha decretato il suo destino per sempre, quel coraggio che, di fronte alla scelta più dolorosa da prendere, non l’ha fatta cedere di un millimetro, anche dinnanzi ai sentimenti vigorosi fin troppo radicati in lei, una semplice ragazza, mezza elfa, diventata nella storia una donna, che mai si è lasciata offuscare dal timore e dalla sofferenza del domani.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Lo scrigno di Adymair (La saga completa)
Autore: Snee Dronningen
Casa editrice:
Pagine: 776
Anno di pubblicazione: 2016
Traduttore:
Genere: Fantasy
Costo versione cartacea: 20.79 euro
Costo versione ebook: 2.99 euro