Qual è il sogno più recondito di ogni lettore? Ovviamente, incontrare l’autore che è riuscito a capirgli l’anima per mezzo di pagine ebbre di avventurose vicissitudini, grandioso eroismo e audaci personaggi, triade basilare di elementi narrativi che, se ben giocati nel momento opportuno, sanciranno l’amore incontrastato dell’uditorio nei confronti di un’opera elegante dal merito infinito.
Rammaricandomi di star per barare un pochino, oggi, seppur virtualmente tramite la rubrica delle interviste “nicchiose” Parliamo un po’, vuoi?, interseco il mio cammino con quello di Fabrizio Roscini, autore del romanzo storico La verità del sangue.

Dopo aver definito il suo libro con gli aggettivi Promettente, Completo e Veloce nel Thr33 Words che domenica gli ho dedicato, questa mattina conoscerete insieme a me l’autore in maniera oltremodo ravvicinata, curiosando un po’ tra le righe della storia di Etèocle e Arcade, senza però disdegnare qualche informazione inerente allo scrittore stesso.

 

Buongiorno, Fabrizio! Prima di tutto, ti ringrazio per essere qui a La Nicchia Letteraria, identificando un onore immenso per il mio piccolo anfratto blogosferico: ho sempre ritenuto un piacere dialogare con gli autori, soprattutto se davvero molto promettenti come sei tu, sia in merito alla loro persona, giusto il minimo per curiosare un po’ e non sembrare soltanto una gran ficcanaso, sia per scoprire qualcosa in più sui loro “figli di carta”, prendendo, quindi, all’amo l’occasione di chiacchierare senza freni e carpire materiale atto a tenere sulle spine i miei followers fino al loro prossimo lavoro.
La prima domanda che ti pongo è questa: considerato il tuo evidente studio in merito al panorama storico nel quale hai deciso di ambientare La verità del sangue, una forte ricerca che ho potuto evincere non solo attraverso la storia stessa dei due fratelli protagonisti, ma anche nelle note di tuo pugno a chiusura del libro, sei sempre stato un appassionato della materia? Come ti sei avvicinato a essa?

✒ Sì, non amando le storie stereotipate ho dovuto calarmi totalmente nella realtà sociale del tempo per coglierne le sfumature. Così ho dato vita a storie intricate che avevano però bisogno di un riepilogo tre le note finali per riordinarsi. È stata una documentazione lunga, ed essendo il mio modo di essere un po’ perfezionista, non volevo lasciare niente al caso. Sono appassionato di storia antica da sempre, tanto da laurearmi alla Sapienza in Storia e fin da bambino mi sono cimentato nella lettura di romanzi storici sempre più difficili, cercando di imitarli a mio volta con qualche racconto. Una volta preso coraggio ho iniziato la stesura di questo romanzo, e man mano che crescevo il libro maturava con me. L’ho riempito con nuove conoscenze acquisite nel tempo, cercando di rendere i miei personaggi sempre più complessi e ovviamente sempre più verosimili al mondo dell’epoca.

Attraverso questa tua opera prima, hai generato due personaggi principali davvero differenti tra loro, da una parte, un giovane riflessivo che, avendo tanti dubbi esistenziali, indaga costantemente sul sé e sul suo prossimo, dall’altra, un ragazzo fattosi subito uomo che della gloria si vuole nutrire e del prestigio desidera farsi effige: oltre a chiederti quale preferisci tra l’Ateniese e lo Spartano, ti senti più impulsivo ed energico come Arcade o meditativo e pacato come Etèocle?

✒ Ti dico la verità: all’inizio mi sembrava di far crescere due protagonisti molto simili fra loro, ma scrivendo ho visto come entrambi maturassero quasi da soli, per due strade diverse e opposte fra loro. È stato complicato farli vivere in un mondo che tendo a far franare sotto i loro piedi, un mondo che li fa soffrire e che impedisce loro di raggiungere la serenità. Non so se preferisco uno rispetto all’altro, e anche se fosse probabilmente non lo direi. Posso dire che in tutto il romanzo non c’è un personaggio in cui mi immedesimo, ma credo di essere per alcuni aspetti in ognuno di essi. Anche per esempio nel Persiano Ganzak ritrovo molto di me. La sua curiosità e il rispetto profondo che prova per la vita altrui e la natura che lo circonda lo ricollego a me.

Per come li hai dipinti fra le tue righe emozionanti e cariche di aspettativa, Cleone e Brasida rappresentano due esempi oltremodo opposti di fieri condottieri, il primo decisamente legato alla sete di potere personale per guadagnare la quale non si fermerebbe davanti a niente e nessuno, il secondo vincolato con un indistruttibile filo rosso sangue alla gloria dei suoi concittadini in virtù della massima libertà dai gioghi avversari: al giorno d’oggi, credi che potrebbero esistere figure così nette nell’animo da permettere alla ovvia rappresentazione di primeggiare sulla nemica gemella oppure, quale dimostrazione di evidente dualità, un uomo carismatico possederebbe l’innata abilità di nascondere dentro di sé entrambe le facce della medaglia?

✒ Qua fra i due non ho problemi a dirti che preferisco nettamente Brasida. Limpido, fiero, sa quello che vuole, anche se la legge immutabile di Sparta parla chiaro e neanche un leader come lui può sottrarsi al suo giogo. Cleone invece mi ricorda tanto chi si pavoneggia oggi sui social senza reali contenuti, solo per dare il contentino a chi li segue. Senza cadere nel qualunquismo, Cleone è esattamente l’uomo solo al comando che pensa di poter far tutto da solo calpestando diritti e libertà di chiunque. Ma di fatto è solo un abile politico che tende a promettere il meglio per Atene e i suoi cittadini senza sapere come fare. Sfrutta il malcontento per ottenere guadagno dalla guerra, essendo un venditore di pelli, materiale essenziale per le armature di molti soldati.
Brasida non è uno stupido né tantomeno altruista, ma al contrario di Cleone guarda prima alla gloria della sua patria, Sparta, e poi alla propria. È un uomo lungimirante, quasi fuori dal suo tempo, e oggi credo sia difficile rintracciare leader così carismatici che inseguono qualcosa di più alto valore rispetto al proprio tornaconto personale.

Sottolineando, in particolar modo, il periodo ateniese fra le cui mura hai scelto di ambientare il tuo esordio nel mondo della scrittura, hai, per caso, un filosofo preferito dell’epoca che avresti cura di segnalarci? Come interpreti tu la citazione di Socrate posta all’apertura della seconda parte de La verità del sangue, Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare?

✒ Un periodo storico con tante sfaccettature. Atene è riuscita ad attrarre i migliori artisti e filosofi mentre disseminava tirannia e soprusi fuori le sue mura. Il mio filosofo preferito è proprio Socrate, che mi è piaciuto descrivere dall’esterno, quasi per non rovinare la sua natura e complessità originale. La sua filosofia ricorda tanto il mio modo di ragionare. Farsi domande, pensare criticamente, cercando di estrarre il meglio dalle persone, renderle consapevoli del mondo in cui vivono. Come appunto la maieutica di Socrate che, prendendo come esempio la levatrice, sosteneva bisognasse estrarre il seme della riflessione dalla mente degli individui. Poi ognuno è fatto a suo modo, non bisogna costringere nessuno a seguire una linea. E qui veniamo alla citazione che hai sottolineato. Viviamo nei luoghi più diversi e l’ambiente e il mondo sociale che ci circonda ci influenza, non possiamo pensare che l’educazione sia univoca in ogni luogo. L’importante per me è stimolare la curiosità, poi ognuno troverà la sua strada.

Per chiudere alla grande il nostro minuto botta e risposta alla cui partecipazione, ancora una volta, ti ringrazio davvero tanto, ti chiedo di far felice una tua fan in trepidante fibrillazione: per caso, stai già lavorando a un’altra storia oppure ti è “solo” balenata nella mente un’idea che devi ancora sviluppare?

✒ E io ringrazio te per l’intervista concessami. Non vorrei dare troppe anticipazioni ma non posso nascondere di aver già in mente un paio di lavori. Uno sta prendendo piede con i primi appunti e le prime documentazioni. Il periodo c’è, la storia a grandi linee pure. Fra un po’ di tempo potrò dare a tutti più dettagli.