Avete presente quel magico istante durante il quale, fra le novità letterarie a disposizione per noi ingordi delle pagine e della china, appaiono selvaticamente libri molto intriganti di scrittori altrettanto ignoti per le nostre librerie pullulanti sensazionali testi di ogni genere che fanno pure l’impossibile per accaparrarsi la nostra fremente attenzione da rapaci predatori, concedendoci la necessaria e sufficiente curiosità per decidere di fare un acquisto a scatola chiusa pur di possedere tale squisitezza le cui lodi grondanti magnificenza vibrano nel nostro spirito per essere celebrate nel migliore delle infinite possibilità a cui attingiamo senza posa?
La vulcanica fucina di idee Chiara del blog La lettrice sulle nuvole ha pensato bene di usufruire della suddetta contingenza molto diffusa tra gli appassionati della lettura, plasmandola con accortezza per dare vita a una nuovissima rubrica che ha voluto di condividere con le sue colleghe blogger, Ci provo con…, un appuntamento mensile in data 28 che permette di affrontare prima e recensire poi l’opera di un autore cui il nostro occhio indagatore non aveva mai avuto l’occasione di fronteggiare per un qualsivoglia motivo irrilevante, ragione sistematica che evapora di fronte al concreto sdoganamento della nostra abituale routine, enorme cambiamento improvviso che, possedendo l’alta probabilità di farci apprezzare un’inedita modalità di scrittura, incontra il nostro personale gusto attraverso un percorso diverso rispetto l’usuale staticità dell’abitudine: desiderando davvero partecipare all’iniziativa poiché, sebbene la mia evidente parsimonia nel pubblicare articoli sul blog sia ormai notoria a tutte le creature dell’universo conosciuto e non, adoro riservare un piccolo angolino “nicchioso” a simili progetti dove il cameratismo diventa l’ingrediente segreto di un’antica ricetta gourmet capace di accontentare l’assortita totalità dei palati in attesa, ho aderito al rendez-vous di aprile con Fabrizio Roscini, un giovanissimo paroliere che, tramite Leone Editore, è approdato al molo ospitale degli artisti letterari con 497 pagine riflessive di pura epicità, un susseguirsi longevo di eventi nella risma del quale si dipanano intrighi e macchinazioni in grado di rivoluzionare, oltre alla canonica esistenza dei personaggi coinvolti in prima persona, il mondo degli spettatori non paganti, variegato insieme di coraggiosi avventurieri che, toccati dai lessemi adottati con dovizia di particolari, rimangono sicuramente sorpresi da un’opera del cui riverbero d’esordio detiene solo il nome di battesimo.

Qual è la paura più grande del lettore in procinto di cimentarsi nell’ouverture di un narratore in erba, ansiosa debuttante dell’alta società che, infiocchettata con pizzi e merletti dal bianco candore, è pronta a brillare di luce riflessa, scendendo dalla maestosa scala d’entrata ai piedi della quale gli astanti possono osservare l’incedere principiante dell’elegante festeggiata, esemplare imberbe di donna che, corona in testa alla regale acconciatura laccata, esibisce al mondo con un ventaglio spensierato di emozioni aperte al ricevimento più palese?
L’ovvio timore che ha l’abilità innata di sorgere nella condizione sopra menzionata è legato a doppio filo con la misteriosa oscurità aleggiante lo stile ancora non definito del romanziere in questione, forma espressiva per mezzo della quale il musicista dei vocaboli si assicura un canale privilegiato di trasmissione con i diretti interessati della carta inchiostrata, frequenza d’onda non troppo battuta che predilige l’impagabile rarità della scoperta alla proverbiale baraonda del traffico mainstream: l’inesistente preparazione al ciò che verrà, originata fondamentalmente dall’ignoranza consapevole a riguardo, dispone a pieno titolo del nostro essere succubi di un rebus impossibile, segnali disparati che, al pari di tasselli appartenenti a un cervellotico mosaico, rivelando la loro incolmabile presenza, liberano dall’agognata mancanza, illogica scarsità che, invece di apparire penuria carente del giusto fabbisogno, rappresenta il punto di forza centrale, ganghero assiale che delle basi incarna la mera essenzialità funzionale, dissennate meraviglie sempre dietro l’angolo per cui premunirsi risulta la corretta strategia da abbracciare con grinta e ostinazione massime.
Infatti, sorprendendomi in positivo come ben poche volte mi è capitato, attraverso La verità del sangue Fabrizio Roscini ha dimostrato un talento oltremodo Promettente che ha reso memorabile la sua presentazione di novelliere all’uditorio, un impiego davvero azzeccato per la sua persona poiché, fin dall’incipit, ha esplicitato una discreta bravura nell’accompagnare il naufrago dei suoi capitoli rasente gli abissi di Etéocle e Arcade, storia elargita con una correttezza di linguaggio tale da permettere un’assoluta immedesimazione sia vagliando una prosa fascinosa atta a inquadrare le dinamiche tortuose del periodo storico di ambientazione sia esaminando le dirette comunicazioni fra i personaggi concernenti gli intensi botta e risposta dall’acuta meditazione irradiata, ars scribendi dalla vittoria in tasca che, pescando all’amo, cattura il bottino più ambito, quel vivace lettore che ancora, nonostante tutto, riesce a stupirsi.

Quante volte succede che un lettore forte inciampi in maniera accidentale nel volume Completo, inaudita utopia di carta stampata che, vestendo i panni dell’assurda chimera, si fa portatrice sana di incancellabile perfezione, compiutezza generale di quisquilie all’ingrosso nel cui vocabolario “lasciare al caso” non trova rifugio alcuno, ulteriore posto a tavola che, però, risulta assegnato all’ennesima inezia vertente la storia esposta agli occhi di tutti, sguardi indagatori che reperiscono l’adatto nutrimento al loro spirito insaziabile alla costante ricerca di piccolezze da rifinitura integrata?
A meno di non mentire il più spudoratamente possibile, la rarità della circostanza poc’anzi citata è così lapalissiana che, di frequente, nessuno mai si aspetta davvero l’opposto, quella situazione visionaria in cui l’equilibrio irreprensibile delle parti coinvolte emerge dai recessi di un mare in sempiterna burrasca, Atlantide perduta che solo i fortuiti impavidi dell’oceano d’inchiostro possono permettersi di approdarvi incolumi: che siano i personaggi a non disporre della piena e opportuna caratterizzazione, soddisfacente presentazione dei figli di carta grazie alla quale il lettore percepisce la cristallina empatia da relazione indissolubile, granitico vincolo da unione astrale cui consente di immaginare nella misura appropriata le traversie vitali degli altri, o che siano le descrizioni di contorno a manifestare povertà negli argomenti trattati, viva carenza evidente in merito alla trasposizione di azioni a effetto nelle quali la mischia si scopre avviluppata suo malgrado, fantasioso svolgimento di trama paralizzata in cui dimentica la sua essenza multiforme per sostenere l’immobilità del raffermo, il disastroso risultato di termine rimane sempre il medesimo, zoppa sommità di una climax ascendente dove individuare il trionfo eclatante della sordida sconfitta.
Eppure, visto che proverbialmente le regole esistono per essere infrante alla stregua di vetri distrutti dal fuoco irruente nel gettarli, le sporadiche eccezioni non tardano di certo ad arrivare, ventilando un pomeriggio spensierato di indaffarata lettura con l’improvvisata dell’inopinato e sbalorditivo, coniglio bianco estratto dal tipico cilindro che un mago eccezionale ha voluto conferirci quale regalo inestimabile di tempi ormai andati: suddividendo l’opera con una giusta armonia tra panegirici di resoconti scenografici e orazioni concernenti dubbi amletici da realtà non abitata, per mezzo di una valente destrezza fuori dal comune poiché propria di uno scrittore veterano, Fabrizio Roscini ha generato per il pubblico un’insigne opera dall’ottima qualità schierata, prodiga interpretazione non plus ultra dell’epoca di riferimento e dei characters a essa assegnatali, quasi a sottolineare che insieme è decisamente meglio.

Sapete qual è una delle caratteristiche principali per cui il lettore medio sceglie volutamente di non affrontare uno specifico titolo che magari non solo appartiene da mesi e mesi alla sua lista To Be Read in continua espansione galattica a causa delle novità letterarie sbarcanti ogni giorno il lunario dell’effettiva pubblicazione, ma merita pure di essere divorato seduta stante come un qualsiasi testo diverso da sé attirante il medesimo livello considerevole di interesse non obbligato nei suoi riguardi?
Molto spesso, il tallone d’Achille di un libro risiede nella sua voluminosa lunghezza, impegnativa corposità che, per sua inclinazione naturale, provoca un malessere angoscioso nei titubanti da onere cartaceo, quelle stesse persone che, di fronte al lampante dato di fatto, trovando un’ammissibile prova alla rinuncia definitiva, abbandonano la nave prima ancora di salpare all’avventura, eroiche peripezie di cui certuno non riesce a padroneggiare l’antica arte, una virtù speciale afferrando la quale si può porre l’onesto contrasto all’equivalente ostacolo: le tali bestie rare della letteratura, dopotutto, fruiscono dell’elevato pericolo di trasformarsi in un pesante laterizio da smaltire, macigno indigesto che, deponendosi sulla bocca dello stomaco, rilascia pian piano il veleno dell’avversione capitale, ragguardevole tossicità che infiamma, decide e preclude, triade personale di ripercussioni esclusive in grado di modificare la rotta maestra cambiando gli intenti ultimi, drastico capovolgimento per colpa del quale una seconda chance è bandita dalla mappa dettagliata del caotico fato.
Tuttavia, nell’attimo durante il quale mi sono sentita pronta a cominciare davvero La verità del sangue, tenendo anche conto della notevole paura di cui vi ho istruiti nelle precedenti righe esaustive, ho ricevuto dal destino l’opportunità di ricredermi totalmente su quanto avessi calcolato non lesinando sulle inezie più dettagliate, scaglie illimitate di mostruosi pregiudizi che, prima ancora del lancio nel vuoto, avevano congetturato la mancata apertura del paracadute: nonostante la malcelata perspicuità di un troppo sollecito finale leggendario, chiusura risolutiva del tondeggiante elaborato di Giotto dove ogni punto della circonferenza ha ottenuto, a seguito del giusto tempo, il posto a sé confacente, distinto luogo raggiunto, però, con la voracità di chi brama sapere senza capire, come se, alla fine, si fosse a corto delle stesse parole usate con debordante ricchezza nelle due sezioni già tramontate, Fabrizio Roscini è stato Veloce nel dispensare il proprio esordio letterario a scapito della mole antonelliana di capitoli a cui ha donato la vita.
Perché, anche se la matematica non è un’opinione, in questo caso non è affatto una certezza.

 

 

Si ringrazia la casa editrice Leone Editore per la copia ricevuta in omaggio.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: La verità del sangue
Autore: Fabrizio Roscini
Casa editrice: Leone Editore
Pagine: 497
Anno di pubblicazione: 2019
Genere: Narrativa storica
Costo versione ebook:
Costo versione cartacea: 14.90 euro
Link d’acquisto: Amazon
Sinossi: Antica Grecia, V secolo a. C. Due giovani di città diverse, due combattenti, lo spartano Arcade e l’ateniese Etèocle, vivono senza sapere del legame di sangue che li unisce. Il primo è un uomo forte e deciso, che sogna la gloria militare e desidera una relazione libera con la donna che ama; il secondo è più pacato e introspettivo, interessato prima di tutto a trovare una dimensione all’interno di una società che non comprende più ed è tormentato da un passato pieno di dolore. Dopo aver combattuto come avversari, la scoperta di essere fratelli sconvolge le loro certezze. Delusi e traditi, perché sentono di aver perso i valori della patria, abbandonano la loro missione per mettersi alla ricerca del padre perduto, per scoprire la verità nascosta dietro un silenzio durato tanti anni. Li aspetta un lungo viaggio, pieno di pericoli e di incontri inaspettati, che li porterà a una rivelazione finale, che cambierà per sempre le loro vite.