Quale persona dal multiforme eclettismo in cui diversità coniugate attraverso uno sposalizio comune fomentano numerosi interessi capaci di prosperare con lo scorrere degli anni raggiungendo un livello di grandiosità sempre più vicino all’apice di un’intera esistenza, fin da che ne custodisco, con gelosia, la memoria inerente, oltre all’incondizionato amore nutrito nei riguardi dei nostri cari amici libri, una passione ben radicata che tutti quanti voi, conoscendone ormai la natura intrinseca, rispettano e condividono ampiamente, confesso di possedere anche un’inclinazione di tutto rispetto nei confronti della mitologia, eccezionali leggende dal sapore antico che dispongono dell’abilità di riverberare nel nostro animo definendosi come insegnamenti di vita dai quali trarre benefici assoluti, eco significativa di palesi allegorie che ci rammentano, fra le curiali parole adoperate nel recitare tali vetusti episodi di ordinaria follia dichiarata in pompa magna, quanto l’imperfezione appartenga davvero a ognuno di noi, in particolare a quella fiumana di gente che, credendosi già degna dei regali ottenuti giorno dopo giorno, si riscopre il proverbiale sordo non desideroso di ascoltare.
Grazie alla rubrica che Susy vi ha dedicato sul proprio rifugio letterario I miei magici mondi, venuta a conoscenza della mia robusta e immensa propensione al favoloso universo dove i protagonisti indiscussi sono le irrequiete divinità e gli esuberanti mortali, spinta dalle sue usuali idee di incastrarmi a ogni costo negli eventi da lei organizzati alla stregua di un tetramino da videogioco arcade, la mia prima amica e poi collega blogger mi ha convinta a partecipare al Review Tour dedicato al libro Circe di Madeline Miller, un’incantevole pubblicazione in data 14 Febbraio della casa editrice Sonzogno che ringrazio caldamente della copia digitale elargitami: disseppellita dai ricordi più gradevoli delle superiori la mia interpretazione teatrale della maga di Eea e della consorte di Odisseo, un doppio ruolo obbligato dall’ovvia penuria di esponenti del gentil sesso nella mia classe del liceo scientifico, ho accettato con trepidazione e felicità intense l’invito ricevuto, pur alimentando, tuttavia e malgrado ciò, una paura giustificata nel cuore poiché spesso, nell’attimo durante cui si conosce, tramite il classico battesimo del fuoco, un nuovo paroliere dai lessemi facili, è quasi immediato e, per giunta, lapalissiano scontrarsi con un gigantesco ostacolo da dover superare a ogni costo, prova di sopravvivenza che saprà sia temprarci sia sfinirci, una specie di dimostrazione mediante la quale decidere le sorti dell’autore nell’attuale mirino da killer di pagine e inchiostro.
Fortunatamente per me, come vi illustrerò nell’odierno Thr33 Words, la scrittrice bostoniana mi ha conquistata dall’inizio alla fine della sua opera straordinaria, un testo curatissimo che non solo ci illustra, usufruendo di una versione oltremodo innovativa, un character conosciuto dai più, ma ripropone ex novo personaggi noti, adesso secondari, diversi dal nostro immaginario di sempre, ribaltamento di parti che, non stonando, dona ennesima armonia al pentagramma di per sé già ultimato, note melodiose che, al pari di una cantilena dal retrogusto dolce e amaro insieme, da un lato, sospingono l’avanzata del lettore per la frenesia di conoscenza e, all’opposto, bloccano l’incedere dell’avventuriero costringendolo a forti riflessioni sul mondo reale a cui appartiene.

È giusto affermare che l’unica conseguenza possibile della malvagità più feroce e perpetrata con successo sul prossimo sia ulteriore cattiveria che da altrettanta si trasforma in estremizzata fino all’assillo, un cambiamento massimalista nello spirito del ricevente dovuto all’avvenimento per cui, durante il periodo di incarnazione a punching ball altrui, il bersaglio dello spietato arco teso con lampante eccesso percepisce nell’animo un’esasperante stanchezza da cui vuole assolutamente fuggire affinché le membra alle quali fa capo riescano non solo a inalare il mero vento di libertà da raggiungere grazie alle ali di un destino in conclusione benevolo, ma anche a riposarsi dopo i continui sballottamenti causati da un fato avverso capace solo di sogghignare, deridendo chiunque abbia la sfortuna nel cadere in tranelli da cui scappare, una volta inciampatisi di slancio, è da considerarsi improbabile se non addirittura impossibile?
Se si decide, in maniera consapevole, di fermarsi un attimo, mettendo in pausa la vita frenetica alla quale partecipiamo in modo tanto solerte quanto alacre, e di riflettere sulle persone che ci circondano volenti o nolenti, prestando una maggiore attenzione alle scene svolgenti sul palco dell’esistenza reciproca, ci si può accorgere di quanto, troppo spesso, pure mediante le azioni così innocenti da personificare il giglio per antonomasia, l’uomo covi nell’intimo la disgraziata propensione congenita a ferire l’altro compiacendosi dell’effetto provocato: che la ricerca dello smacco sia riconducibile alla manifestazione di un qualche sentimento ostile nei confronti dell’emblematica vittima sacrificale dall’ostentata e consapevole ingenuità di chi ancora nutre fiducia nella propria specie o che sia l’aspirazione maniacale nel volersi affermare, a ogni costo, migliori verso un simile innocuo ed estraneo a una siffatta questione dall’adiaforo retrogusto di pleonastica futilità, pare che, sdoganato dalla sua natura versatile, il pretesto giustifichi la messa in atto come se il soggetto non si curasse di alcuno degli esiti a seguire, stiletti affilati che graffiano e distruggono quanto di buono nel diverso alberga con pensione completa.
Quasi agognasse evidenziare una corrispondenza biunivoca tra la finzione magicamente narrata e la tangibilità dolorosamente da vivere, al pari di uno specchio che riflette quanto viene offerto tutti i giorni ai coraggiosi con l’onere forzato di ricevere silenziosi i doni dell’oggi, attraverso la trattazione serrata di vili tiri mancini dalla perspicace attitudine all’espandersi come macchia d’olio e tragedie annunciate in anticipo a cui il pubblico astante deve assistere svilito e impotente, in Circe Madeline Miller presenta al lettore una serie di crudeli vicissitudini dalle quali la protagonista non può tirarsi indietro, folta miriade di negligenze da tollerare e superare per le quali un comune (im)mortale all’assidua ricerca di sincerità e limpidezza nell’altro sarà costretto a lottare pur di non inchinarsi alla realtà dei fatti, un succedersi infinito di prepotenze inaudite che, nonostante la scia ripugnante lasciata dopo il loro passaggio strascicato, non spegne nei temerari la fiamma di conoscenza per la cui vittoria il contendere assume il ruolo fondamentale in scena, quell’ulteriore stimolo idoneo a rimettere in gioco entrambi i duellanti, propendendo, adesso, nella direzione dello svantaggiato che, sebbene le sue convinzioni abbiano dovuto accettare l’esatta probabilità di tradursi nell’errore più grande da commettere, non perde per intero la ragione, in particolare se dietro l’angolo qualcuno lo attende a braccia aperte con l’unico scopo di trasmettergli quanto cercava fin dalla sua nascita.
Perché, alla fine dei conti, non tutti sono malvagi: basta cercare bene dove non si pensa di trovare.

Nell’istante in cui uno scrittore identifica il topic da affrontare nella sua opera in gestazione, prima ancora che l’incipit della stessa sia in grado di vedere la luce nella fanciullezza di china all’apertura di un prologo bramoso dello sguardo di un generico lettore capace nell’impresa di sbranarlo in breve tempo se, chiaramente, la pietanza considerata risulta essere di suo gradimento, al tale punto sopraggiunto la sua totale attenzione sarà calamitata dal desiderio nel conquistare un fondamentale distinguersi pertinente alla trattazione dell’argomento scelto, anormalità necessaria qualora si volesse esercitare una manovra persuasiva nei confronti di un ipotetico pubblico sempre alla ricerca di novità nell’usuale, quell’Originale componente grazie al quale, insieme al suo libro, un paroliere riesce a distinguersi con una voce fuori dal coro che, urlando, si imprime nei cuori di chi, fin dal principio, si è messo in gioco per ascoltarla davvero e comprenderla al meglio delle proprie possibilità.
Eppure, ogni volta che l’autore, nei panni del più talentuoso dei cecchini, indirizza il suo mirino là dove i soprannominati retelling prendono forma dalla selva infinita di concrete opportunità fra le cui alternative spaziare a piacimento, quelle famose rivisitazioni di storie già incontrate in precedenti viaggi letterari o, comunque, così notorie da non obbligare l’avventuriero a uno studio approfondito della materia poiché ormai saputa a oltranza, dal baratro degli imprevisti accidentali emergono problematiche diffuse di adattamento per le quali, nelle precise occasioni esonerate dall’adesione in massa a inflessibili imposizioni da non poter respingere al mittente, il maestro dei lessemi deve rimboccarsi le maniche affinché la resa ultimata dalla sua penna scaturita incarni il giusto traguardo da perfetto sodalizio, ravvicinato meeting dai toni soavi che acconsente alla magnanima confluenza di visto e non visto, rivoluzionario e conservatore che insieme si completano e a vicenda si escludono, affascinanti trasformazioni che, sebbene, abbracciando contesti affini al sopraddetto, una celebrità evergreen di paragrafi in evoluzione dovrebbe quantomeno paventare per la sua propria incolumità, sorprendono in positivo recando, a cavallo di fresche ventate avvolgenti, diverse prospettive la cui evidente bellezza necessita dal prossimo individuazione e idolatria a profusione: riscontrando, fin dalle battute d’esordio, una mirabile attinenza a fatti citati dai supremi e precedenti colleghi la cui insigne risonanza tutt’oggi viene distinta nelle arterie stampate con nero di seppia, legame indissolubile che solo un bravo professionista può generare dal nulla di lettere tratteggiate a seguito di un riassemblaggio coartato di tasselli affiorati sul pelo dell’acqua dopo un antico frazionamento del mosaico poc’anzi terminato con ovvie scrupolosità e fatica, minuzioso lavoro impegnativo che rende l’esito finale di Madeline Miller in maggior misura degno di nota, Circe racconta dell’omonima dea figlia di Elios e Perseide, una donna con il requisito di spiccare nel mucchio non tanto per la sua essenza divina dai lampanti natali ma quanto per il carattere umano ereditato dal mondo per lo stesso, un bislacco grido di protesta che si innalza all’empireo Olimpo in una prima persona narrativa dalla lapalissiana unicità di genere, a volte diretta, come una freccia scoccata dall’Atena vendicatrice a riprova della sua effettiva parte in causa, a volte confusa, al pari di un cieco nel buio della sua vita, quasi volesse enfatizzare la speranza di estraniarsi dal sé, in entrambi i casi rendendo più partecipe un uditorio costantemente in attesa della sua prossima mossa, spontanea strategia che di banale non possiede nulla poiché nell’oscuro si forgia, plot twist del quale cibarsi senza mai esserne realmente sazi.

Qualora il vostro spirito errabondo di frequente concentrato nella perpetua e sempiterna indagine della preda dalle succulente e ambite carni impazienti di essere sfogliate sia depositario di quell’affetto profondo che, come già annunciato nell’introduzione all’odierna recensione, la qui presente Lady C. coltiva, senza remore né vergogna, nei riguardi della mitologia classica, una succursale della letteratura che sono stata fortunata ad affrontare durante il mio percorso di studi prima dell’università e continuare attraverso letture personali da incallito topo di biblioteca, passando per i giusti approfondimenti online così specifici da far impallidire, al loro cospetto, un internauta veterano, saprete bene quanto me che lo stile della prosa epica non è il risultato di un pescaggio casuale dall’immenso stagno ove numerose fogge variegate sguazzano placidamente tenendosi pronte per la venuta dell’attimo sagomato in via esclusiva a loro, misura sartoriale che calza a pennello solo nei confronti di chi si è visto cucire addosso il tale vestito, al pari di una seconda pelle da muta rettiliana, ma è l’esito di una certosina ponderazione tenente conto della moltitudine impressionante di variabili aleatorie per le quali una minima distrazione in atto potrebbe risultare fatale e fuori discussione: se, in primo luogo, balzano allo sguardo pronto e accorto del viandante di pagine e inchiostro, da una parte, il dizionario adottato, l’unico canale di trasmissione che, fungente da ricco veicolo munito di nobiltà ineccepibile, accompagna con la calma del saggio il volenteroso e coraggioso pubblico in una rara avventura impreziosita con gemme lavorate appena dal valore non quantificabile, dall’altro lato, il significato connaturato, un’oasi paradisiaca che, tra le righe in successione, spicca in bellezza e virtù, un rifugio blindato che solo il premuroso e l’interessato sapranno cogliere in fallo, è l’epoca nel corso della quale l’opera è stata elaborata a costituire il principale motivo di determinate scelte espressive, decisioni basate su un oggi che era ieri e domani non sarà più, istantanea fossilizzata a un’era in cui eccellere con raffinatezza e solennità era un assodato e scontato modus operandi.
Tuttavia, sebbene un qualsiasi orologio non menta nell’attestare con criterio la lontananza temporale dagli albori di un genere ancora oggi intramontabile, nel nostro firmamento di modernità culturale possiamo comunque annoverare un’incessante pioggia di meteore luminescenti, notte di San Lorenzo, anticipata o posticipata che dir si voglia, cui, con cadenza giornaliera, scombussola ed esalta la totalità degli amanti dei libri, circolo ristretto di persone che, forse possedenti un abbonamento da cliente svezzato anni addietro, rimangono sgomenti davanti alla bravura di certuni talenti dimostrantisi fuori dal comune e, perciò, fortuna ringraziando, dentro il nostro periodo esistenziale che si trasforma in un atollo ricercato: aggiungendo l’ennesimo punto a favore all’ormai jackpot ottenuto con successo meritato, Madeline Miller in Circe facilmente palesa, dall’inizio alla fine della sua memorabile opera, un’impronta manuale dalla Conturbante sostanza che è in grado di razziare il terreno fertile ceduto, di gran lena, dal malcapitato lettore, vittima scelta che si offre, in modo spontaneo e consapevole, al martirio delle parole, vocaboli palpitanti che esumano dall’oblio della glaciale stasi emotiva l’interezza del bagaglio sentimentale, accelerazioni e decelerazioni di un cuore che sarà provato senza alcuno sconto, amando con la protagonista, odiando con quest’ultima, scambio equo di emozioni distruttive che avvicinano due animi in tormento, la maga di Eea, che pare esistere solo per essere ferita impunemente, e l’astante, che sembra essere coinvolto a trecentosessanta gradi, un tutto tondo vertiginoso che, cogliendo impreparati e lasciando esanimi, permette al duo di vivere l’inimmaginabile, il più possibile.

 

 

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Circe
Autrice: Madeline Miller
Casa editrice: Sonzogno
Pagine: 496
Anno di pubblicazione: 2019
Genere: Miti, Leggende, Narrativa
Costo versione ebook: 9.99 euro
Costo versione cartacea: 19.00 euro
Link d’acquisto: Amazon (ebook), Amazon (cartaceo)
Sinossi: Ci sembra di sapere tutto della storia di Circe, la maga raccontata da Omero, che ama Odisseo e trasforma i suoi compagni in maiali. Eppure esistono un prima e un dopo nella vita di questa figura, che ne fanno uno dei personaggi femminili più fascinosi e complessi della tradizione classica. Circe è figlia di Elios, dio del sole, e della ninfa Perseide, ma è tanto diversa dai genitori e dai fratelli divini: ha un aspetto fosco, un carattere difficile, un temperamento indipendente; è perfino sensibile al dolore del mondo e preferisce la compagnia dei mortali a quella degli dèi. Quando, a causa di queste sue eccentricità, finisce esiliata sull’isola di Eea, non si perde d’animo, studia le virtù delle piante, impara a addomesticare le bestie selvatiche, affina le arti magiche. Ma Circe è soprattutto una donna di passioni: amore, amicizia, rivalità, paura, rabbia, nostalgia accompagnano gli incontri che le riserva il destino – con l’ingegnoso Dedalo, con il mostruoso Minotauro, con la feroce Scilla, con la tragica Medea, con l’astuto Odisseo, naturalmente, e infine con la misteriosa Penelope. Finché – non più solo maga, ma anche amante e madre – dovrà armarsi contro le ostilità dell’Olimpo e scegliere, una volta per tutte, se appartenere al mondo degli dèi, dov’è nata, o a quello dei mortali, che ha imparato ad amare. Poggiando su una solida conoscenza delle fonti e su una profonda comprensione dello spirito greco, Madeline Miller fa rivivere una delle figure più conturbanti del mito e ci regala uno sguardo originale sulle grandi storie dell’antichità.
Sulla base di una solida conoscenza delle fonti e di una profonda comprensione dello spirito greco, Madeline Miller torna a raccontarci, nel suo stile avvincente, una delle figure più affascinanti e misteriose del mito e a offrirci un sapiente panorama delle grandi storie dell’antichità.