Nel mare di carta e inchiostro che sa attorniare benevolmente uno spirito alla costante ricerca di inedite avventure scritte da vivere sulla pelle, cavalloni di realtà lontane che, esperti, trascinano quelle vittime consenzienti in girandole capaci di stregare i naufraghi delle pagine, sbalordendo il loro raziocinio fremente che attende il momento perfetto con lo scopo di farsi travolgere e spera in universi paralleli dove respirare a pieni polmoni atmosfere da sogno dall’essenza frusciante, accelerando i battiti dei loro cuori in così profondo ascolto da poter captare un qualsiasi suono in ricezione, bisbiglio flebile di capitoli in svolgimento che fremono al pari di stalloni a briglia sciolta e smaniano dalla voglia di essere uditi davvero, chi decide di tuffarsi in un nuovo viaggio stampato può nuotare indisturbato nelle limpide acque, per l’occasione, ospitanti il suo corpo martoriato dalle ferite del quotidiano, scegliendo in maniera oculata quale elisir letterario di perenne giovinezza ingollare nell’attimo preso in esame, alternativa vagliata con le giuste elucubrazioni del caso, ponderate secondo le preferenze abituali dell’uno e le inclinazioni correnti dell’altro, decisione dell’istante che, guidata dalle opzioni del passato, incide a fuoco quelle dell’avvenire.
In un simile contesto, privilegiare determinati generi a discapito dei loro colleghi di ventura è una pratica assai comune, soprattutto quando il diretto interessato si convince che andare sul sicuro sia la strategia migliore per vincere la battaglia e godersi il trionfo conseguente; tuttavia, osare e uscire dal limitare del proprio giardino potrebbe rivelarsi la soluzione a ogni problema effettivo, piano B che spodesta l’A e conquista la ribalta a cui aveva sempre assistito, obbligato, da dietro le quinte. Perciò, conscia dei suddetti assi nella manica che avrei potuto sfoggiare negli episodi più ad essi confacenti, seriamente intenzionata a cambiare rotta sul breve periodo per assaporare piatti gourmet non consueti per il mio palato abituato all’opposto, quasi con il traguardo ultimo di celebrare il risveglio dal sonno profondo che mi attanagliava ormai da mesi non quantificabili, ho deciso di leggere Bugiardo, l’esordio nel mondo della scrittura di Phoebe Morgan, un’autrice che ho scoperto grazie a Leone Editore e alla copia cartacea inviatami gentilmente dalla stessa casa monzese: il thriller, del quale parlerò oggi nel presente articolo della rubrica Thr33 Words, è riuscito a toccare le corde più segrete della mia indole, arpa di emozioni che si è lasciata accarezzare dal tal sconosciuto letterario, musicista in erba che ha creato un’armonia di sentimenti contrastanti, lotta continua tra ciò che si crede possibile e ciò che effettivamente è, tangibile e fantastico che si trovano ai confini, insicuri, si accettano senza esprimersi, curiosi, e si odiano con veemenza, passionali.

Ci credete se vi dico che, fin dalle sue prime battute, Bugiardo si è rivelato un portatore (mal)sano di inquietante tormento?
Sicuramente, il primo fattore che gioca un ruolo cardinale nell’offrire una dimensione così Angosciante è da identificarsi con la serie di avvenimenti narrati nella storia stessa, nugolo di minuscoli tasselli variegati, quasi estranei l’un l’altro nel momento in cui entrano in scena baldanzosi e in sordina al contempo, che, aggregati, alla conclusione dell’opera, riusciranno a dare alla luce un mosaico di sconvolgente bellezza, capolavoro dalle gigantesche e portentose sembianze che, fatalmente, modella la sua effigie nel perno centrale dell’uditorio, marchio indelebile che non potrà sbiadire o essere in alcuna maniera dimenticato: ideati a partire da una sofferenza diversa eppure analoga, violenta afflizione che lacera e dilania in tanti piccoli pezzi originando irriconoscibili schegge di un’anima votata all’odio per un sentimento non corrisposto, dolore di un’intera esistenza che riecheggia nel cuore provato dalle intemperie della vita, un oggi che, al solo ricordo dell’ieri, si frantuma in laceri brandelli di niente, distruggendo con sé stesso pure ogni opportunità di riscatto in quel domani troppo vicino all’attimo fugace di un respiro a pieni polmoni, generati da un allarmante contatto che, assente, mola le unghie per giocare sadicamente con bersagli sia ignari sia consapevoli, lotta all’ultimo sangue che, attraverso delle briciole di pane abbandonate in punti strategici, vedrà un unico scampato possibile, da una parte il tripudio di una vendetta infine esaudita e da un lato la vittoria di una rivalsa al postutto conseguita, fotografie di baleni a ciel sereno che illuminano a giorno, portandosi con sé la notte più cupa e tenebrosa, la sequenza di eventi che Phoebe Morgan ci presenta con una bravura eccezionale da togliere il fiato saturano l’aria circostante di opprimente gravosità, difficile pena che, insopportabile, si adagia progressiva sullo sterno del lettore, bloccando le sue vie respiratorie in una morsa d’acciaio e soffocando l’agonizzante refolo in entrata e uscita, mutuo alito di vento che si spegne pian piano con la svolta della carta sotto i polpastrelli.
La forma adottata dalla scrittrice, però, non si limita a realizzare ad hoc il caratteristico ambiente di un thriller dalla rispettabile sostanza, ma contribuisce alla già citata resa usufruendo di uno stile ad alta tensione per elargire fatti di importanza capitale ai fini della trama, aggrovigliata matassa che racchiude nelle proprie spire aspetti isolati forse contraddittori indirizzanti verso un quadro più generale, dipinto dalle pennellate asimmetriche che convogliano nelle vicinanze di un orizzonte comune, la morte di qualcuno e la vita di taluno, risentimento astioso che potrebbe protrarsi oltre la fine per un nuovo inizio.

Si può affermare, senza alcuna ombra di dubbio, che Bugiardo rappresenti un buco nero dal campo gravitazionale oltremodo intenso: al pari della regione appartenente allo spaziotempo dove nulla ha scampo e tutto si conclude, l’incipit della carriera letteraria dell’autrice inglese seduce qualsivoglia particella astrale orbitante lì attorno, calamitandola inesorabilmente al centro del suo nucleo di pece, un’entità di per sé misteriosa in grado di risucchiare le stille esistenziali nell’intorno del suo raggio d’azione.
Come attestazione dell’appena detto, si coglie l’occasione per esibire un ambo di elementi dimostranti il carattere Turbinoso del thriller preso in considerazione nell’odierno articolo, una giocata propizia che assicura il successo prima ancora dell’apertura dal ludico sentore: analizzando la testa della moneta, possiamo notare quanto ciascun capitolo della risma in vigore aggiunga col contagocce informazioni alle loro antenate del passato, liquido ticchettio che, con la dovuta calma, scandisce le ore di lettura e nutre la sete di sapere dei suoi astanti, persone interessate che attendono un più da sommare alla propria cognizione e un meno da togliere all’indovinello in corso, brevi sospiri dagli appetibili lineamenti che, languidi, spingono in basso e obbligano a toccare quell’epicentro capace di smuovere continenti e oceani, terremoti dell’intimo che inducono a riflessioni spassionate nei riguardi dell’universo in cui si è finiti, mondo parallelo dove gli abissi sconfinati dell’oblio sembrano essere davvero a portata di mano, carezza uniforme che acuisce e lenisce, cambio di radice dal quale il senso del tutto, ivi relegato, deve essere finalmente desunto; concernente la croce, invece, scoviamo dei personaggi dalla psiche tumultuosa, passato travagliato del cui significato intrinseco si crede ingenuamente di masticare, boccone dolceamaro da ingerire per poter sopravvivere alle vicissitudini di un’esistenza al centro dell’attenzione, proiettore diretto in modo tale da focalizzare gli sguardi di ognuno nella direzione evidenziata dal fascio di luce, una visione d’insieme mendace che istiga il coraggioso all’oscuro a proporsi per la rivelazione, il Cristoforo Colombo del 1492 che, destino e razionalità ben pronti a soccorrerlo con mani giunte, approda sulle coste dell’America, vaso di Pandora dell’epoca che ha permesso, rebus dopo rebus, all’uomo di farsi scoprire, velo lasciato scivolare con la dovizia del finale aperto.
La miscela così ottenuta, quindi, dà genesi a un vortice impetuoso, attirante e contrastante mulinello che, impazzito, ghermisce il pubblico, conducendolo là dove tutto si mette in pausa e tutto si rimette in moto, cerchi concentrici che stabiliscono l’ordine nel caos di uno spirito in durevole mutamento.

Avete mai vissuto quella sensazione notoria per cui, facendo vostri certi paragrafi di un libro, cominciate a delinearvi nella mente iperattiva e assai curiosa anticipazioni interessanti di ciò che potrebbe, con altissima eventualità, succedere di lì a poco, per poi scoprire clamorosamente che, al contrario di ogni più rosea aspettativa partorita, i castelli di sabbia, causati da un multiforme ingegno in grado di far impallidire persino Ulisse stesso, cominciano l’attività di ripiegamento mirato sulla propria struttura, quel catastrofico accartocciarsi che induce a una strage di proporzioni cosmiche, una tabula rasa che, abbracciando il suolo da cui si era concretizzata, inizia di nuovo a erigersi, questa volta partendo però dai ragguagli appresi nella scorsa delle parole in evoluzione, foggia discrepante che all’epilogo, non si sa mai, potrebbe comunque stanare la previsione attesa?
Bugiardo esaudisce rigorosamente questa procedura dal Confundus potteriano facile, utilizzando non solo l’espediente più ordinario da annoverare tra gli strumenti a disposizione di un paroliere che vuole sia spiccare nella foresta letteraria con una maestria da intenditore neofita sia amalgamarsi alla tendenza abitudinaria dei compagni veterani quasi desideri essere sicuro di superare l’ardua prova della quale si è reso protagonista indiscusso, ma pure uno stratagemma che potrebbe non attrarre la piena benevolenza della critica in ascolto poiché la specificità del già menzionato artificio include, purtroppo, la probabilità della non accettazione universale: non lasciando niente alla fortuita sorte che, in contingenze come la presente, si rivelerebbe una cattiva consigliera, Phoebe Morgan sguaina la sua penna invincibile, agevolando il suo tentativo ben riuscito di arpionare l’accortezza del lettore e tentandolo con indizi assolutamente non velati da considerare nel complesso per giungere al dispiegamento delle sfingi acquisite durante l’avventura letteraria, insospettendolo per l’ennesima volta con ulteriori grattacapi che creeranno scompiglio aggiuntivo, tracce infingarde accentuate da manuale attraverso un dispensare espositivo che svia dalla strada principale, un viale alberato dalla nebbiosa evanescenza di base che vede cambiare prospettiva dalla quale novellare le peripezie su cui il thriller pone le sue fondamenta, modifiche forse un po’ cervellotiche che saltano da una prima a una terza persone sottolineando interpreti agli antipodi ritrovatisi, in un certo senso, a confronto, spada tratta contro spada tratta, resa dei conti in chiusura su una porta spalancata all’inverosimile.
Al termine del “menzognero”, quindi, di fronte a una prosa da cardiopalma, il lettore coraggioso percepirà un clima Confuso a dismisura dove vocaboli esenti dal giogo dell’ordinarietà si muovono nell’ombra più cupa, strisciando con la pacatezza necessaria per sbigottire quando meno lo si confida.

 

 

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Bugiardo
Autrice: Phoebe Morgan
Casa editrice: Leone Editore
Pagine: 443
Anno di pubblicazione: 2018
Genere: Gialli, Thriller
Costo versione ebook:
Costo versione cartacea: 14.90 euro
Link d’acquisto: Amazon (cartaceo)
Sinossi: Il padre di Corinne e Ashley è morto un anno fa, ma le due sorelle, che gli erano entrambe molto legate, avrebbero davvero bisogno del suo supporto. Ashley infatti vede il marito tornare ogni giorno più tardi dall’ufficio, la figlia di pochi mesi sembra incapace di dormire e quella adolescente, Lucy, quasi non le rivolge la parola. A Corinne, invece, piacerebbe avere i problemi della sorella, frustrata com’è dalle difficoltà che sta incontrando nel rimanere incinta. Un quadro familiare apparentemente normale viene turbato dal misterioso ritrovamento da parte di Corinne, prima in casa e poi in ufficio, di alcune parti della sua vecchia casa delle bambole, costruitale proprio dal padre. Chi le sta lasciando, e come se le è procurate? Quando scopre che la casa giocattolo è sparita dalla soffitta della vecchia villa dei suoi, Corinne comincia a vedere minacce ovunque. Dovrà riuscire a distinguere il vero dal falso per scoprire chi sta attentando al benessere della sua famiglia.