Ormai si è capito quanto sia romantico il mio animo di lettrice, uno scrigno molto spesso in cerca della felicità anche nelle pagine sfogliate, quell’allegria sconfinata capace di squassare il nostro fulcro e lasciarlo tramortito con lo scorrere delle righe in successione, piccola gioia da conservare con estrema cura nello scrigno dei preziosi e riesumare quando una cupa tristezza attanaglia la mia mente troppo ricettiva dalle circostanze. A volte, però, la drammaticità, introducendosi di soppiatto nei capitoli in lettura e permettendo al suo zampino di circolare inosservata, regala, in modo quasi paradossale, un refolo di amara freschezza alla storia, valore aggiunto che satura l’atmosfera di reale attendibilità e intorpidisce, fatalmente, lo spirito in ascolto di nuovi lessemi da sommare ai letti in precedenza, vocaboli che rincorrono l’obiettivo e sradicano la sua linfa palpitante per carpirne l’essenza e restituirla solo quando l’opera di massimo linciaggio è stata portata a termine, un dolore e una sofferenza risultanti così impetuosi da penetrare nei recessi più intimi del cuore che, smanioso, attende quell’estremo cambiamento in grado di sferzare le fondamenta e mutarle come neve liquefatta dal sole: L’amore non esiste di Serena Arcangioli, della cui copia cartacea ringrazio a profusione la casa editrice Ultra, racchiude elementi discordanti e complementari insieme, tasselli di un puzzle che esaltano lo spauracchio tangibile per antonomasia, traguardo inevitabile dal quale nessuno di noi può fuggire e salvarsi, la fine del corrente in atto che è un, seppur doloroso, inizio del poi in divenire.
Come ripercussione delle attività oltremodo sregolate con cui è sempre stato avvezzo accompagnarsi nella propria giovane vita, l’aspirante regista Dylan Prince viene calorosamente invitato dal padre a viaggiare fino in Canada, in particolare nello stato di Alberta, a Banff, con il proposito di fare volontariato in un centro per la cura di malati con patologie croniche: in fin dei conti, la speranza nutrita dal capo famiglia è quella di mettere in riga la sua dissoluta progenie, a seguito di un importante incidente dove il ragazzo è rimasto coinvolto insieme ai suoi due amici dalla personalità equivoca e assai distruttiva, rischiando, tra l’altro, quell’esistenza che, per i pazienti del dottor Bill Cox, potrebbe rivelarsi un miraggio troppo evanescente da afferrare davvero.
In profonda soggezione di fronte al carattere imperante del genitore, scoraggiato dalla direzione verso la quale il fato ha deciso di instradarlo, lo studente newyorkese della Tisch, abbandonati gli intenti estivi che lo vedevano protagonista, in compagnia di Brian e Tara, nella baldoria made in Florida, acconsente, suo malgrado, al suddetto esperimento strampalato, unica via d’uscita per lui affinché la sua famiglia non tagli i fondi necessari al suo personale sostentamento nell’università dei sogni di tutti i futuri cineasta in erba: perciò, con le Montagne Rocciose ad attenderlo a braccia spalancate, bramose di accoglierlo in un caratteristico clima decisamente atipico per Dylan, il nostro “principe” si prepara a trascorrere, alla stregua illogica di un prigioniero in libertà, un mese di noia totale, annegato nella più completa solitudine. Nondimeno, si sa che, molto di frequente, le aspettative nutrite, indipendentemente dalla loro natura di poli respingenti, vengano in qualche maniera deluse alla prima occasione utile, apparenza ingannata che il personaggio maschile de L’amore non esiste dovrà combattere senza ritrosia, vaso di Pandora da cui, scoperchiato, usciranno indisturbate novità da colpo al cuore, ventate d’aria fresca che indurranno i coinvolti a riflettere su sé stessi e le loro infinite possibilità numerabili.
Possono le persone meno inclini alle vere manifestazioni d’affetto promulgare l’amore nelle sue più recondite sfumature, quasi dimostrando agli altri e a sé stessi di essere in grado di superare egregiamente imprese fuori dalla loro portata?
Dopo una vita trascorsa negli eccessi più spericolati dell’immaginario collettivo, una miriade di avventure oltre i limiti che, da un lato, hanno rinfocolato una mente ribelle dall’adrenalina facile, un’anima in fermento che gorgoglia in modo così ininterrotto da sembrare sempre in costante attività, brividi di sicura prontezza che rendono l’insieme meno stimolante nell’afrodisiaco percorso dalle tortuose curve ammalianti, e, dall’altra parte, hanno inaridito quel poco di sensibilità che potevamo nascondere nei meandri del nostro intimo, un’emotività che lasciata a briglia sciolta, invece di scalpitare come uno stallone in piena prateria alla ricerca di libertà, si affievolisce sempre più, quasi avesse perso la sua guida in un luogo impervio dove sopravvivere da soli è impossibile e deleterio, torcia spenta a favore di un’oscurità vorace in attesa del suo pasto prelibato, in seguito a tutto il suddetto iter dalla marcia costantemente inserita, all’improvviso siamo stati catapultati alla realtà, uno stop forzato capace di porre davanti ai nostri occhi scenari di vita possibile, opportunità differenti che, nel punto d’incontro con l’ostacolo inamovibile, si biforcano una volta per tutte, addio sconsolato di due esistenze in mutua esclusione, tragitto distruttivo che si separa da un tunnel alla fine del quale la luce non si estinguerà mai.
Quando il destino ci impone una scelta fondamentale, inducendoci a un ultimo congedo nei riguardi dell’esistenza pregressa, un commiato dovuto che ci costringe a voltare le spalle al nostro io, quell’essere che si crogiolava dei giorni passati come fossero stati una manna del cielo invece di piaghe purulente, oblio oscuro in cui sguazzavamo senza nutrire alcun timore nelle conseguenze delle nostre azioni, atti privi del senno lucido del poi, abituarsi al nuovo non implica certo una facilità intrinseca, un semplice schiocco di dita con cui si può impersonare moderni prestigiatori facendo apparire dal nero cilindro un candido coniglio di soffice gradevolezza, ma nasconde tra le sue trame un’impresa titanica da superare indenni, cinta muraria insormontabile che potrebbe accompagnarci incontro a un differente concetto di amicizia, legame eterno che dovrebbe aiutare il tale a mescolarsi cl suo quale, una relazione imminente che in rari casi non unisce i simili, cucendo invece insieme un filo e una stoffa mal assortiti, due persone che non si assomigliano in niente ma non per questo non possono risultare idonei alla reciproca comprensione, magari ferendosi nel profondo e fors’anche non afferrando a pieno la situazione in corso, una strepitosa illuminazione che evidenzia quanto sia importante stare bene con sé stessi e con chi volontariamente decide di orbitarci intorno, mandando al diavolo la nostra lealtà verso la fazione sostenuta fin dall’inizio e accogliendo con gioia inediti obiettivi verso cui ci sentiamo attratti sul serio.
Una nuova routine, quindi, si affaccia all’orizzonte, una pagina bianca su cui iniziare a scrivere parole concatenate tra loro che dialogano per noi e di noi, capitoli intonsi che una tavolozza variegata ha il compito di tinteggiare a suo piacimento, portando a galla una zattera alla quale ancora stentiamo a credere: più si procede nella direzione da poco intrapresa, più si riscontrano punti di discontinuità con l’io di ieri, un ritrovamento straordinario che non solo identifica una diversità di fondo molto marcata, ma ci permette di mettere tutto in discussione, amicizie precarie dalle sciocche fattezze che ritenevamo ben oltre alle loro esigue possibilità, strenue convinzioni, prima passeggianti al nostro fianco dall’alba dei tempi, che adesso perdono di valenza, più ci inoltriamo nel cammino in atto, sentimenti inediti e inusuali per noi i quali però sbocciano sebbene non pensavamo di poterli serbare nel nostro cuore di ghiaccio, immoto organo che sembra aver riacquistato le abituali pulsazioni, perpetui ticchettii che, vibrando, sfibrano l’impreparato, arpionandolo con lancinante sorpresa e ponendolo di fronte a un quesito di basilare rilevanza, continuare a negare la crescita di sviluppo del germoglio appena nato o viverlo senza se e senza ma, domanda esistenziale a cui non presumevamo di dare una risposta un giorno, ma che nel presente dobbiamo appianare per poter nutrire qualsivoglia aspettativa futura, un domani che si fonda sull’oggi, piluccando il preterito per non incorrere nei suoi stessi sbagli da clamoroso inciampo di disattenzione.
Ed è così che troviamo l’eccezione capace di confermare la regola, una mosca bianca che ci ricorda da secoli dello scetticismo albergante in noi, quella radicale predisposizione contraria alla speranza nutrita nei riguardi del nostro opposto, un estremo in distanza che pare attrarci più del conveniente, senza un reale motivo da menzionare, e a cui lasciare il giusto spazio neurale per prendere forma almeno nel nostro subconscio dove la fantasia ha impiantato le sue solide radici, un esperimento di vita da cui poterci far travolgere, a seconda della mera volontà insita nel nostro animo non più allergico alla variazione: quando si intuisce la piega che la nostra esistenza ha deciso di prendere, un orientamento inclinato verso cui ci siamo dovuti votare senza opportunità di scegliere altrimenti, un andamento che ci stava precludendo la coltivazione di rapporti interpersonali approfonditi, quelle relazioni in bilico tra l’amicizia e l’amore che, imperterrite, oscillano tra due effetti forse prevedibili eppure imprevisti, conseguenza lapalissiana del progresso emotivo a destra, direzione inimmaginabile fuori pista a sinistra, entrambe tentazioni che conducono, volenti o nolenti, verso un sentiero scosceso di cui non si possono conoscere gli effetti se non al momento cruciale di svolta, la caducità del nostro tempo facente il suo corso ci impone esami di coscienza che, sebbene necessitino di competenze al di là delle nostre esigue truppe di soccorso, intimano di essere risolti approfonditamente, ennesima alternativa verso cui optare che, mentre lo spettro con la falce cerca in ogni modo di allungare i suoi artigli, arpionando, anche con l’ausilio delle sue fauci spaventose, il nostro corpo ormai provato dagli eventi in successione, si fa strada nel nostro cervello affaticato, un organo che ora deve votarsi a una significativa reazione, lasciarsi andare per sempre non consentendoci di appurare un certo grado di familiarità con un prossimo desideroso quanto noi di accrescere una simbiosi che, repressa, dovrebbe tutelarci a livello affettivo, oppure decidere di lanciarsi nel vuoto senza paracadute, volo ad angelo la cui destinazione ignota convinta di deprimere con agevolezza il favorito, una persona sola che potrebbe permettere al buio di azzannarlo prima e divorarlo poi, un semplice individuo che, aiutato dalla sua famiglia allargata, il vero motore della sua esistenza, continua a trainarsi instancabile verso il domani, un tempo ancora non venuto in cui soltanto coloro che manterranno determinato il proprio morale sotto al fuoco incrociato del caso riuscirà ancora a esistere, per sé e per i suoi cari, squadra d’assalto per cui vale sempre la pena di lottare, spendendo pure una minuscola manciata di banali minuti in ascesa, poiché per loro questo non è affatto il sacrificio che si crede, ma si identifica con l’atto più eroico della nostra epica battaglia, uso essenziale ben ponderato di secondi che soccorre il piccolo passo allontananteci dalla paura del saluto terminale, un’angoscia che squarcia il cuore dei nostri adorati scuotendoli da capo a piedi, ambascia primordiale che, in agguato, aspetta l’istante forgiato per lei da una mano nemica intenditrice di sadica ironia infausta.
Nonostante tutto, però, l’amore di solito esemplifica una dolce irruenza, quella sorpresa sui generis che riesce a cogliere impreparato anche lo stratega migliore, un forte interesse emotivo che, di fronte a qualsiasi rimostranza varia, riduce la situazione attuale portando, al pari di un sunto, il mero carpe diem: nell’attimo durante il quale la concezione del proprio essere cambia in modo radicale, nell’istante in cui si è compreso, nostro malgrado, che la morte può celarsi dietro ogni angolo, prendendoci alla sprovvista quando meno ce lo aspettiamo, non è sbagliato desiderare l’apertura di un nuovo capitolo in scrittura pur di ricominciare da capo con e per qualcun altro, insieme nella similitudine della vita negata ieri e riavuta indietro oggi, forse un’ovvia metodologia per redimersi e cominciare a rigare dritto o magari l’essenziale nascondimento di un affetto viscerale profondo in continua espansione, quasi voglia assorbire tutto ciò che può, un ingrediente segreto nella cui realtà non abbiamo mai creduto, ma in cui abbiamo sempre sperato, un mondo a parte del quale bisogna prendere adesso coscienza senza aspettare il domani, una ripartenza da zero il prima possibile per camminare verso il futuro, seconda opportunità che appare selvaticamente nella maniera più disparata, un invito a non rinunciare al nuovo perché, anche se il vecchio ci sarà restituito, rimanere ancorati a un passato ormai stantio, evitando di provare quantomeno a farci condurre verso una nuova tipologia di felicità, si rischia di tentare senza esistere davvero, una vita sempre sul chi va là che identifica sempre più la morte prematura dell’animo, un avvizzimento iniziale che attende impaziente la fine definitiva del corpo materiale.
A questo punto, l’avvenire in senso stretto perde di accezione, prediligendo un vivere costantemente nel presente, cercando di non organizzare gli anni successivi in maniera fin troppo scrupolosa, ma di optare verso un’alternativa più rilassata e distensiva, una ligia scaletta di pochi istanti vicini all’adesso, ma comunque discosti quanto basta dal cambiare a breve nell’attuale respiro rantolante che può essere sia l’ultimo da esalare sia l’ennesimo primo di molti altri: ormai vacillanti sull’ipotetica piena soddisfazione che i nostri giorni avrebbero dovuto raggiungere a mani basse, senza sforzo alcuno, scoprire che c’è altro nell’universo, un’incredibile meraviglia che traumatizza in senso positivo del termine, una sirena che allarma e disarma accogliendo tra le sue spire vocali dall’inganno già in atto, trasformandoci in facili bersagli come birilli su da una pista da bowling, immobili ominidi di un qualche materiale dall’inerte fissità non transitoria, essere drastici ci indirizzerà sulla via corretta che non necessariamente vestirà i panni della più semplice opzione in alternativa, ma potrà anche immedesimarsi in un sogno dalle chimeriche fattezze, utopie sopra le righe che sul lungo termine potrebbero rivelarsi per noi precluse, rendendoci conto però di quanto stringiamo tra i palmi delle mani, creature mitologiche che paiono esistenti tra le dita semichiuse del nostro piccolo pugno in invettiva contro il cielo, segno di rivalsa per noi stessi, eroi del nostro tempo che lottano e lottano, senza mai arrendersi, poiché la speranza verso un meglio arriva in nostro soccorso e ci induce a non demordere, anche se si tratta di credere nelle favole che da bambini ci raccontavano, storie fantasiose dove il lieto fine non mancava e le aspettative nell’E vissero per sempre felici e contenti non venivano tranciate di netto da una spada di Damocle in costante posizione sopra la testa del protagonista principale, una caduta in libertà che avrebbe potuto domare pure la fiamma conclusiva di fede nella giustizia ancestrale, rivoluzionante acqua piovana quale deterrente massimo di un fuoco che in teoria non si sarebbe dovuto spegnere mai.
Tuttavia, vivere nel timore costante non è il sano obiettivo a cui bisogna ambire poiché la paura fa parte di noi e provarla sulla pelle, evitando quindi di zittirla e accantonarla, è lecito, una giusta normalità che è inevitabile conseguenza del tracciato degli astri celesti non soggetta ad alcun tipo di cambiamento umano, un comportamento accettato dal simile per il simile che impone l’essere pronti a una qualsiasi eventualità, senza comunque assuefarci a una vita apprensiva in cui forse un poi non esisterà mai: indipendentemente da quanto ci si senta inadeguati di fronte alla prospettiva eccezionale di sentimenti taciuti, indipendentemente da quanto chi guarda apprezzi un gesto di bene perché, si sa, l’orgoglio vuole avere l’ultima parola e la codardia nell’accettare dall’altro può contribuire al colpo di grazia definitivo, sorvolando sulla difficoltà di distinguere la realtà dalla fantasia, un modo come un altro per chiederci se qualcuno come noi può meritarsi una simile beltà da considerare quasi un tradimento se la si osserva da una prospettiva che c’è ma non esiste, ponendoci costantemente in discussione al pari di imputati menzogneri all’udienza della vita, ci capacitiamo dell’unica caratteristica che conta davvero, il mero e puro esistere, facendoci coinvolgere da tutto ciò che ci circonda con un abbraccio caloroso da cercatore di manifestazioni evidenti d’affetto, un viscerale bisogno di amare ed essere ricambiati all’ennesima potenza, l’unica tecnica in grado di soprassedere col tempo sulle situazioni spinose da errore compiuto, un perdono necessario quando si intuisce il vero significato di certe azioni capitateci, concetto forse all’inizio incomprensibile che si rivela in seguito nel suo maestoso essere, marchio a fuoco su pelle sensibile di cui sempre bearsi e dal quale non separarsi mai.
E la felicità impara a sorgere dalle piccole inezie, quelle minuscole macchioline a tratti insignificanti che, imparando a conoscerle, aiutano un cuore in ascolto a cedere inevitabilmente all’amore, una dedizione appassionata ed esclusiva, istinto e intuito pronti a scattare, che può sorgere a Est di un minuto indistinto di una qualsiasi mattina da giornata di sole, pioggia di luce che non può essere negata quando l’evidenza parla per lei, contaminando la nostra gentile anima passeggera di egoismo borioso attraverso cui nascondere i sentimenti per la solita paura di nuocere con essi o per renderli noti e, quindi, appestare l’altro con un ben famoso epilogo già scritto a caratteri cubitali in ogni lingua possibile nel nostro fato ora in declino perpetuo: fino a quando rimarremo su questa Terra per tutto il tempo concessoci dalle Parche esigenti, fino a quando non arriverà il momento in cui esaleremo il nostro ultimo respiro, fino a quando riusciremo a porre, uno davanti all’altro, i nostri piedi idonei alla camminata da viandante pellegrino dell’esistenza, cercheremo in ogni modo di mantenere le promesse fatte a chi per noi contava, un’ardua impresa se si riflette sulla natura delle vicissitudini plausibili con il torto capitale nei confronti della nostra persona, patto di sangue i cui ricordi dolorosi non verranno mai cancellati dal tempo in divenire, ma saranno serbati nel profondo dopo la loro elaborazione, dando ad essi quel significato capace di mettere in sordina il dolore lancinante scaturito dai medesimi, un permesso ufficiale per il cuore malandato di andare avanti, voltando la pagina di un diario che serba la nostra anima in maniera indelebile, senza dimenticare come siamo arrivati a questo punto, rappresentando così non il peccato mortale la cui onta risuonerà nei secoli a venire, ma la testimonianza più lampante che, non essendo ancora defunti, l’esistenza continua e noi continuiamo a esserci con lei. Perché vivere non è mai stato così bello e mai ci eravamo accorti di quanto stavamo perdendo a causa delle nostre sbagliate sicurezze nei suoi confronti, terreno in procinto di sgretolarsi che si sbriciola all’ennesimo scossone da defibrillatore in attesa solo di noi: dopotutto, ci eravamo smarriti per strada, ma, la fortuna ha voluto, ansito dopo ansito, ci siamo ritrovati. Appena in tempo.
Attraverso una semplicità di enorme impatto, periodi di facile comprensione che nascondono tra i lessemi adottati un ciclopico significato la cui immensità è abilmente incarnata dalle tali espressioni famigliari, portavoce ideali che meglio si adeguano a una simile narrazione nella fattispecie, meschino riverbero di un universo domestico echeggiante nello spirito appassionato del libro di Serena Arcangioli, gradevole risma dall’emblematico e cordiale benvenuto mormorante parole dove si respira, a mano a mano che il lettore si addentra nel vivo della storia, l’evidente tassello mancante di un periodo ormai in declino, miraggio prima indistinto che ora, sequestrata l’ubicazione concessagli fin dagli esordi del vitale presente, si delinea con maniacale accuratezza nel suo avvenire già siglato, L’amore non esiste risveglia nel suo pubblico forti emozioni di costante squilibrio, vortici introspettivi esacerbati a dismisura che, dal letargo delle sensazioni assopite, si manifestano nella loro globalità, distruggendo i cuori degli avventurieri letterari, le classiche vittime ignare capaci di gettarsi alla cieca nello stuolo di capitoli in dipanamento, tormentosa sinfonia orchestrata nei minimi dettagli da un’autrice in grado di imporre alla lettura degli astanti un tempo specifico di assimilazione, momenti fugaci che, ritmati con maestria, testimoniano il nostro obbligo quotidiano di respirare a pieni polmoni le occasioni transitorie elargiteci dal destino, secondi su secondi che, nell’istante posteriore all’ultimazione, aiutano a riprendersi dai contenuti affrontati, tematiche particolari eppure ordinarie formanti un’eccezionale consuetudine che riesce ad abbattersi sugli scogli dell’anima alla stregua di una procella ancestrale, rabbiosa burrasca che vedrà la limpidezza solo nel quanto confacente a essa stessa, attimo di esistenza durante il quale la risonanza dell’intero lacera e rammenda, indimenticabile frutto maturo che ragione e precordio serberanno per l’eternità. Tuttavia, il vero colpo di grazia è simboleggiato dalla chiusura del romanzo, un autentico epilogo al cui livello si sbroglia una piccola matassa di testimonianze ritraenti un non plus ultra all’opera già di sé ammissibile, fondata documentazione di individui concreti che somma al precedente risultato l’ulteriore pragmatismo per il quale rimanere adiafori è certamente difficile se non altrettanto folle, parecchi scenari d’essere che appaiono consoni alla morfologia dell’opera sotto clinica valutazione, disparate prospettive a cui Dylan e Iris si conglobano con massima collimazione, traguardo che non disturba né sovraccarica, ma seguita e rimbomba, all’infinito, nei ricordi, per sempre.
Scheda libro
Titolo: L’amore non esiste
Autrice: Serena Arcangioli
Casa editrice: Ultra
Pagine: 464
Anno di pubblicazione: 2018
Genere: Romance
Costo versione cartacea: 16.90 euro
Costo versione ebook: 9.99 euro
Link d’acquisto: Amazon (ebook), Amazon (cartaceo)
6 Dicembre 2018 at 22:26
Il vero colpo di grazia è simboleggiato dalla chiusura del romanzo, ecco appunto. Se penso a quel finale…. mamma quanto mi sale il nervoso!!!! Ne abbiamo già parlato quindi già sai, ma se ci ripenso….!!!!
Hai usato splendide parole per questo libro che è molto bello, toccante e dona tantissime emozioni. La penna di quest’autrice arriva proprio dritta al cuore esattamente come le tue parole.