Quando un libro colpisce fin dalla sua sinossi, parole travolgenti che, in fuga dall’ordine preimpostato, caoticamente invadono ogni anfratto vuoto del cuore in ascolto, ospitale intercapedine che, occupata, abbandona il suo spoglio contenuto del niente, assaggio del piatto forte che si verrà a divorare una volta varcata la soglia del primo capitolo, un salto nel buio che lusinga e attira, sebbene, respingente per la sua natura misteriosa, sappia impaurire a livelli inauditi senza precedenti di sorta, è inevitabile rimanere attoniti di fronte alla beltà dei lessemi incontrati neri su bianco cartaceo, ottava meraviglia osservata con rispettosa cura della sua speciale unicità, gemma preziosa non ancora svezzata che racchiude nei suoi meandri una luminosità da scoprire nei minimi dettagli: Fancy Red di Caterina Bonvicini, per la cui copia digitale ringrazio con sincerità la casa editrice Mondadori, è stato, senza esagerazione, una manna dal cielo, trecento pagine sature di vita ai limiti vissuta e morte dalle acque infide navigata, dentro e fuori di un mondo all’inizio compreso e alla fine svelato, un arcano enigma che si dipana col contagocce, ordito di una trama non del tutto accertata capace di infiammare qualsiasi miccia incuriosita dall’ignoto, un seme appena germogliato che si nutre della pioggia d’inchiostro in caduta libera, lacrime discendenti dalle sfumature purpuree che incantano, desiderano e respingono l’avvicinato in lontananza.
Ludò è morta, non c’è ombra di dubbio: adagiata sul pavimento e sommersa dalla più disparata miriade di oggetti casuali, ha la gola lacerata, con alta probabilità dal paio di forbici che è stato posato, in modo quasi deliberato, lì di fianco. Tuttavia, questo non è l’unico mistero. Infatti, il consorte Filippo, che sta osservando la scena come se non fosse davvero in quel luogo, si trova in una stanza mai vista prima con una giovane donna della quale non ricorda niente nella maniera più assoluta.
In questo, però, sembra esserci un’unica certezza. La sconosciuta è sicura che l’assassino sia proprio l’uomo, frastornata voce narrante di un libro capace di torcere le viscere del malcapitato lettore, un protagonista che, complice un senso di colpa dalle titubanti forme non ben identificate, decide di sbarazzarsi del corpo della moglie e della pietra preziosa da cui lei non si separava mai, un Fancy Vivid Red montato a piercing in grado di animare un passato ormai defunto, un presente assai inconsolabile e un futuro che forse non vedrà mai la luce.
Il destino non dà alcuna tregua. Qualsiasi sia l’istante in cui decida di manifestare la sua essenza dalla natura oltremodo fatale, sostituendosi alla realtà nei suoi panni già molto utilizzati e dando vita a un universo ove la lucentezza intrinseca sia adombrata dal mistero di un enigma non risolto, attimo di tempo durante il quale, fossilizzati nell’oggi in atto, veniamo scaraventati in un parallelismo esistenziale capace di ribaltare tutte le nostre tenaci sicurezze a favore di irrisolte esitazioni d’abitudine decantate, resti sepolti di un pregresso lontano che vengono, inconsciamente, riesumati e, consapevolmente, afferrati, qualsiasi sia il luogo dove l’infausta mano abbia scelto di afferrarci con salda determinazione, rifugio accogliente nel quale ci siamo sentiti, ogni volta, ben difesi e tutelati in un abbraccio dal sapore familiare e dall’aroma altrettanto genuino, quattro mura personali che, fin dalle origini inviolate, ora vengono defraudate dei loro tesori più sacri, barbarie applicata con importante distacco a quella cassaforte semper fidelis al suo proprietario, combinazione esatta che accompagna per mano il suo viandante errabondo, individuo in continua trasformazione che non disdegna i percorsi a lui destinati, quindi, ovunque e sempre, la sorte può svelarsi ai nostri occhi, annunciandosi come lapalissiana portatrice di sfortuna, visita improvvisata che lascia dietro di sé due scie nette e distinte, la prima visibile al pari dello strascico consequenziale di avvenimenti successi, la seconda immateriale, eco delle mancanze di cui siamo stati sottratti, operazione matematica che fa anche troppa differenza.
Un battito di ciglia è sufficiente per riportare alla luce ciò che, placido, era sopito. I rimpianti di un’intera esistenza riemergono dall’oscurità in cui erano relegati, armi contundenti capaci di lacerare nel profondo e non lasciare scampo, unghie su lavagna che indeboliscono e disprezzano, acuti stridii che, timpani squarciati, cercano di penetrare il resto, graffiando e dilaniando gli ostacoli trovati lungo il cammino, impedimenti sotto forma di armistizi che, sebbene il vocabolario imponga in allegato una precisa spiegazione nei loro riguardi, non consentono di raggiungere la pace sottintesa, chiara parola che, al contrario rispetto il suo mero significato, nasconde l’ulteriore accezione non prevedente di quel tacito sollievo tra le righe, imperterrito tempestare di vulnerabili meningi con assurde disquisizioni recriminanti: l’aurea tranquillità interiore diventa, perciò, un miraggio senza forma distinta, ricordo sbiadito di un’oasi che, desiderata dall’assetato e infervorato tuareg, si mostra nel suo ignobile ed effimero carattere, quei fumosi dettagli trasportati da un vento in cerca di rivalsa, vendetta da gustare fredda nella notte di un deserto inospitale, pianificare e pianificare di una strategia atta a far riposare, per l’eternità, il tempo che fu, annullando ciò che (si) é e favorendo la soppressione delle emozioni in nome di un obiettivo più grande da ottenere ad ogni costo, secondi ri(n)correnti che abbisognano di uno specifico periodo di gestazione per compiersi e non rendere vano il nostro operato, celere lentezza in grado di allontanarci dalle affettività in avvicinamento, nefandezze ottemperate in un circolo vizioso dal gusto amaro del passato, niente di un tutto che si conclude nell’incipit, perdita totale che ci induce al disprezzo nei confronti dell’avanzo rimasto.
In fin dei conti, il timore riesce ad atrofizzare chiunque, non consentendogli più di agire in alcuna maniera, infinite possibilità che si spengono, una alla volta, in successione, di fronte all’indeprecabile epilogo a cui si è stati assegnati così perentoriamente. Proprio perché la lucidità può venir meno qualora fronteggiassimo minacce di ingente portata che potrebbero causare l’irreparabile in fase di attuazione, si arriva troppo tardi a rendersi conto delle azioni ormai espletate, rammarico di una vita che, prima o poi, sollecita a uno studio approfondito, esame d’indagine che orienta verso la consapevolezza necessaria all’accordarsi di una svolta, inversione scrupolosa che anima in qualsiasi persona ragionevole il famoso turning point, ansa di un rettilineo conducente a un proposito di assoluto sfacelo: ennesima paura si somma alla già astante sua collega, all’inizio sospetti solo immaginari dovuti alla suggestione degli accadimenti verificatisi, equivoci che istigano nell’individuo comportamenti erronei da abbonati a sbagli seriali, gelosie e invidie inesistenti che guastano la sola e mera realtà, sconfinato amore dall’eterna validità nei nostri riguardi, noi con i nostri minuscoli e immensi difetti, noi con le nostre strane e particolari ambiguità, poi diffidenze tangibili che, apportanti modifiche nel nostro spirito poiché aggiungono all’equazione un forte egoismo becero, insospettiscono e impongono cautela, esplorazioni di territori già conosciuti da un lato, legge del contrappasso in corso dall’altro, prove da superare a pieni voti per lasciarsi alle spalle le grane dell’attimo corrente.
Le punizioni del taglione estrinsecano con parsimonia qualità ignote alla maggioranza di noi, dati di un problema dei quali eravamo assolutamente all’oscuro, ma, attraverso la cognizione dello svolgimento, abbiamo bisogno per marciare ostinati, con il passo rapido dell’occorrenza, verso la meta risolutiva, una fine celebrante l’avvio della storia che estende, a destra e a manca, la sua antenata in atto. Un turbine di domande ottura le nostre sinapsi, rendendo impossibile qualsiasi pensiero logico, stasi di un moto continuo che potrebbe protrarsi, in base alla situazione vigente, per un tempo indefinito, altalena sospesa su un cavernoso oblio la cui bocca invita a tuffarsi senza temerne conseguenze effettive, rovina a un suolo distante anni luce eppure adiacente al nostro riflesso, noi simili e diseguali, da soli e insieme noi: l’intesa silenziosa non appartiene alla sintomatologia della non dignità d’erudizione, bensì a una miscela esplosiva di imbarazzo e desiderio di archiviare, passato che vergogna e che, ancora, fa tremare, esistenza vissuta all’opposto della sua successiva, in fuga da un obsoleto regalo per gettarci a capofitto in quel futuro dai lineamenti oltremodo incerti, domani in disgregata annessione al cui tempo già in scadenza non sappiamo di appartenere.
Tuttavia sono state proprio le origini ad aiutare la coniatura della nostra moneta, ponendo le basi per ciò che siamo e saremo, prossimo ieri in grado di trovare nell’oggi e nel domani la calzante appartenenza di famiglia riunita. Dimenticare, quindi, non è il meticoloso passo da assolvere in tali circostanze poiché, sebbene rammentare implichi resuscitare l’andata sofferenza di un mondo in declino tumulato dalle macerie, condividere le personali esperienze con l’altro di valore soccorre l’animo in confusione provandogli che, insieme, qualsiasi peso può essere tollerato e superato, zavorre che, esternate tramite le abilità di cui disponiamo, tradiscono una figura longilinea ben capace di spalmare il suo onere su più fronti, parole scritte o elargite a voce con la consueta libertà di espressione che vengono adoperate, quali strumenti fisici a disposizione, al pari di catalizzatori del realizzarsi emotivo, sentimenti non codardi che, evitando l’incidente frontale, riassumono la cura nel dispensare il non plus ultra, il meglio del meglio che, di certo, non transita nella mediocrità fraintendibile in quanto viaggiatore proiettato verso la riscoperta del sé e non in direzione del congedo coartato dall’esistenza, superficialità di deduzione che ci identifica come la perfetta preda del suo tranello, audace escursione stimolata da una comprensione di fondo, mela matura che, tentatrice, vuole essere colta e compresa, tesoro mangereccio che, nodale, contribuisce a edificare l’avvenire, struttura con un cantiere ancora aperto in attesa del giusto progetto da concretizzare.
Davanti al nostro sguardo, orizzonte in profondità, si sbroglia il valore dell’attiguo, lettura in chiave inedita di quello stesso vissuto dal quale scappavamo, gambe in spalla dagli anni di noi per cui adesso, con occhi davvero spalancati sulla realtà, smaniamo nel recuperare: fino a quando non arriverà l’istante in cui la riunione a tutti notoria avrà luogo, attimo che sancirà il chiudersi del tutto e l’aprirsi del medesimo, si serbano nello scrigno pulsante le considerevoli inezie, microscopici dettagli che racchiudono una prestigiosa caratura inattesa, dote connaturata che svetta ogni quotazione di sorta, oggetto d’impressione che enfatizza il legame instauratosi da qui all’eternità, una forza di coppia che, presa separata, offre solo rovina, cardine oliato che permette all’uscio della proprietà d’appartenenza di essere usata alla corretta maniera, libertà di comunicare ciò che si è, individui senza radici che si affidano alle fondamenta invisibili dell’amore, impulso ventrale che ha bisogno di infiammarsi con abbondante costanza, falsa stanchezza che subentra al suo vigore interiore, entusiasmo che mai tramonta e sempre albeggia, Est e Ovest per cui vale la pena lottare, combattendo per vincere e sbaragliando per gioire.
Arrancare e non mollare è il nocciolo della questione, impareggiabile criterio attraverso il quale andare avanti con le rimanenze di magazzino, gagliardia essenziale se si vuole abbracciare quel futuro che ancora noi abbiamo scritto e non navigato, diversità del previsto a cui assuefarsi è tanto difficoltoso quanto tassativo: nonostante possa mettere in una soggezione tale da indurre a un rifiuto cautelativo in anticipazione, la verità deve essere disseppellita, cercando quel punto di contatto ove vi è la possibilità che ogni tipologia di riconciliazione si avveri, melodia armoniosa in cui gli accordi del sé e del prossimo trovano il rigo a loro confacente, note su un pentagramma capaci di rapire l’anima e tramortire il cuore, postille a piè pagina che, al pari di nodi venuti al pettine, quando la resa dei conti ormai è alle porte spalancate su fauci voraci di un destino in attesa, si mostrano veramente, liberandosi del proprio nascondiglio e non edulcorandosi più, procedimento ad hoc che potrebbe portare la quiete nella nostra intima burrasca, fermo immagine su una pellicola in visione che continua a essere mandata in onda, tempo sempiterno che scorre e se ne va, abbandonandoci in una stazione dove sostare affinché prima o poi il treno per noi arrivi. Perché, dopotutto, ciò che ci rimane ora, nell’immediato, è proprio aspettare.
In uno svolgersi conturbante di passato e presente alternati con regolare fermezza, momenti lontani eppure propinqui che si avvicendano senza posa lungo una successione di deliberate moviole prima e brusche accelerate poi, Fancy Red di Caterina Bonvicini inizia attraverso la declamazione di una fine e termina all’esordio di un principio, scambio originale che decade nel classico cerchio in chiusura tipico di un qualsiasi viaggio letterario, specificità al contrario che, invertendo le usuali rotte, meraviglia con sorpresa e con ovvietà inabissa: la caratteristica oltremodo inconsueta si arguisce dalle pagine svoltate con dovizia tramite la fitta rete di vicissitudini che, al pari di una bobina da film hitchcockiano, si dipana a ventaglio, partendo da un punto preciso nell’universo a sé stante per giungere al suo antipode, un’ultima destinazione fuori dal comune che, sfocata alle prime battute assorbite dall’indefessa lettura, appare in nitida prossimità delle gemelle in esaurimento, traguardo improbabile che anche il lettore più attento non si aspetterebbe qualora decidesse di affrontare una simile peregrinazione in agitato inchiostro, storia vissuta che viene portata, con la naturalezza del caso, a mescolarsi in maniera omogenea con il mondo scaturito dalla fantasia di una penna in divenire, atmosfera da brividi in grado di scuotere anima e corpo raccontando pillole esistenziali dal carattere assai prezioso, gemme dalla viscerale passione che, seguendo la via dell’istruzione di base, si intersecano alla routine quotidiana, impegnativa o spensierata, monocromatica o tinteggiata, frantumata o integra, artificiosa o limpida, vita, morte e miracoli di un raro dono che solo certi possono permettersi di avere.
Scheda libro
Titolo: Fancy Red
Autrice: Caterina Bonvicini
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 300
Anno di pubblicazione: 2018
Genere: Gialli, Thriller
Costo versione cartacea: 18.00 euro
Costo versione ebook: 9.99 euro
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