Ben trovati alla prima segnalazione del nuovo anno. Ho avuto il mio bel da fare durante le festività e, grazie a qualche giorno di pausa per riprendermi, eccomi per dedicare la rubrica Mi è semblato di vedele un liblo! a due romanzi di Daniela Lojarro.
In questo articolo mattutino ci focalizziamo su Fahryon – Il suono sacro di Arjiam (parte prima), un fantasy da come si può intendere dal titolo stesso. Pronti a immergervi nell’opera prima di quest’autrice?
Titolo: Fahryon – Il suono sacro di Arjiam (parte prima)
Autrice: Daniela Lojarro
Casa editrice: GDS editrice
Mese di pubblicazione: Luglio 2015
Genere: Fantasy classico
Pagine: 290
Formato: Ebook / cartaceo
Costo: 2.99 euro / 15.90 euro
Link d’acquisto: Amazon, IBS, Mondadori Store, La Feltrinelli
Sinossi: Dopo secoli di pace e prosperità per il regno di Arjiam si profila una terrificante minaccia: il nobile Mazdraan, affascinante e astuto Primo Cavaliere del Re, contravvenendo a tutti i divieti imposti a suo tempo da Sahrjym, pratica la Malia con cui, all’avverarsi di determinate condizioni, potrà ottenere addirittura il controllo assoluto delle vibrazioni del Suono Sacro, il divino principio creatore di tutto l’universo. Il compito di ripristinare l’equilibrio della magia e d’impedire che il Mondo creato precipiti nel caos, spetta alla giovane Fahryon, neofita dell’Ordine sacerdotale dell’Uroburo, il cui cammino sembra casualmente incrociarsi con quello del nobile Mazdraan, dell’anziano Magh del Conclave Tyrnahan, tenace e irriducibile avversario del Primo Cavaliere, e dell’ingenuo e valoroso Cavaliere Uszrany. Le difficoltà con cui saranno messi a confronto durante la lotta per il possesso di un magico cristallo e del trono del regno, permetteranno ai due giovani di crescere e di diventare consapevoli del loro ruolo e delle loro responsabilità in questa guerra per il potere sul mondo e sugli uomini.
Biografia dell’autrice: Daniela Lojarro è nata a Torino. Terminati gli studi classici e musicali (canto e pianoforte), vince alcuni concorsi internazionali di canto che le aprono le porte fin da giovanissima a una carriera internazionale sui più prestigiosi palcoscenici in Europa, negli U.S.A., in Sud Corea, in Sud Africa nei ruoli di Lucia di Lammermoor, Gilda in Rigoletto e Violetta in Traviata. Ha inciso diversi CD: G. Rossini Ermione (con M. Caballè, M. Horne), G. Paisiello Nina, ossia la pazza per amore, CD Gala Concert con brani da Lucia di Lammermoor di Donizetti, Rigoletto di G. Verdi e Le nozze di Figaro di W. A. Mozart, F. & L. Ricci Crispino e la Comare, Exawatt: Time Frame, Ars Nova: Seventh Hell.
Diverse opere da lei interpretate sono state riprese da radio o televisione: G. Rossini Ermione, V. Bellini La Sonnambula, G.F. Haendel Alcina, L. Delibes Lakmé.
Alcuni brani da lei incisi sono stati inseriti come Soundtrack in diversi Film: Zeffirelli Toscanini con brani da Lucia di Lammermoor di G. Donizetti (con C. Bergonzi) e Rigoletto (con C. Bergonzi) di G. Verdi, Harron I shot Andy Warhol con brani da Rigoletto di G. Verdi, Scorsese The departed con brani da Lucia di Lammermoor di G. Donizetti.
Si dedica anche all’insegnamento del canto e alla musico-terapia come terapista in audio-fonologia, una rieducazione della voce e dell’ascolto rivolta ad adulti o bambini con difficoltà nello sviluppo della lingua oppure ad attori, cantanti, commentatori televisivi, insegnanti, manager per sviluppare le potenzialità vocali.
Fahryon, parte prima della saga Il Suono Sacro di Arjiam, edito da GDS, è il suo primo romanzo.
Contatti dell’autrice: Google+, Profilo Facebook, Twitter, Pagina Facebook e Gruppo Facebook
Vi siete incuriositi? Io sicuramente sì e, nonostante abbia molte richieste in coda, non vedo l’ora di leggere questo romanzo. Per il momento mi accontento di approfondire la conoscenza dei personaggi del libro di Daniela Lojarro.
I protagonisti principali del romanzo
Fahryon è una giovane donna; ed è neofita, cioè è un’aspirante Magh, studia per diventare un’iniziata ai Misteri del Suono Sacro e praticare l’Armonia. Nelle prime pagine dell’avventura, Tyrnahan, il suo mentore, s’interroga perplesso sul significato della presenza di quella ragazza dai grandi occhi scuri, i capelli bruni che le arrivano a vita, «dall’aria trasognata e dalla figura così fragile con quella carnagione così pallida da sembrare una statuina di porcellana».
All’inizio, infatti, Fahryon è piena di dubbi e incertezze, ha momenti di scoraggiamento: la missione che ha giurato di compiere le sembra al di fuori delle sue possibilità. Non è una predestinata né una prescelta: può contare solo sulle sue forze e sulla sua capacità/possibilità di scegliere e di muovere gli eventi senza avere, apparentemente, un talento o un dono particolari. Lotta accanitamente per superare gli ostacoli e le prove che si trovano sul suo cammino ma per confrontarsi con se stessa, per crescere e diventare consapevole della sua “forza”, Fahryon taglia i ponti con il suo passato e rinuncia perfino a Uszrany, l’uomo che ama.
Una spia al soldo dell’avversario descrive il Cavaliere Uszrany come un giovane «di carnagione scura, di statura superiore alla media; i capelli neri e lisci trattenuti con un laccio; il volto, senza barba o baffi, ha tratti orgogliosi ed alteri».
Già quando entra in scena s’intuisce che Uszrany non è un Cavaliere qualunque. Infatti, nonostante la giovane età e l’inesperienza, è già aiutante del Comandante della capitale, uno dei più valorosi Cavalieri del regno. Uszrany è il cavaliere per eccellenza, forte, coraggioso e, in fondo, perfino un po’ bigotto nella sua cieca fedeltà alla Regola del suo Ordine. Ma è giovane e vive le sue convinzioni con la passione, l’impulsività e l’energia di cui solo un uomo di 20 anni è capace passando da momenti di furia tremenda a momenti di passione e di dolcezza.
Però, nel giro di poche ore, per la sua stessa salvezza, si trova costretto a violare il giuramento di fedeltà che lo lega all’Ordine: il suo perfetto mondo di Cavaliere nutrito di onore e gloria, gli rovina improvvisamente addosso. Da questo momento, delusione, disillusione e mancanza di stima per se stesso s’impadroniscono di lui e diventa così la vittima ideale dell’astuto Mazdraan.
Il nobile Mazdraan colpisce sin dall’inizio con la sua eleganza e la sua capacità oratoria. Il fascino che emana la sua persona lo rende temibile: chiunque lo avvicini, non può sottrarsi alla seduzione della sua voce calda e sensuale, perdendo perfino di vista il valore delle sue parole per lasciarsi avvolgere, o cullare da essa. Riassume in sé la forza dell’eloquenza, la determinazione, la capacità di piegare la volontà altrui alla propria senza minacce dirette: gode nel vedere gli altri soccombere davanti alla sua placida calma, si bea nel far perdere le staffe al prossimo. Lui, al contrario, non perde quasi mai la pazienza, trova il modo di sorridere anche quando vorrebbe lasciarsi prendere dall’ira e s’infuria con se stesso quando perde il controllo.
È un uomo assetato di potere e disposto a tutto pur di ottenerlo. Non esercita il potere per un motivo preciso: lo ama. Ogni sua frase, ogni mossa, ogni pausa o ogni parola sono soppesate, calcolate e mirate per raggiungere uno scopo preciso: il Potere. A parte questo, nulla lo interessa veramente. Mazdraan lo confessa senza alcuna incertezza: «Ho tutto ciò che desidero e che il mio rango può offrirmi. Perciò perché non impegnarmi nella ricerca proibita per raggiungere ciò che ogni uomo in fondo al suo cuore desidera? Il Potere sugli altri, sul Mondo, sul Tempo ma non quello apparente e volubile della sovranità, ma quello assoluto che si può ottenere solo andando oltre alla Legge del Suono Sacro».
E ora, prima di salutarvi e ritrovarci nel pomeriggio per la seconda parte di questa segnalazione tutta dedicata a Farhyon, vi lascio due estratti lunghi, e cioè due capitoli del romanzo. Sperando che vi stuzzichino, vi auguro buona lettura!
Capitolo primo – La maschera
L’estate volgeva al termine ma il sole dardeggiava ancora su Tuhtmaar, la capitale del regno di Arjiam. L’acqua scorreva lenta nel letto dei due fiumi, il Suszray e il Whahajam: sembrava adattarsi al ritmo sonnolento di quel pomeriggio afoso trascinandosi pigramente in mezzo alle canne, aggirando rocce e massi per lambire le rive con un debole sciabordio. A un tratto, la fiacca di quelle ore torride fu percorsa da un tremito e poi da una vibrazione d’energia mentre nel cielo si stagliava la sagoma di un’aquila del deserto. Il rapace sorvolò le residenze delle nobili Famiglie di Arjiam, volteggiando più volte sui lussuosi padiglioni del palazzo ter Hamadhen per poi dirigersi al Santuario del Suono Sacro sull’isola in mezzo al fiume Suszray. L’aquila penetrò nel cuore del Santuario e si posò sulla pietra di luna sospesa sulla grande vasca sacra, restando immobile, come in attesa, con gli occhi chiusi. Quando una voce di donna si elevò con dolcezza ipnotica da una delle otto cappelle del Santuario, l’aquila, spalancati gli occhi, girò il capo per fissarne l’entrata. La Magh, attratta da una consonanza incomprensibile e ignota, uscì indugiando però sulla soglia nello scorgere il rapace. Soggiogata dalla forza di quello sguardo magnetico, andò a collocarsi sotto la pietra di luna della piscina sacra, tramutando l’inno del raccoglimento in quello della contemplazione. Il canto acquisì vigore animandosi in un ritmo sempre più frenetico, mentre l’enorme gemma iniziò a vibrare. L’acqua della vasca sacra prese a ruotare rapidamente, innalzandosi in un vortice che, avvolta completamente la donna, giunse a sfiorare la pietra di luna. La voce della Magh fu incrinata da un tremore d’indecisione. Avrebbe desiderato con tutta se stessa abbandonarsi a quelle vibrazioni magiche; ma aveva promesso al suo compagno di non compiere più alcun rito per non mettere in pericolo la vita che portava in grembo. La donna tentò di smettere ma gli occhi dell’aquila tornarono a scrutarla. Il Suono Sacro, la vibrazione che aveva dato vita a tutto il Mondo e che lo animava, non avrebbe mai potuto essere pericoloso per la sua creatura. Rassicurata da quel pensiero che l’aquila pareva averle suggerito, Xhanys dispiegò la sua voce nelle sillabe arcane dell’inno sacro: affrontò con sicurezza le luminose note acute per sprofondare poi nel baratro vellutato e tenebroso di quelle gravi, cedendo al sentimento di piacere e d’ebbrezza che la stava invadendo. Suono e Silenzio, Luce e Oscurità, si cancellarono nella sua percezione e Xhanys si disciolse nella vibrazione della sua Armonia unita al Suono Sacro. L’aria si accese di lampi azzurrognoli e un improvviso scoppio agghiacciante la fece barcollare. La donna, sconvolta dalle immagini che sorgevano dal Tempo che sarebbe venuto, lanciò un urlo di terrore: l’incantesimo s’infranse, l’acqua di colpo ricadde in onde scomposte e l’aquila, dopo aver lanciato uno strido, svanì.
La Magh, priva di forze, si accasciò su se stessa, annaspando nell’acqua come un naufrago alla disperata ricerca di un appiglio. Solo dopo aver trovato la sicurezza del bordo della vasca, si rese conto di trovarsi nella piscina sacra.
Mentre aspettava che il respiro e il frenetico pulsare delle tempie si acquietassero, Xhanys scrutò inquieta intorno a sé, nel timore di veder risorgere dall’oscurità del Tempo il fantasma della visione: i raggi del sole, però, filtravano dall’ampia apertura sopra la vasca sacra inondandola di luce.
Era al Santuario e non ricordava nemmeno di essersi allontanata da palazzo. Cosa era successo?
«Stavo solo sognando», mormorò spaventata. «Stavo solo sognando!» reiterò con forza per convincersi.
In preda alla disperazione e al panico, Xhanys si precipitò fuori dal Santuario. Iniziò a vagare per le vie di Tuhtmaar senza una meta precisa, sempre più confusa dalle grida dei venditori e soffocata dal caldo. Facendosi largo tra il via vai di cavalli, portantine e carri che affollavano le anguste vie della Città Vecchia, riuscì a districarsi dai vicoli del quartiere commerciale raggiungendo, infine, la strada che costeggiava il Whahajam. Come una sonnambula, ne seguì un lungo tratto fin quasi all’altro capo della città dove, in un improvviso barlume di coscienza, riconobbe uno dei ponti che segnavano il confine tra i quartieri popolari della capitale e quello nobiliare. Lo attraversò con passo vacillante, senza accorgersi del rispettoso saluto delle guardie del palazzo ter Hamadhen e, seguita dagli sguardi sorpresi degli uomini, s’inoltrò nel lussureggiante parco. Mentre percorreva il viale che conduceva al padiglione principale, si sentì mancare: estenuata, si sedette all’ombra delle grandi palme e dei cipressi. Freneticamente la sua mano strinse il ciondolo a forma di Uroburo che le pendeva sulla fronte.
Non era un incubo, aveva davvero avuto la visione! Quella divinazione confermava la sensazione di rigetto e ripulsa provata quando quella mattina Mazdraan l’aveva baciata.
Nei lunghi anni di apprendimento alla Casa dell’Armonia e poi in quelli di pratica come Magh, si era sempre recata al Santuario fiera e traboccante d’esultanza per la sua Armonia, quel talento che la rendeva speciale e che, nonostante la sua giovane età, le aveva permesso di raggiungere uno dei gradi più alti nella gerarchia dell’Ordine dell’Uroburo. Grazie a quel dono, lei poteva sollevare il velo della realtà che celava a tutti il mistero del Suono Sacro e sfiorarne l’essenza divina. Quel giorno, però, in quello stesso luogo così amato e venerato, la sua felicità e il suo futuro erano andati distrutti. All’improvviso, l’Armonia si era trasformata da dono in fardello. Avrebbe desiderato essere una persona normale e non una Magh; avrebbe preferito l’ignoranza alla Conoscenza.
Xhanys volse lo sguardo alle finestre del giardino d’inverno, dove trascorreva con il suo compagno le ore più intime. Come per incanto, sentì le mani di Mazdraan che l’accarezzavano, le sue labbra che la baciavano e i loro corpi stretti in un abbraccio appassionato mentre facevano l’amore, circondati da quei fiori che entrambi amavano e curavano con dedizione. La cappa di dubbi e paure che le gravava sulla fronte poco per volta si dissolse e Xhanys si rasserenò al ricordo dei momenti felici trascorsi nel loro rifugio.
Forse stava giungendo a conclusioni troppo affrettate, suggestionata dagli occhi dell’aquila. O più semplicemente doveva essersi sbagliata nell’interpretare la divinazione: Tyrnahan le aveva sempre consigliato di riposarsi e meditare prima di chiarire una divinazione. Avrebbe voluto parlarne con lui, ma il Magh, dopo la loro ultima acerba discussione, l’aveva cacciata via rifiutando qualsiasi tentativo di riconciliazione.
Da uno dei ficus selvatici si levò il canto di un usignolo. La donna socchiuse gli occhi e, istintivamente lo ripeté, mormorandone affascinata le note. Un debole refolo d’aria smosse le foglie, portando il fresco aroma dei cedri che attenuava l’atmosfera pesante del pomeriggio, resa ancor più greve dall’intenso profumo degli oleandri in fiore e del roseto. S’incantò a osservare le miriadi di corolle di fiori dai colori vivaci, disposti con arte in mezzo alle aiuole e attorno ai quali sciamavano insetti d’ogni sorta, in un via vai incessante che riempiva l’aria di sommessi brusii, ronzii e fruscii.
Xhanys amava le piante, di cui conosceva ogni proprietà e da cui sapeva ricavare ogni genere di olio o infuso per alleviare dolori e curare; ma adorava soprattutto i fiori, di cui si prendeva cura con passione. Era stato così fin da quando, bambina, Tyrnahan l’aveva condotta dalle Isole Libere, dove era nata, in Arjiam. Prima d’allora non ne aveva mai visto nemmeno uno! Appena giunta, i suoi occhi, abituati ai pallidi e grigiastri colori di quegli scogli freddi e spogli, erano stati accecati dalla luce e dai colori di quella terra esuberante di vita. E Mazdraan, l’amore della sua vita, il padre della creatura che portava in grembo, la circondava sempre dei fiori più belli. Xhanys non poteva credere che Mazdraan fosse il medesimo uomo della visione!
La donna rialzò la testa, ormai sollevata da ogni timore, ma i suoi occhi incrociarono lo sguardo enigmatico dell’aquila che la fissava implacabile, penetrando fin nei recessi più profondi del suo cuore. La vista si oscurò, il dubbio l’assalì di nuovo serrandole in una morsa lo stomaco e trafiggendole il petto con un dolore lancinante. Decisa a porre fine ad ogni costo a quella tortura, Xhanys affrontò l’ultimo tratto del viale che la separava dal palazzo ter Hamadhen; poi, sfinita, si accasciò priva di sensi nel sontuoso atrio. Kehfne, il grassoccio maestro di casa accorso agli strepiti della servitù, s’inginocchiò accanto a lei per prestarle soccorso ma, sottosopra come era, ci mancò poco che cadesse a terra trasportato dalla sua stessa considerevole mole.
«Mia nobile Signora, finalmente sei di ritorno!», esclamò con un sospiro di sollievo nel vederla rinvenire. «Non avevo ancora ritenuto necessario informare il nostro nobile Signore della tua assenza, per … per non turbarlo», precisò mentre l’aiutava ad alzarsi.
Xhanys lo ignorò e, sforzandosi di non barcollare, si diresse proprio verso l’appartamento del compagno, seguita dallo sguardo pieno d’apprensione del servitore.
«Credo che sarebbe più prudente se tu andassi a riposarti, mia Signora», strepitò Kehfne precedendola affannato per dirottarla altrove. «Farò avvertire immediatamente il risanatore per far controllare il tuo stato di salute. Sarebbe più saggio se …».
Xhanys lo oltrepassò costringendolo a spostarsi per non essere travolto; poi, superato il grande peristilio centrale, s’infilò risoluta per una galleria laterale, riccamente affrescata a grottesche e immersa in una riposante e fresca penombra.
«Mia Signora!», la supplicò terrorizzato correndole dietro sempre più sconvolto.
Kehfne non osava nemmeno immaginare la furia del suo padrone se avesse scoperto che i suoi ordini erano stati ignorati! Secondo le sue disposizioni, la nobile Xhanys non si sarebbe mai dovuta allontanare da palazzo senza il suo permesso e da sola. Quel giorno, però, era improvvisamente scomparsa senza che nessuno se ne fosse accorto.
«Il nobile Mazdraan sta lavorando e non desidera essere disturbato per nessun motivo», biascicò, sbuffando con la voce rotta e il fiato corto. Pallido, si appoggiò allo stipite della porta, guardandola con aria implorante.
Xhanys lo osservò, stupita da quella manifestazione di paura. «Non ti preoccupare, Kehfne. Il tuo padrone non avrà nulla da rimproverarti. Ora, se non ti spiace, voglio entrare», aggiunse in tono fermo.
Il servitore, abbassando disperato lo sguardo, cedette: bussò una volta sola, molto discretamente, e poi, riluttante, aprì la porta.
Mazdraan, seduto a un grande tavolo di mogano finemente intagliato, sollevò il capo di scatto dai documenti che stava leggendo. Un’occhiata gelida trafisse il maggiordomo di casa ma nessun rimprovero uscì dalle sue labbra: gli era bastato un fuggevole sguardo per accorgersi dell’angoscia che offuscava i luminosi occhi verdi di Xhanys.
Il tempo parve fermarsi per un istante, poi, Mazdraan posò delicatamente la piuma che teneva in mano. Congedò con un cenno Kehfne che, ansimante e incapace di articolare un suono, fissava gli arabeschi dei preziosi tappeti di seta, aspettandosi l’inevitabile scoppio d’ira. Con la consueta eleganza, si alzò per raggiungere la compagna distenendo il volto in un sorriso: la sua figura, slanciata e possente, avvolta in un sobrio caftano di seta nera, si stagliava contro la luce che entrava a fiotti dalla finestra. Xhanys, immobile sulla soglia, lo fissava, affascinata dalle movenze feline e armoniose che esprimevano grazia ma al contempo forza. Mazdraan la baciò teneramente per metterla a suo agio ma lei non rispose a quella dimostrazione d’affetto: le pareva che la stanza, d’un tratto, fosse diventata buia. Non era un’oscurità naturale: gravava come una nebbia densa in tutto l’ambiente, infiltrandosi come un veleno mortale nel suo cuore, raggelando il suo animo e paralizzando la sua volontà. Barcollò ma lui, con prontezza, la sorresse fino al divano aiutandola poi a sedersi.
Mazdraan cinse Xhanys in un abbraccio giocherellando teneramente con una ciocca che ne incorniciava il volto dalla pelle ambrata e dagli zigomi alti mentre di sottecchi la scrutava.
Nemmeno dopo la forzata separazione da Tyrnahan aveva visto Xhanys così turbata; soprattutto, però, portava l’Uroburo.
Sorridendole, si chinò per baciarla di nuovo.
«Non credevo che tu fossi già in piedi dopo il malore di stamani. Non dovresti affaticarti per nessun motivo. Ti faccio portare un infuso di fiori d’arancio ma poi ritornerai immediatamente a letto e senza discussioni. Sei d’accordo, tesoro?», suggerì. «Cosa ti preoccupa? Sai che puoi dirmi ogni cosa: sono qui per te, per proteggerti e amarti», aggiunse.
Xhanys gli accarezzò il viso, ammaliata dalla sua voce sensuale e al tempo stesso dolce. Ripeté silenziosamente quelle due parole, mentre un’espressione serena le rischiarava il volto tirato.
Mazdraan era premuroso e innamorato come sempre. Nessun indizio lasciava supporre o confermava che fosse l’uomo dal sorriso crudele apparso nella visione.
Nuovamente dimentica di tutto, si abbandonò fra le sue braccia, godendosi quella ritrovata armonia e ricambiandone con passione i baci. Di colpo, però, mentre si lasciava cullare dal suono rassicurante delle parole d’amore che le piaceva sentire, lo sguardo inquietante e insistente dell’aquila si affacciò con prepotenza nella sua mente, distogliendola dall’incanto. Xhanys fissò interdetta il suo compagno; poi, iniziò a stropicciare la veste con una mano, abbassando gli occhi per dissimulare il suo terrore. Come se all’improvviso si fosse sollevato un velo, sulle labbra di Mazdraan era comparso un sorriso beffardo e crudele. Sollevò nuovamente lo sguardo ma il viso del suo compagno era tornato a essere quello che conosceva.
«Hai avuto forse un brutto sogno? Un presentimento? Manca poco alla nascita della nostra bambina e tu hai bisogno di serenità e tranquillità. Ancora qualche giorno di pazienza e tutto passerà: tu devi solo affidarti completamente a me e io mi occuperò di ogni cosa», la rassicurò.
Sempre più inquieta e confusa, la donna si morse le labbra. Mazdraan sembrava sinceramente preoccupato, ma qualcosa stonava nella sua voce: era divenuta improvvisamente sgradevole e le pareva che nella sua mente si dividesse in mille stridii che correvano furiosamente, assordandola e confondendola.
«Dove sei stata?», domandò Mazdraan trapassandola con un’occhiata gelida.
Xhanys non rispose subito, paralizzata da quell’espressione che per la prima volta coglieva negli occhi di lui: quegli occhi le erano sempre parsi blu come il mare in tempesta ma ora brillavano freddi come l’acciaio, animati dalla medesima gelida determinazione che lei aveva scorto in quelli dell’uomo della visione.
«Sono stata al Santuario», mormorò poi con voce incerta e tremante.
«Avevamo stabilito che non ti saresti più recata al Santuario», le ricordò Mazdraan con voce dura e sferzante. «E, soprattutto, che non avresti più tentato di avere visioni prima della nascita di nostra figlia, per non far correre dei rischi inutili a te e alla bambina. Che cosa sei stata a fare al Santuario?», chiese in tono imperioso.
«Nulla … ho solo pregato», si affrettò a rispondere Xhanys, impressionata da quella collera.
«Pregare?», ripeté Mazdraan incredulo.
«Dovevo pregare perché … avevo … ho paura e … e poi …».
S’interruppe incerta. Non le sembrava giusto dubitare del suo amore. Si sentiva così colpevole al pensiero di aver potuto anche solo per un attimo credere alla visione. Mazdraan l’amava ed era in pensiero per la sua salute.
L’improvviso bagliore della gemma, incastonata nel candido medaglione d’avorio del compagno, l’abbagliò. Stordita, Xhanys sbatté le palpebre mentre i magnetici occhi verdi dell’aquila baluginavano nelle sfaccettature della gemma.
In quell’istante, la maschera di Mazdraan iniziò a sgretolarsi: i tratti fini del volto dell’uomo amato coincisero perfettamente con l’espressione orgogliosa e spietata dell’uomo della visione mentre la sua voce calda e appassionata s’insinuava nella sua mente come un serpente, stritolandola nelle sue spire per indurla a credere alle sue menzogne. Xhanys, in un ultimo frenetico tentativo, si aggrappò ancora a tutti i meravigliosi ricordi della loro vita insieme, ma le immagini del tempo felice passato accanto a lui sbiadirono inesorabilmente a una a una, dissolvendosi rapidamente come i sogni all’alba.
Ormai vinta, Xhanys non si oppose più e l’inno della contemplazione invase la sua mente mentre la sua pietra di luna vibrava, evocando il Suono Sacro. Un lampo squarciò le tenebre che avevano oscurato la sua percezione e il Suono Sacro la illuminò con la verità: Xhanys sussultò e, svegliatasi di soprassalto dal sortilegio che l’aveva accecata, scoppiò in un pianto straziante e irrefrenabile.
Mazdraan, infastidito dai suoi gemiti, si scostò precipitosamente: libera dalla sua stretta, la donna si accasciò sui cuscini nel tentativo di soffocare i lamenti che non riusciva in alcun modo a trattenere.
Il Suono Sacro era la Conoscenza eterna e immutabile e in Esso solo si trovava la via per raggiungerla; ma Xhanys aveva spontaneamente abbandonato il cammino, aveva tradito il suo Uroburo, perché i suoi vincoli terreni l’avevano abbagliata, trattenendola al di qua della Conoscenza dell’ultimo Mistero. La visione non mentiva: Mazdraan non l’aveva mai amata e si era semplicemente servito di lei che, accecata dall’amore, aveva negato la vera natura di quell’uomo, credendo che fossero gli altri a giudicarlo troppo severamente. Dopo gli anni di disperata solitudine della sua infanzia, non le era parso vero di scorgere negli occhi di un uomo la stessa intensa espressione d’amore che brillava in quelli di suo padre quando osservava sua madre, o di sentirsi così strettamente unita a lui da quei misteriosi invisibili legami di complicità che nessuna lontananza poteva scalfire o annullare. Si era trattato solo di un’illusione. Eppure, non poteva odiare Mazdraan, né voleva rinnegare il sentimento che l’aveva unita a lui, perché il suo amore era stato vero.
«Scusami, mia cara», le disse Mazdraan in tono contrito asciugandole con delicatezza le guance. «Mi spiace, amore! Ti prego, perdonami per essere stato così brutale con te ma sono molto preoccupato. Ti comporti così stranamente e io non so più come rassicurarti … come aiutarti. Tesoro, non hai più fiducia in me? Ti amo, sei la mia unica ragione di vita e la sola idea che possa succedere qualcosa alla bambina o a te, mi fa perdere la ragione. Ti prego, Xhanys, dimmi che mi perdoni», la implorò con una sfumatura d’apprensione nella voce mentre affondava il viso nei suoi capelli.
Xhanys raddrizzò coraggiosamente le spalle e incrociò lo sguardo di lui con fermezza, rivolgendogli un debole sorriso.
Non aveva mai mentito a Mazdraan, né lo avrebbe fatto in quel momento: desiderava lasciare parlare liberamente il suo cuore, rivelandogli con sincerità i suoi sentimenti come aveva sempre fatto. Il suo amore, però, non le avrebbe più impedito di fare ciò che era giusto.
«Allora mi perdoni?», chiese Mazdraan accennando un tenero sorriso.
Xhanys non lo respinse, sorridendogli a sua volta mentre gli accarezzava delicatamente il viso. Mazdraan, sentendo la tensione della compagna sciogliersi e svanire, le prese la mano per baciargliela; poi, con passione la strinse a sé.
«Il Suono Sacro vede e legge le intenzioni del cuore di ognuno di noi: Esso solo può giudicarci. Io ti amo tanto, Mazdraan, tu non puoi nemmeno immaginare quanto», mormorò Xhanys, baciandolo a sua volta con trasporto. «Ti amo tanto e ti amerò per sempre», ripeté ancora in un soffio.
Capitolo quattro – Oltre il velo
Fahryon, in attesa dell’ora stabilita per recarsi al Santuario, stava bighellonando nel quartiere della Vela, indugiando ora davanti a una bancarella, ora per osservare le persone affaccendate, ora per ascoltare un suonatore ambulante. In realtà, però, non provava interesse per nulla.
Le capitava spesso di curiosare tra i magazzini della Vela o fra i banchi della Città Vecchia. Incantata da colori e profumi, era capace di fantasticare per ore di quei luoghi lontani, sconosciuti e quindi misteriosi, da cui provenivano quelle merci, immaginando di poterli prima o poi visitare. Quel giorno, però, Fahryon non si sentiva trasportata nel suo mondo di sogni e pieno d’avventure. Da quando aveva accettato di partecipare al rito, era caduta in un tale stato di panico e agitazione, che ogni rumore, ogni suono, ogni contatto, ogni movimento la infastidivano e, allo stesso tempo, era incapace di starsene tranquilla ad aspettare.
Non sapeva leggere chiaramente in se stessa per individuare la ragione che l’aveva spinta ad accettare la proposta dell’Anziano del Conclave. Probabilmente, non c’era e, come sovente le accadeva, aveva reagito in maniera istintuale. Il Magh che si occupava del suo apprendimento continuava a ripeterle che, finché non fosse stata capace di equilibrare gli impulsi del suo cuore con la mente e l’animo, non sarebbe mai riuscita a dominare la sua Armonia. Lei, invece di seguire i suoi suggerimenti, continuava a dare retta alla sua voce interiore, ad abbandonarsi alla suggestione emotiva ed alla curiosità.
Aveva forse acconsentito per ambizione? Quella possibilità la sgomentava. Non era più certa che l’integrità del Suono Sacro avesse guidato la sua scelta.
L’aria intorno a lei fremette e poi avvampò, percorsa dalla vibrazione del Suono Sacro: l’inno del rito serale, trasportato dalla brezza, si allargava dal Santuario come i cerchi prodotti nell’acqua dalla caduta di una pietra, espandendosi in larghe volute e affievolendosi man mano che si allontanava dal suo fuoco d’origine.
Fahryon, intimamente compresa nel canto sacro, si appoggiò pensierosa al parapetto della terrazza che dava sul Suszray.
Il Tempo fluiva sotto i suoi stessi occhi nell’acqua del fiume, accesa dai riflessi del sole che, trascolorando in un trionfo di rosso, carminio e viola, scompariva al di là delle Montagne Aride. I colori si stemperavano, le ombre si allungavano divenendo sempre più indefinite e sembravano essere inghiottite dalla notte. Alla luce, fonte di vita e movimento, succedeva il buio, il momento della rigenerazione e del rinnovamento. Il rosso del tramonto, colore della forza e dell’azione, si mutava nel nero dell’oscurità, il colore del Nulla, la mancanza di tutti i colori o la loro combinazione.
Il riflesso del Santuario sprofondava poco per volta nei vortici bui del fiume, mentre quello reale, rivestito di marmo, si ergeva maestoso in mezzo agli ultimi bagliori del sole, avvolto nella leggera e fluttuante umidità che iniziava ad innalzarsi dal fiume. I raggi del sole morente, indugiando sulla decorazione a motivi vegetali, alternati a fregi, arcatelle cieche e colonnine, gli regalavano un colore cangiante dal rosa più tenue fino all’arancio più acceso rendendolo, in un gioco continuo di luci e ombre, soffice e impalpabile come un sogno.
«Così pensierosa, figliola?», le chiese Tyrnahan.
Fahryon sussultò e, colta di sorpresa, lo fissò stentando perfino a riconoscerlo.
«Non pensavo che il mio aspetto destasse un simile spavento! Mi è spuntata per caso una seconda testa?», scherzò mentre un lampo arguto gli illuminava lo sguardo scanzonato. «Spero di no, perché quella che ho già, mi tiene alquanto impegnato e non credo che potrei sopportarne una seconda!», aggiunse invitandola a sedersi sui gradini accanto a lui.
«Forse ti sembrerà sciocco e infantile da parte mia, Magh, ma vengo qua ogni sera prima di ritirarmi nella mia stanza e ogni volta provo questo incanto di fronte alla bellezza e perfezione dell’architettura del Santuario», mormorò Fahryon sorridendo timidamente, quasi in tono di scusa.
«È normale, figliola. Il Santuario regala una sensazione di benessere, armonia e serenità, perché è stato costruito secondo la Proporzione Armonica, trovata da Sahrjym studiando la vibrazione del Suono Sacro», spiegò Tyrnahan con semplicità. «La proporzione esistente tra i toni è esprimibile non solo armonicamente in quegli accordi consonanti che tu conosci, ma anche in rapporti geometrici e matematici rintracciabili nell’ordine e nella struttura dell’intero Mondo creato. Da questa osservazione, che Sahrjym ha definito Proporzione Armonica, sono state sviluppate tutte le leggi che reggono ogni disciplina della sapienza umana. La Proporzione Armonica conferisce a ognuna di loro ordine ed equilibrio, perciò in ognuna di loro risuona il canto del Suono Sacro».
Le rivolse uno sguardo intenso che Fahryon contraccambiò con uno indeciso.
«Potrei sapere perché sempre otto? Ottagonale il Santuario, otto le sue cappelle, a loro volta ottagonali, poste in corrispondenza degli otto principali punti cardinali, chiamiamo ottava la scala delle note musicali … Perché?», domandò.
Tyrnahan sorrise rallegrandosi della sete di sapere di quella giovane donna, che sentiva così affine al suo modo di sentire e di pensare.
«Verrà il momento in cui ti sarà completamente svelato il mistero della Proporzione Armonica alla quale i numeri sono legati. Per ora, accontentati di sapere che otto indica il perfetto equilibrio degli opposti, il potere regolatore e conservatore dell’ordine del Mondo senza il quale non c’è possibilità di vita. In termini geometrici l’otto si esprime nell’ottagono e, per questa ragione, il Santuario è ottagono», concluse.
Fahryon rimase silenziosa alcuni istanti fissando il Santuario ormai ammantato dall’oscurità, l’animo nuovamente turbato dalle riflessioni fatte poco prima in previsione del rito che li attendeva.
«Non sono più così certa di avere compiuto la mia scelta con il cuore, la mente e l’animo privi di desideri», confessò titubante.
«Sei alla Casa dell’Armonia per imparare ad ascoltare il tuo cuore, la tua mente e il tuo animo. Sapere di non sapere è il primo passo per la Conoscenza. Solo conoscendo se stessi e portando l’armonia fra cuore, mente e animo, si può trascendere il sé e ascoltare il Mistero del Suono Sacro, la Sua vibrazione e il Suo silenzio. Il Magh che compie questo cammino diventa Uomo perché, conoscendo ciò che è dentro di sé e quindi ciò che sta fuori di sé, ha svelato il Mistero della Legge e la serve umilmente essendo partecipe del suo perfetto equilibrio. La risposta che cerchi, Fahryon, la troverai … nel Santuario … nel tuo cuore», mormorò enigmatico.
Le rivolse una lunga e penetrante occhiata e poi le porse la neonata.
«Vieni, ora, ma ricorda bene: qualunque cosa dovesse succedere, rimani nella cappella insieme alla bambina. Chiunque tenti di collocarsi sotto la pietra di luna del grande Uroburo, senza l’adeguata preparazione, muore colpito dall’energia delle vibrazioni del Suono Sacro», l’ammonì guardandola severamente. «Che il Suono Sacro illumini il nostro cammino», aggiunse.
Attraversarono il ponte e, a piedi nudi, entrarono nella cappella del Santuario corrispondente a quell’ora. Dopo essersi sistemati nella vasca a forma di conchiglia che vi stava al centro, chiusero gli occhi accordando il respiro per risvegliare i loro corpi. Poco per volta, iniziarono a dondolare ritmicamente: Tyrnahan intonò l’inno sacro e la sua voce grave, sonora e potente si fuse con quella fresca e argentina della giovane. Mentre salmodiavano le antiche e arcane parole di lode, ringraziamento ed esultanza che avrebbero richiamato il Suono Sacro del Mondo, la pietra di luna di entrambi s’illuminò accordandosi alla loro voce.
Mentre la melodia dal ritmo ipnotico saliva verso la cupola della cappella espandendosi, Fahryon sentì il battito del suo cuore rallentare e poco dopo percepì il tocco deciso dell’Armonia di Tyrnahan che pareva invitarla a uscire da se stessa. Senza esitazione si abbandonò al flusso della potente vibrazione aprendole con fiducia il suo cuore, la sua mente e il suo animo. Le loro Armonie, sorrette dal canto che scorreva fluido, si fusero in una magica aura che li avvolse in una spirale di suoni ed entrambi si sentirono pervadere da un’intensa sensazione di comunione. Rapiti, slanciarono le loro voci all’unisono: l’inno sacro diventò sempre più trascinante e l’aria, satura d’energia, sfrigolò accendendosi di bagliori che si stagliavano sinistramente sulle pareti, ingrandendosi a dismisura per poi subito rimpicciolirsi e scomparire del tutto.
Tyrnahan, ormai raggiunto uno stato di profonda contemplazione, andò a collocarsi sotto l’Uroburo sospeso sopra la vasca sacra.
L’acqua iniziò ad agitarsi, fumando e ribollendo fino a formare delle onde concentriche che vorticarono via via sempre più velocemente avvolgendo il Magh, finché il Suono Sacro del Mondo si manifestò. Travolto da quella potenza, Tyrnahan barcollò per alcuni istanti prima che la sua Armonia, grazie alla pietra di luna, riuscisse a incanalare l’intensità di quella violenta vibrazione. Fahryon iniziò a tremare: atterrita dal dolore che le premeva la fronte e il petto cercò di abbandonare la contemplazione.
«Non temere, Fahryon, prosegui a cantare», le suggerì la voce dell’anziano Magh risuonando calma e serena nella sua mente. «Apri il tuo cuore, la tua mente e il tuo animo al Suono Sacro: scoprirai che, al di là di quello che il tuo corpo percepisce come dolore fisico, esiste un mondo di suoni la cui perfezione nessun orecchio o mente umani possono intendere».
Fahryon, lasciandosi guidare dalla voce del Magh per spezzare le catene che l’avvincevano alle sue paure, dischiuse con fede il suo cuore, la sua mente e il suo animo all’impeto della vibrazione del Suono Sacro: subito ogni senso di dolore scomparve. All’improvviso, sentì che il limite che separava le loro coscienze svaniva per lasciare il posto a un’unione ancora più salda e intima di quella già raggiunta prima della manifestazione del Suono Sacro. Le pareva che a ogni ripetizione tutto il suo essere sprofondasse sempre di più nella magica vibrazione del Suono Sacro, svincolandosi dai legami di spazio e tempo che la legavano al mondo sensibile. Una misteriosa sintonia celestiale sembrava non solo circondarla, fluttuando intorno a lei, ma formarsi dentro di lei, provenire dalla sua stessa mente, dal suo stesso cuore, permeandola e plasmandola in quell’incanto di Suono e Silenzio.
«Il Suono Sacro non è l’anima del Mondo? Esisterebbe la luce senza il sole? O il calore senza il fuoco?», chiese la voce del Magh staccandosi dalla sinfonia celestiale e librandosi come una luminosa farfalla di luce. «Il Suono Sacro ha creato il Mondo e noi partecipiamo della sua natura, noi facciamo parte del suo canto. In questa dimensione nulla può essere conosciuto e definito con i nostri sensi o parole perché ciò che è il Suono Sacro, è al di là di ogni categoria che la mente umana può concepire e il nostro corpo sentire. Questa è l’Armonia, figliola, non dimenticarlo mai: cuore, mente e animo che si aprono con fiducia al Suono Sacro, accogliendolo, rispettandone le leggi e ponendosi al Suo servizio. Canta, Fahryon, e che il Suono Sacro protegga il nostro cammino».
La visione, uscendo dalle tenebre indistinte del Tempo, diventò via via più chiara, perdendo lentamente la sua immobilità. Nella mente di Fahryon irruppero all’improvviso spaventose immagini di sangue e belve feroci, mentre antichi simboli e arcane note si formavano sulla pietra, scintillanti come fiamme. Due voci s’intrecciarono in un canto, ora gioioso ora dolente, finché raggiunto l’apice della tensione, tutto fu travolto da una spaventosa deflagrazione. La visione, come se si fosse trattato di un riflesso nell’acqua, tremolò sfocandosi: le immagini vorticarono, rincorrendosi e sovrapponendosi, persero nitidezza e poi, risucchiate nel baratro del Tempo che sarebbe ancora dovuto venire, svanirono del tutto.
Il Suono Sacro del Mondo li abbandonò con la stessa rapidità con cui si era manifestato. I lampi cessarono, la tensione si allentò e l’ultima eco della vibrazione del Suono Sacro si perse nel silenzio della notte mentre il vortice d’acqua, non più sostenuto dall’energia della vibrazione, crollava in spruzzi e onde scomposte che dilagarono fin dentro le cappelle.
Fahryon, caduta vertiginosamente nel suo corpo fisico, vacillò per il distacco repentino sentendosi il cuore scoppiare ma Tyrnahan, con sorprendente prontezza, le fu accanto per sostenerla costringendola a trangugiare alcuni sorsi d’acqua. La giovane donna lo fissò costernata senza riconoscerlo, sbattendo alcune volte le palpebre prima che le suggestioni della visione si cancellassero del tutto.
Rimasero in silenzio, seduti a terra accanto alla piccola vasca della cappella, con il respiro rotto dalla fatica e con la mente, il corpo e l’animo svuotati, privi d’ogni forza. Quando finalmente emersero dal Santuario, l’argentea luce della luna li illuminò, insinuandosi e indugiando fra i capelli bruni della giovane donna, riflettendosi sulla testa calva del Magh e accarezzando il piccolo viso della bambina che continuava a dormire serena e del tutto ignara di quanto avveniva attorno a lei, muovendo solo le piccole labbra come se stesse succhiando. Tyrnahan si affrettò a coprirla e poi, seguito da Fahryon, si avviò con passo stanco alla Casa dell’Armonia.
Non appena si separarono sotto il maestoso ingresso della sede dell’Ordine dell’Uroburo, dalle ombre della notte emerse una figura avvolta in un anonimo mantello marrone. Guardandosi cautamente attorno, l’uomo avanzò all’interno della Casa, attese per un po’ e poi, non notando più alcun movimento, si allontanò. Per evitare le ronde di guardia, si tuffò nei vicoli della Città Vecchia che parevano non avere segreti per lui finché non giunse davanti a un cancello sorvegliato da alcune guardie armate. Dopo avergli avvicinato al viso una torcia per poterlo identificare, la sentinella aprì uno spiraglio e lo lasciò entrare. Richiuso il passaggio senza dire una parola, la guardia tornò dai rumorosi compagni radunati attorno ad un bivacco notturno.
L’uomo percorse velocemente il viale fiancheggiato da palme e, senza essere fermato nemmeno all’ingresso del palazzo, s’incamminò sicuro all’interno del padiglione principale. Si fermò davanti a una porta, bussò tre volte e, senza attendere, entrò chiudendosela alle spalle.
«Nobile Signore», salutò con voce deferente sprofondandosi in un inchino.
L’uomo, sdraiato sul divano, non rispose al saluto limitandosi con un elegante gesto della mano a ordinargli di parlare.
«Mi sono appostato al Castello e dalle guardie, sempre ben disposte a parlare davanti a un buon boccale di vino, sono venuto a sapere che è stata una neofita di nome Fahryon a soccorrere una donna trovata per strada al quartiere della Vela e a chiamare un Magh perché le prestasse delle cure. La sconosciuta è poi morta dando alla luce una bambina. Subito dopo, sono sopraggiunti degli uomini armati che volevano rapire la neonata e un Cavaliere, che si trovava per caso alla locanda, ha tentato di fermarli: durante la colluttazione, accidentalmente è scoppiato un incendio. Quel Cavaliere è appena arrivato in città da Zehdûm: si chiama Uszrany ed è l’aiutante di campo del nuovo Comandante del Castello. Il Magh, accorso al capezzale della donna, è l’Anziano del Conclave, Tyrnahan» concluse.
Nel sentire quel nome, Mazdraan balzò in piedi mentre il suo sguardo diventava cupo e gelido.
L’uomo trasalì, intimorito da quella reazione. Gli occhi del nobile Signore lo terrorizzavano: solo una bella sbronza lo faceva sprofondare in uno stato di incoscienza tale da riuscire a toglierseli dalla testa. Valeva la pena affrontare quella tortura solo perché il nobile Signore si mostrava sempre molto generoso nel ricompensare i servigi che gli erano resi.
Mazdraan, con un cenno impaziente della mano, sollecitò l’uomo a continuare.
«Sono stato anche alla Casa dell’Armonia, mio Signore», proseguì l’altro a occhi bassi. «Stavo per mettermi alla ricerca d’informazioni sulla neofita, quando ho visto arrivare un Cavaliere del Grifo, un giovane di circa diciannove anni, di carnagione scura, capelli lisci e neri trattenuti con un laccio, senza barba o baffi: indossava il pettorale dei battaglioni del mare con il delfino oltre il Grifo e ne ho dedotto che dovesse trattarsi dello stesso Cavaliere della locanda. Allora, l’ho seguito fino all’appartamento di Tyrnahan ma non ho potuto sentire nemmeno una parola: credo che un incantesimo protegga quella stanza», aggiunse l’uomo con una certa apprensione nella voce.
«Ha incontrato solo Tyrnahan?», lo apostrofò Mazdraan freddamente.
La spia, a disagio, si passò la lingua sulle labbra divenute improvvisamente secche.
«No, mio Signore. L’ho intravisto parlare con una neofita, più o meno della medesima età del Cavaliere, piccola di statura, di carnagione chiara e con una cascata di capelli bruni che le arrivava fino alla vita», rispose. «Verso sera, quella stessa neofita è uscita e, dopo il rito del tramonto, si è incontrata al Santuario con un Magh anziano, magro e completamente calvo, che recava un fagotto dentro il quale mi è parso d’intravedere un neonato. Sono certo che il canto intonato dal Magh e dalla neofita fosse quello della contemplazione che porta alla visione del Tempo che sarà», precisò.
«Sparisci», gli ordinò Mazdraan tirandogli una piccola borsa di pelle.
Mentre l’uomo l’afferrava al volo e si sprofondava in un inchino, il nobile Signore rimase alcuni istanti con lo sguardo fisso nel vuoto; poi, si scosse e tornò a sdraiarsi sul divano, lasciandosi sfuggire un piccolo sospiro di disappunto.
Sarebbe stato certamente più semplice rivolgersi ad Akehneys, il suo attendente al Castello, per ottenere quelle informazioni, ma non poteva compromettersi. Il Comandante Pakudd o Akehneys avrebbero potuto insospettirsi se il nobile Primo Cavaliere si fosse interessato a un banale incendio in una miserabile locanda della capitale, proprio il giorno della perdita della sua amatissima compagna.
Scosse le spalle con insofferenza mentre si passava una mano fra i folti capelli neri, solo appena crespi, che come d’abitudine portava sciolti.
Xhanys aveva scoperto la verità e, nonostante gli avesse sinceramente professato il suo amore assoluto, si era confidata con Tyrnahan creando un fastidioso impiccio. Mazdraan dubitava che il Magh Anziano del Conclave fosse disposto a discutere amabilmente con lui della divinazione di Xhanys e, tanto meno, di lasciargli portare a termine il suo piano. Tyrnahan doveva essere riuscito a coinvolgere nelle sue trame sia la neofita sia il Cavaliere del Grifo, perciò si sarebbe dovuto sbarazzare di tutti e tre prima che potessero diventare un pericolo per la realizzazione del suo progetto. L’anziano Magh non si sarebbe certamente lasciato sfuggire l’occasione, da tempo attesa, di prendersi una rivincita.
Inquieto e seguendo l’improvviso pensiero che gli si era affacciato alla mente, Mazdraan uscì dall’appartamento; giunto al fondo di un corridoio laterale, spalancò una porta a doppi battenti entrando in una stanza fiocamente illuminata da un lume notturno.
Una donna, assopita, era sdraiata su un giaciglio accanto a una culla. Sollevò pigramente le palpebre pesanti per il sonno e con sorpresa si trovò il nobile Signore accanto a sé. Alzandosi precipitosamente, accennò a una riverenza borbottando delle scuse con voce impastata ma Mazdraan la ignorò del tutto per chinarsi sulla culla.
Quel minuscolo viso non gli rivelava assolutamente nulla. Nei lineamenti della piccola addormentata non c’era il minimo segno che suggerisse una somiglianza con Xhanys. Non voleva dire nulla, eppure … .
Mazdraan serrò le labbra e un’espressione torva si dipinse sul suo viso mentre il sospetto, come un tarlo, si faceva largo nella sua mente. Fece alcuni passi su e giù per la stanza, irrequieto come un leone in gabbia, mentre la pesante vestaglia di damasco nero frusciava leggermente seguendo i suoi movimenti. Di colpo poi, si fermò davanti al caminetto e, dopo aver posato le mani sul bordo della mensola, rimase a fissare assorto il fuoco che si stava spegnendo, mandando solo più un debole barlume.
Eppure, per avere una visione sul futuro di una persona era necessario che questa fosse presente al rito! Lui nutriva forti perplessità che Tyrnahan si fosse recato al Santuario per sollevare il velo che celava il Tempo che sarebbe venuto d’una qualunque neofita. Il Magh poteva interessarsi al futuro di una persona sola: la bambina di Xhanys! Per scoprire la verità, doveva spingere il Magh a tradirsi.
La prospettiva dell’azione accese un lampo di fredda determinazione nei suoi occhi metallici e Mazdraan rientrò nel suo appartamento d’umore migliore di quanto non lo fosse stato qualche istante prima; dopo aver suonato il campanello, si versò del vino. Non aveva ancora fatto in tempo a sedersi, che il maestro di casa si era come per magia già materializzato nella stanza.
«Fai venire Ysthre».
Poi, vedendo che Kehfne indugiava, lo congedò con un imperioso cenno della mano, non potendo trattenere un leggero sogghigno.
Kehfne si sentiva in colpa per quanto era successo a Xhanys ed era terrorizzato dalle conseguenze della sua disobbedienza: l’incertezza di quella punizione che gli pendeva sul capo avrebbe sicuramente aiutato il suo fedele servitore a riflettere.
Vergò rapidamente alcune righe sigillando la pergamena con la ceralacca ma senza imprimervi alcun sigillo. Dopo un leggero colpo alla porta, entrò un uomo, leggermente zoppicante e con una cicatrice che gli sfregiava il volto.
«Fai consegnare questa al Reggente da un estraneo: nessuno deve immaginare che provenga da me. Poi, devi mettere vicino al Cavaliere Uszrany, l’aiutante del Comandante Pakudd, qualcuno che, conquistando la sua fiducia e la sua confidenza, possa tenermi informato di tutto ciò che fa, con chi s’incontra e che luoghi frequenta».
«C’è altro, mio nobile Signore?», gli chiese Ysthre.
Mazdraan tacque pensieroso per alcuni istanti considerando un’idea che gli era appena balzata in mente. «Sì, Ysthre, … Desidero che quel nostro comune amico, che è stato qui prima, tenga la bocca, come dire … ben chiusa … sigillata. Naturalmente con discrezione, Ysthre», precisò con un sorriso mentre lo congedava.
Mazdraan si appoggiò con indolenza allo schienale della poltrona, allungando le gambe e incrociando le mani dietro la testa, mentre gustava il brivido di piacere che la prossima lotta gli faceva scorrere per tutto il corpo.
Tyrnahan sembrava avere il dono di comparire sulla sua strada quando si trovava a una svolta cruciale della sua vita; ma quella volta sarebbe stata l’ultima, perché lui non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire l’occasione per cui aveva lavorato in tutti quegli anni e che avrebbe cambiato tutto per sempre!
Dopo aver lentamente sorseggiato il vino, assaporandone con soddisfazione l’aroma, si stiracchiò pigramente come un gatto mentre un’espressione sorniona si disegnava sul suo viso.
In quel momento, però, il pensiero dell’incantevole giovane donna che lo stava aspettando nella sua camera da letto, gli sembrava molto più urgente e concreto. E di sicuro lo attirava molto di più di qualsiasi altro, fosse pure quello della tanto sospirata rivincita su Tyrnahan!
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