Grazie alla recensione che ho fatto a Stanza 530 e Oltre il buio il tuo respiro, opinione che trovate cliccando qui, ho potuto conoscere “personalmente”, tra virgolette perché purtroppo solo in via virtuale le sono vicina, Elisabetta Barbara De Sanctis, un’autrice che mi aveva conquistata senza troppe cerimonie fin dalle prime pagine dei due suddetti romanzi. Quando la scrittrice mi ha proposto di leggere, appena e qualora fossi libera, la sua nuova opera, Senza più nome, ho accettato ovviamente con piacere, nonostante dalla trama avessi presupposto che forse non sarebbe stato proprio il libro adatto a me, essendo molto sensibile a uno degli argomenti trattati dalla scrittrice. Eppure, mi sono lanciata all’arrembaggio, praticando un salto nel buio non indifferente, fiduciosa dello stile arpionante dell’autrice e desiderosa della fiumana di emozioni che ha sempre suscitato in me grazie all’uso corretto e calibrato delle parole, le uniche armi con le quali gli scrittori possono ferire i lettori, chi più chi meno, violando la loro anima, obbligandoli a sentire nel profondo, a percepire effettivamente le stilettate inferte, tutti quei colpi che purtroppo, sorpresi dal ricevere tali tiri mancini e, non riuscendo a pararne uno, inermi di fronte a essi, si fanno investire consapevolmente dalle frustrate che il riverbero dei vocaboli letti provocano, prendendosi tutto il tempo che necessitano per affondare nel nostro cuore, ristagnando lì, nei recessi della nostra mente, e risalendo poi in superficie, non lasciando più niente se non il vuoto totale, un involucro ormai arido depredato di tutto.
Quasi mai mi sbaglio e, infatti, neppure questa volta la mia vena di indovina ha lasciato a desiderare. Sì, lo so, dovrei pensare a intraprendere la carriera di Sibilla Cumana: rifletterò bene sul da farsi, sicuramente, ma ora concentriamoci sulla trama di Senza più nome.
Martina Ricci è una ragazzina di 16 anni che vive con sua madre Lorena in un bell’appartamento accogliente a Roma. Se non la si conoscesse bene, a una prima occhiata decisamente sbrigativa, si potrebbe credere che il suo comportamento sia dovuto al fatto che sta vivendo proprio quella fase adolescenziale, caratteristica della sua età, durante la quale praticamente ce l’ha con tutto il mondo, rifuggendo qualsiasi contatto umano a parte ovviamente la classica eccezione che conferma la regola, con l’unico genitore che le è rimasto e di cui ha memoria, incolpandola di ciò che è stato e ciò che è, con sé stessa, dato che si ritiene responsabile di tutto quello che capita a lei ma anche e soprattutto alle persone che la circondano, in primis Lorena verso cui la ragazzina nutre un profondo affetto dato dall’antico legame che si crea tra madre e figlia, nonostante, molto spesso, provi astio nei suoi confronti, come già detto. Le piace andare a scuola, stranamente, studiare e apprendere il nuovo, aggiornandosi, tenendosi al passo con i tempi, scoprendo ciò che il mondo le può riservare ora e che le potrebbe regalare un giorno, ma odia profondamente tutti quanti in quella struttura scolastica privata, piena di fighetti che pensano alle apparenze, vestendo alla moda e firmati, evitando di focalizzarsi sulla bellezza dell’animo celato di una persona. A causa di questa superficialità, i suoi coetanei le indirizzano occhiate quasi schifate, fissando i loro sguardi sul suo essere strana e quasi folle, pazzia sottolineata dal suo portamento leggermente da maschiaccio e dal non voler vestirsi e agghindarsi alla moda, con un conseguente grandissimo vade retro a caratteri cubitali verso trucco e parrucco. A Martina, però, non interessa assolutamente niente se è oggetto delle loro sciocche e futili attenzioni. Basta che non le rompano le scatole, della serie “Vivi e lascia vivere”, praticamente.
Aggiungiamo al pacchetto il fatto che è autolesionista, nel senso che, per trovare sollievo alle bruttezze della sua vita, usa come ardita via di fuga il tagliarsi, provocando sulle braccia sempre nuovi segni, cicatrici che si aggiungono alle vecchie, simboli che ricordano almeno la parvenza di una ragazza forte, che riesce a tollerare il dolore, nonostante si senta, invece, terribilmente debole, soprattutto quando cede alle lusinghe della lama. Tuttavia, la sedicenne non vorrebbe limitarsi a questo. Lei vorrebbe andarsene via del tutto, liberando della sua scomoda presenza sé stessa, sua madre e tutti gli individui della terra, permettendo loro, finalmente, di vivere serenamente una volta per tutte. Peccato che sia una vigliacca, a quanto la ragazzina stessa dice di sé: come può essere forte se non ha nemmeno la giusta e sufficiente energia per quell’ultimo passo da compiere? Dopo ben due tentativi di suicidio e un enorme ultimatum della madre, per evitare di rimanere internata in un ospedale sotto stretta sorveglianza, Martina è costretta ad andare regolarmente da una psichiatra, la dottoressa Scalzi, così innovativa nel suo modo di trattare i pazienti da essere quasi denigrata dai suoi colleghi.
La domanda da porsi ora è: cosa mai può aver scatenato tutto questo? Dove sta la radice del problema? Perché la protagonista di Senza più nome si comporta in questa maniera non salutare, né per chi le sta intorno, né per lei, nonostante la ragazzina sia sicura della non tossicità del suo atteggiamento?
A quattro anni sono stata rapita.
A undici anni sono fuggita dai miei aguzzini.
Per sette anni sono stata una bambina senza più un nome, né un’identità.
Adesso so chi sono.
Mi chiamo Martina e questa è la mia storia.
Penso che questa citazione, furbescamente adottata dalla sottoscritta come risposta eloquente ai precedenti quesiti, sia sufficiente a farvi capire cosa aspettarsi da questo libro di Elisabetta Barbara De Sanctis.
Senza più nome non è solo la storia di Martina. Essa rappresenta il suo percorso di rinascita, prendendo come punto di partenza le ceneri della protagonista, quei brandelli a cui è stata ridotta come conseguenza a ciò che le è successo, un passato ingombrante che ancora la tormenta, con ricordi confusi, i quali, affilati come lame, la uccidono lentamente, girando e rigirando nella piaga, facendo a meno di qualsivoglia pietà, senza permetterle di prendere un respiro ristoratore e concederle, quindi, un attimo di tregua. La soluzione più ottimale sembra quella di soffocare queste rimembranze, bloccarle sul nascere e rimandarle nel luogo dal quale sono emerse, cercando di porre un coperchio decisivo a questo vaso di Pandora, auspicando che una tale chiusura possa finalmente relegare, in maniera definitiva, tutto il dolore di Martina, là da dove non potrà più liberarsi e assediarla anima e corpo. Peccato che questa conclusione sia fin troppo facile, insomma, così semplice da risultare essere una scappatoia, che sicuramente non porterà mai a quanto sperato dalla ragazzina, portandola alla scoperta di quanto sia difficile metabolizzare le emozioni in silenzio, evitando di esternarle, senza farle defluire nei propri canali di scolo, non permettendo loro di rivelarsi al mondo, non mostrando la propria persona come debole, ma manifestando quella forza che abbiamo ma che pensavamo di non possedere affatto, credendoci così inferiore da non poter nemmeno immaginare di avere una simile peculiarità, quel coraggio di realizzare davvero ciò che abbiamo vissuto, guardarlo da una prospettiva diversa, scandagliarlo nei minimi dettagli trovando le risposte che tanto stavamo cercando, accettarlo effettivamente senza più scappare, evitando di vergognarci ulteriormente di noi stessi, non incolpandoci ancora e ancora degli eventi che ci hanno visti come protagonisti indiscussi, prendendo in mano ciò che resta di noi e ripartire da lì, per poter costruire una nuova città, ponendo come sue fondamenta le macerie rimaste dalla strage avvenuta precedentemente, ricreando così la nostra intimità, mattone dopo mattone, vincendo le nostre battaglie interiori, facendo lo scacco matto ai mostri che tanto ci angustiavano, che troppo solevano aggredirci quando meno ce l’aspettavamo, che decisamente molto desideravano malevolmente colpirci colpirci e colpirci ancora, portandoci allo sfinimento, accompagnandoci, a suon di bastonate e calci, in un pozzo senza fondo, una cavità sicuramente ristoratrice ma effettivamente oltremodo solitaria e buia per la nostra luce vitale. Tuttavia, il percorso che porta alla nuova Martina riesce a ingranare la marcia solo grazie alle persone che le vogliono bene e alla sua più grande passione, cioè la scrittura. Abbiamo di fronte i due unici rimedi alle difficoltà che la vita ci pone di fronte, complessità con le quali ci obbliga a interagire. I nostri affetti sicuramente rappresentano ottimi ascoltatori delle nostre personali paturnie, recettori ben disposti a sobbarcarsi almeno una parte dei nostri carichi emotivi, pesi morti da dover rivedere coscienziosamente per alleggerirli del fardello che rappresentano, digerendoli a tutti gli effetti e convivendo, finalmente, assieme a loro senza più alcuna guerriglia in corso, individui tra cui sicuramente si annoverano anche consiglieri capaci che ci indirizzano verso la soluzione migliore ai problemi che dobbiamo affrontare, conclusione a cui possiamo giungere esclusivamente utilizzando la nostra energia interiore, quella forza d’animo capace di smuovere mari e monti pur di vedere realizzati i propri sogni, pur di abbracciare la luce in fondo al tunnel in cui siamo incappati malauguratamente, pur di poter tornare a vivere davvero. Se, poi, nutriamo delle passioni, come per Martina è l’arte dello scrivere, sicuramente abbiamo un ulteriore vantaggio, una seconda mano amica che ci permette di rimanere a galla, un salvagente che può risultare importantissimo nella più burrascosa tempesta interiore perché, incanalando le nostre paure nei nostri interessi, possiamo liberarcene, almeno in una minima parte, usufruendo di queste inclinazioni personali per scampare alla prigionia latente in noi, abbracciando l’effettiva indipendenza nei confronti dei demoni interiori che ci soffocavano, ci deprimevano, ci toglievano la linfa vitale, una goccia alla volta, lentamente e implacabilmente.
A conti fatti, perciò, l’unica possibilità di buona riuscita per Martina è non arrendersi, mai e poi mai, sebbene tutto sembri muoversi contro di lei, facendola sentire l’unico salmone che cerca invano di risalire una corrente forte, rabbiosa, quasi avesse l’intenzione di bloccarla e rimandarla indietro da dove è venuta con fatica, sebbene tutto sembra provare odio nei suoi confronti, tanto da spingerla a sentire, sempre più travolgente, questo stesso astio sotto la propria pelle, veleno che entra in circolo nel suo corpo, indirizzandola verso quella che sarà la sua rovina più assoluta, mentale e fisica, un pacchetto letale e senza via di scampo: nulla è mai perduto, se c’è anche una sola stilla di speranza, se c’è almeno una persona che crede nel trovare, un giorno, la soluzione, la chiusura tanto voluta del cerchio doloroso di cui facciamo parte, l’epilogo che ci permetterà di dare il via a una nuova vita, ricominciare dall’inizio, pur sapendo ciò che è accaduto, ripartire da lì, dopo la rielaborazione dei fatti e la ritrovata sanità interiore, più forti e coraggiosi di prima.
Martina è una sopravvissuta, una bambina diventata adulta troppo in fretta, prima del tempo necessario ad elaborare cosa davvero significasse entrare nella maturità più completa, una ragazzina che, seppur malandata, è il simbolo di un’energia inesauribile ed inestinguibile, forza che stagna dentro di lei, non abbandonandola mai, celata marcatamente dalle sue paure più recondite, e che impetuosa erutta dai crateri profondi che segnano il corpo e l’anima della protagonista di Senza più nome, dirompendo in maniera così decisa da consentirle di affrontare i suoi mostri una volta per tutte, perché lei non è sola contro di loro, lei può contare su degli alleati non indifferenti in questa battaglia finale, dove ogni cosa terminerà e ogni cosa inizierà, dimostrando, in primis a sé stessa, quanto coraggio alberga in lei, in ogni cellula del suo corpo ormai provato e martoriato dagli eventi passati, quell’audacia necessaria a uscire dalla prigionia in cui si trova, la temerarietà che tutti possiedono, nonostante le apparenze magari dicano e dimostrino decisamente il contrario: ricercare noi stessi e ritrovarci per strada è l’unica arma che abbiamo per non soccombere, la sola nostra chance per vincere la resa dei conti.
Scheda libro
Titolo: Senza più nome
Autore: Elisabetta Barbara De Sanctis
Casa editrice: Elisabetta Barbara De Sanctis
Pagine: 260
Anno di pubblicazione: 2016
Traduttore: –
Genere: Narrativa contemporanea
Costo versione cartacea: 12.95 euro
Costo versione ebook: 2.99 euro
26 Ottobre 2016 at 11:18
Grazieeeeee <3
26 Ottobre 2016 at 11:29
Grazie a te <3 Per la storia e per avermi permesso di leggerla, GRAZIE <3 🙂