Inauguro con questa recensione la rubrica Ritorno al passato, portando i riflettori e la vostra attenzione su un classico poco conosciuto, almeno parlando per me, che però deve essere preso in considerazione, letto, riletto e “digerito”, aprendo la mente a moltissime riflessioni, poco piacevoli forse, ma necessarie, richiedenti tutta la concentrazione di un pubblico disposto a non fermarsi alle parole scritte, ad andare, quindi, oltre la semplice comprensione del testo, cercando tutti i significati nascosti, celati tra le righe, seppur tuttavia evidenti, urlanti, smaniosi nel volerci trascinare nell’oblio di un vortice magnetico e impossibile da rifuggire.
Di fronte alla carenza ma anche alla mancanza della letteratura passata, spiazzata dal fatto che da Bruges la morta Alfred Hitchcock si è ispirato per un film, il mio preferito dei suoi tra l’altro, e cioè La donna che visse due volte, come potevo farmi sfuggire l’occasione di assaporare un tale romanzo? Comprare questo libro è stato il primo acquisto cartaceo che ho fatto in casa Fazi e, sono certa fin da ora, non sarà l’ultimo. Assolutamente no.

Ofelia è morta, ormai da cinque anni, ma, nonostante la sua dipartita, sembra aleggiare ancora, tra gli esseri viventi, la sua parvenza evanescente, una presenza minima ma ingombrante, un fardello pesante che infesta continuamente non solo la mente di Hugues Viane, il marito ora vedovo e distrutto nell’indole per la scomparsa del suo unico e grande amore, ma anche la casa di lui, quella prigione-santuario in cui il tempo si è come bloccato e induce, quindi, l’uomo a passare lì i suoi giorni in attesa della morte, una fine che lo consolerebbe da tutta quella disperazione con il suo abbraccio freddo e caloroso al tempo stesso, quel punto finale chiusura dell’epilogo della sua vita, terminata già da molto a conti fatti, un involucro che continua il suo cammino imperterrito, passo dopo passo, verso la fine tanto agognata, reclamata, lasciandosi dietro l’anima già passata oltre, quello spirito deceduto, caduto nell’oblio del buco nero della solitudine, un isolamento forzato a cui lui stesso ha deciso di attenersi, per poter onorare il lutto e la donna ormai perduta.

Durante una delle sue solite passeggiate al calar del sole, piccola routine che si concede ogni giorno, prendendo pausa dalle riflessioni incessanti e imperterrite, rimuginando ripetutamente sul suo lutto e la sua desolazione, avviene l’inaspettato, l’impossibile, la speranza di una seconda possibilità, di una nuova vita, un altro bocciolo che, aprendosi, gli avrebbe permesso di ritornare al passato, consentendogli quel presente che aveva tanto desiderato e magari un futuro più roseo delle proprie previsioni. L’incontro con una donna, così identica alla sua adorata Ofelia, nel portamento, nella camminata, nell’incarnato, negli occhi di madreperla e nei capelli dorati, permette a Hugues di sognare ad occhi aperti, di crogiolarsi nel ricordo sfocato e sbiadito che ora, invece, si è fatto tangibile, reale, non più lontano, ancorato nella foschia della morte, ma tremendamente vicino, limitrofo a una vita tornata nuovamente a esistere, davvero. Questo fugace attimo, però, sfuma, senza concedere all’uomo un momento di respiro, un lieve ristoro dalla sua situazione distruttiva e distruttrice, quella piccola fiamma di speranza che si spegne, lasciando nuovamente il vedovo nell’oblio, facendolo tormentare dai dubbi, dalle domande insistenti che gli provocano una oltremodo frenetica brama di sapere, di conoscere, di capire. È l’ennesimo scacco matto del destino? La sorte può essere davvero così ironica, portandogli di fronte una lei vitale così simile alla lei defunta? Era solo un miraggio o si trattava della realtà? Hugues vuole rispondere a tutti questi quesiti, che lo lacerano sempre più, perseguitandolo ancora e ancora, come se fosse possibile sentirsi peggio di così, affondando del tutto in quelle sabbie mobili strazianti, affamate della sua carne viva e macilenta insieme, un luogo senza ritorno dove è sprofondato ormai da un lustro. In quale modo potrebbe continuare una simile vicenda? Spero di avervi abbastanza incuriosito. Ancora una volta, non posso evitare di dirvi di dare una possibilità a questo libro. Non ve ne pentirete. Ne sono più che convinta.

Bruges la morta è un libro dalle tinte spettrali, oscure, capaci di rendere cupo anche ciò che per antonomasia non lo è, avvolgendo nelle sue tristezza e malinconia tutto quello che inciampa malauguratamente sul suo cammino, travolgendolo con sensazioni di un’antica, ma ancora viva, disperazione, permeando con essa ogni sua singola parola scritta che, a fuoco, si imprime nel cuore dei lettori, quei malcapitati che hanno deciso di intraprendere un tale breve viaggio di 106 pagine, culminante in una fine non fine, in qualcosa che sicuramente conclude la vicenda ma che lascia una sensazione di incompletezza, unita all’amaro epilogo di un’esistenza finita da tempo, ma che malauguratamente continua imperterrita senza un attimo di tregua, un termine troppo sfumato e sfocato per renderci davvero conto che, sì, la storia è terminata del tutto, non c’è altro da aggiungere.
Le tenebre dell’afflizione sono dappertutto, in ogni pagina che viene voltata, in ogni parola che viene letta, in ogni paragrafo intrapreso e poi terminato. Ovunque si giri la testa, in ogni dove alberga la tristezza che caratterizza questo romanzo. Hugues Viane è il primo ricettacolo dove il germe dell’avvilimento attecchisce, facilitato dalla sua situazione emotiva, già ben nota fin dall’inizio del romanzo. In tutto ciò che fa, nel suo atteggiamento, nelle sue routine quotidiane, delle azioni terribilmente statiche, nonostante il dinamismo proprio che caratterizza delle siffatte iniziative, senza alcun tipo di vitalità, compiute quasi per forza, per sembrare normale agli occhi della gente, magari, o forse semplicemente per apparire in un modo atto a tranquillizzare chi gli sta intorno, evitando così di essere conseguenza di preoccupazioni, ansie, agitazioni, senza quindi un vero scopo, senza un reale desiderio di compiere, ma unicamente per il gusto di vivere, o almeno sembrare di farlo. Come un’ombra che diventa sempre più grande in rapporto proporzionale alla quantità di luce di cui si nutre, avidamente, senza tregua, ingurgitando le scintille di felicità, vomitando melma, un fango che cattura e imprigiona, tutto ciò sembra proiettarsi sulla città, questa Bruges, ultimo approdo della nave vitale di Hugues, quello in cui la sua imbarcazione ha deciso di attraccare, l’ultima stazione di una via desperationis senza speranza, un infinito calvario senza scorciatoie dolci, ma solo erti passaggi verso la cima che sembra allontanarsi sempre più, invece che avvicinarsi, abbracciarci calorosamente, donando quel conforto del riposo e del ristoro che tanto volevamo, desideravamo, agognavamo ardentemente.

Gothic Bruges di Dmitry Bakulin – Link al suo blog: qui

Il panorama, perciò, si amalgama bene alla figura del protagonista, provato dagli eventi e dai sentimenti, soprattutto da questi ultimi che lo stanno divorando in modo lento e inesorabile, un banchetto macabro che lo sfianca, lo avvilisce, lo muta nell’essere senziente ma senz’anima che è diventato, il tutto accentuato da un linguaggio perfetto e adatto a intensificare l’atmosfera surreale di avvilimento, collante ineccepibile che onora, con un tripudio trionfale, la decadenza, l’ammuffire, la bruttezza delle vicende narrate, rendendo chi legge da una parte spaesato di fronte a tutto questo dolore, dall’altra demoralizzato, sentendosi non solo parte del libro, della storia, ma impersonando facilmente e direttamente il protagonista stesso. Bruges incarna un’ambientazione che non permette di vivere, non consente di respirare l’aria pura dell’andare avanti, del continuare sul cammino della nostra esistenza, le cui radici si diramano nel passato, ricordi da non dimenticare, da metabolizzare, usandoli come punto di partenza, quel prologo di un altro libro inedito che vogliamo scrivere: continuare a picchiare sullo stesso chiodo di sempre, dopotutto, non fa altro che peggiorare la situazione e crogiolarsi in un lutto perenne non serve a niente, se non a deperirci, degradarci prima del tempo, prima della nostra vera dipartita, anticipata quindi nell’ordine legittimo degli eventi, e noi, volenti o nolenti, siamo così portati sul fondo del barile dalla forza sconosciuta della disperazione e da lì non possiamo, o magari non vogliamo, più muoverci nella direzione opposta, allontanarci per poter tornare a vivere. Hugues è così: sente dentro di sé una potenza, un’attrazione fatale verso un punto preciso, il fulcro del suo essere, quella moglie che tanto amava, Ofelia, una donna che, col passare degli anni, nella mente contorta e sconvolta dell’uomo, è diventata un idolo, una sorta di dea da venerare, da onorare, da non profanare con i vizi a cui il vedovo potrebbe concedersi, peccati che non deve assolutamente commettere, come ad esempio continuare a vivere senza di lei, denigrando la felicità ormai perduta e quell’amore che gli ha permesso di trascorrere i dieci anni migliori della sua esistenza, un sentimento che mai potrà riprovare per nessun altro, cosa che lui sa piuttosto bene. O forse no? Quando, poi, nella consapevolezza di aver sbagliato, di essersi fatto coinvolgere da qualcuno che, basandosi unicamente sull’esteriorità, sembrava rispecchiare i suoi antichi desideri solo assopiti, ma che invece nascondeva nei suoi meandri una persona dalla quale il protagonista non si sarebbe mai fatto ingannare e catturare, a quel punto, inevitabile è il pentimento, ineluttabile è il desiderio sempre più vigoroso di allontanarsi dalla felicità ritrovata dopo anni, di cui Hugues avrebbe fatto volentieri a meno ma che ora sembra essere impossibile evitare, visti i risvolti conseguenti, e da cui si sentiva quasi allergico, come se abituarsi alla novità ben conosciuta fosse il vero peccato, come se venisse giudicato da queste libertà legittime eppure malviste, come se qualcuno, dall’alto della città e del Paradiso, vedesse, comprendesse e lo fulminasse da lontano. Tutti questi tormenti interiori sono ben descritti attraverso innumerevoli riflessioni dell’uomo che accompagnano la narrazione delle vicende, camminando fianco a fianco a esse, gemelle siamesi con in comune l’ormai noto fulcro, il perno della vita del vedovo, Ofelia, la donna che imprime la forza gravitazionale necessaria ad attrarre Hugues e i suoi pensieri, la stella centrale del sistema solare di un uomo, ormai perduto, nonostante cerchi di uscire da questa situazione con il nuovo che, però, richiama sempre ed inesorabilmente il vecchio, un passato che rivive nonostante abbia fatto il suo tempo, un ricordo che esce dalla sua natura di reminiscenza per tornare in auge, nel presente e nel futuro che lui vuole assaporare goccia dopo goccia, come un assetato alla fonte d’acqua ritrovata nell’oasi dove si trova, un paradiso che sembrava un miraggio ma che, all’opposto, non lo è.
La chiave di tutto, comunque, rimane l’ubiqua moglie defunta, una presenza quasi tangibile nonostante il suo passaggio a miglior vita, la singola causa della debolezza e dell’energia dell’uomo, un tallone d’Achille che è pure un punto di forza da sfruttare. Come l’immagine superlativa della copertina suggerisce, Ofelia sembra rivivere non solo nei ricordi di suo marito ma anche nell’aspetto della città, un insieme di case tetro quanto gli occhi neri di madreperla della donna, con un’unica colorazione che le dona quella sfumatura vitale necessaria a dimostrare la sua animosità, contraria al decesso che sembra invece dimostrare in tutte le sue particolarità, una tinta permessa unicamente dal tono dorato della chioma morta ma simbolo di una vita passata, la famosa treccia elevata a reliquia di preghiera a cui Hugues è fortemente devoto, legato a essa come lo era a sua moglie, quasi come se lei vivesse tra gli edifici tetri di Bruges. Come se lei fosse Bruges, Bruges che è morta, Bruges che è la morta.

 

 

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Scheda libro

Titolo: Bruges la morta
Autore: Georges Rodenbach
Casa editrice: Fazi Editore
Pagine: 106
Anno di pubblicazione: 2016
Traduttore: Catherine McGilvray
Genere: Narrativa contemporanea
Costo versione cartacea: 15.00 euro
Costo versione ebook: 6.99 euro