Lunedì, ansia e studio: un trio più funesto di questo, che chiaramente non promette nulla di buono, l’abbiamo? No, certo, se si è una studentessa universitaria in crisi come me. E quale mai sarà la via di fuga a questa situazione irrisolvibile? Un romanzo, ovvio.
Sono convinta che esista un momento preciso e unico per affrontare un libro, ma penso anche che ci sia un solo testo in grado di riempire un istante definito e specifico nel tempo. Quindi, scegliere Un imprevisto chiamato amore, l’ultima fatica letteraria di Anna Premoli, per affrontare quella giornata non è stato proprio un caso, sebbene possa sembrare così: come al solito, leggere un romance di questa grandissima autrice italiana, incontrata alla fiera Tempo di Libri a Milano, emozione unica per me visto che è stata la prima volta in cui ho potuto finalmente partecipare a un talk e far firmare la mia copia personale cartacea, è stata la perfetta pausa capace di rigenerare la mia stanchezza mentale, utilizzando deterrenti quali i batticuori scaturiti e le risate provocate.

Jordan Walsh ha finalmente un piano. Di primo acchito pare essere una sciocchezza da dire, superficiale routine ovvia di ogni giorno, ma in verità rappresenta un evento da ricordare negli annali della storia, in modo tale da tramandarla ai posteri e alla loro progenie, ricordandola per l’eternità: dopotutto, la nostra protagonista è discendente di una famiglia che, in tutta la vita, mai ha stretto amicizia con l’idea di architettare un qualsivoglia progetto, che esso fosse destinato a interessare uno stupido fine o un eccelso scopo filantropico.
Per questo motivo, ora si trova a New York e non a caso la sua scelta di lavoro è caduta sulla caffetteria dove ha preso servizio da pochissimo tempo, una decisione che da una parte scaturisce dalla consapevolezza di Jordan di essere adatta solo all’occupazione di cameriera, visto che dalla sua può contare esclusivamente su una bellezza straordinaria, incentivo che nei bar è spesso richiesto e ben accolto, e dall’altro lato nasce proprio dal suo obiettivo ultimo, cioè sposare un dottore con un bel conto in banca, meta che potrebbe essere raggiunta facilmente dato che di fronte al bar dove è stata assunta si trova il Presbyterian Weill Cornell Medical Center. Non un gestore di hedge fund o private equity qualsiasi e nemmeno un avvocato capace di rubarti ogni avere in caso il matrimonio sfoci in un divorzio con i fiocchi.

Diciamo che i medici devono possedere o almeno aver posseduto qualche istinto benevolo verso il prossimo nel momento in cui hanno optato per una simile carriera. E poi, detto con grande franchezza, è gente che ha cose ben più importanti da fare che badare alla propria moglie…

In cambio della compagnia perenne della sua esteriorità invidiabile, chiede, in primis, la sicurezza emotiva che ha sempre desiderato ma che mai ha potuto ottenere dalla e nella vita e, in secundis, i soldi, utili per tutto, soprattutto per gli inconvenienti che spesso affollano la nostra esistenza.
La nostra moderna Holly Golightly, quindi, sa per certo cosa vuole e lo avrà, in un modo o nell’altro. Gli imprevisti? Li affronterà a testa alta, destreggiandosi tra essi senza problemi, come solo una donna forte e determinata potrebbe fare. Ok, forse l’appendicite esattamente il primo giorno di lavoro non è proprio ciò che sperava le capitasse. E sicuramente non aveva preventivato di fare la conoscenza di Rory Pittman, un angelo in camice bianco che la salva da una pericolosa peritonite. Ma sì, dai, un nonnulla di alcuna importanza… Forse…

Grazie all’autostima tutto ci è consentito: alla fin fine, da una parte, essa ci fa comprendere che siamo capaci di celare, nel nostro profondo, una forza intrinseca, quell’energia che, una volta radunata e addensata in un unico agglomerato di potenza, risulta pronta ad essere convogliata verso gli ostacoli che la vita ci impone, fatalità da sbaragliare per non rimanerne invischiati o in qualche modo bloccati, arenati alla deriva di una stasi definitiva ed eterna, avversità che solo in questa maniera possono essere affrontate a testa alta, sapendo nel proprio intimo di dare il massimo, indipendentemente dall’esito che otterremo, risultato che in ogni caso ci farà crescere e maturare, aggiungendo una nuova esperienza alla collezione iniziata dal principio di noi, sfide queste che, senza il giusto incentivo e lo slancio adeguato, non avremmo certo preso in considerazione come obiettivi primari del nostro cammino, evitando perciò di intestardirci a riguardo, non dimostrando quella sorta di ossessione nel voler intraprendere le determinate svolte sopra menzionate; dall’altro lato, ci permette di elencare sotto forma di lista mentale i nostri punti di forza e quelli opposti di debolezza affinché ci concentriamo sui primi, cercando di approfondirli, scoprendo pian piano tutti i loro dettagli, anche i più nascosti e non palesi a un sommario studio superficiale, ed esaltarli, in modo tale da sentirsi fieri di possederli, utilizzandoli poi a nostro vantaggio, quando pare evidente che la situazione richieda il loro intervento, e ci dimentichiamo dei secondi, tanti piccoli pesi caratterizzati da valenze differenti e disomogenee che, a poco a poco, al pari delle zavorre fissate a una mongolfiera, se non abbandonati a loro stessi, inevitabilmente ci affonderanno, precludendoci ogni possibile via d’uscita, appesantendo il nostro animo fino a farci toccare le corde intime del nostro essere e compromettendo il nostro raziocinio, fedele alleato che può, in tale maniera, trasformarsi nel più acerrimo nemico, dando vita alle diffuse paranoie che, certo, non porteranno a nulla di buono.

Inaugurare la fase della nostra vita in cui finalmente ci apprestiamo a credere in noi stessi è la fatale conseguenza di questo iter continuativo e in costante divenire.
Tuttavia la spavalderia e la sicurezza, che in maniera inevitabile acquisiamo, potrebbero rivelarsi armi a doppio taglio, letali stiletti con i quali ferirsi gravemente, senza neanche accorgersi di ciò che questo implicherà un prossimo domani, non rendendosi quasi conto di quanto stiamo rischiando a dar loro l’ampio raggio d’azione che, seppur l’abbiano guadagnato con la perseveranza e la testardaggine proprie del voler raggiungere ostinati un obiettivo, si ritorcerà, prima o poi, contro noi stessi: anche se esse ci aiutano a non soccombere sotto i colpi ben assestati della vita, permettendoci di stare al mondo senza gli sforzi legati a un’esistenza accompagnata con sollecitazione dalla mancanza di fiducia in noi stessi, emerge, all’inizio leggera, in seguito profonda, pronta a insediarsi con radici ben salde nel nostro cuore, ermetica e arida prigione di emozioni passate e non presenti, che forse mai avranno un futuro, e nella nostra mente, fortezza incentrata sulle sue mete che non concerne alcun tipo di deviazione, nemmeno se il caso decide di darle possibilità tra cui scegliere, una sorta di fatica nell’abbandonarsi al prossimo, una mancanza tale da indurci a dubitare di chi ci sta di fronte, sebbene si denotino buone intenzioni da parte sua, prima solo in superficie, poi anche nei meandri del suo animo gentile e amorevole, come se ci aspettassimo delusioni da ogni persona che incrocia il nostro cammino e vi sosta il tempo sufficiente a entrare in collisione con la nostra trama vitale, inciampando nella rete che oculatamente abbiamo ordito e continueremo a fare per l’eternità, uno sforzo che si crea come ovvia conseguenza dello sviluppo di fede nei confronti di noi stessi, non più schiavi degli altri e del loro giudizio affrettato, completamente padroni di ciò che siamo e vogliamo essere nel nostro avvenire.

Questo atteggiamento ci costringe a far nostro il detto Meglio soli che male accompagnati. Dopotutto, se si può contare su un vigore personale ingente che, al pari di un ariete, può sbaragliare qualsiasi ingresso, sebbene massiccio, conquistando il castello di cui era l’uscio, accontentarsi di una copia malfatta o di una sua semplice parvenza che non è assolutamente in grado di rassicurarci sulle sue stesse potenzialità risulta la mossa peggiore da attuare, se si vogliono evitare cattivi risvegli dal nostro sogno divenuto per e da poco realtà, mondo vero a cui siamo abituati e a cui rinunciare diventa, col passare delle mere ore, impensabile e impossibile, un’opzione alla quale non si può desiderare di pensare perché già abbiamo il meglio e lo stringiamo tra le nostre mani, convinte di ciò che possiedono e del suo valore, bramose di approfondirne gli effetti e gioirne, una rinascita capace di catapultarci nel più buio degli incubi, dal quale però destarsi risulta inagibile e inattuabile, come se fossimo costretti da qualche attrazione magnetica a rimanere invischiati nelle sue spire vessatorie e bloccanti, brusche frenate al nostro entusiasmo che aveva trovato un terreno fertile per riaversi e rafforzarsi, reperendo la sua natura giocosa, congelata nel tempo, sospesa tra un istante e l’altro per essere attivata di nuovo al momento giusto, una data e un orario precisi cerchiati di rosso sul calendario, importanti promemoria che segnano la nostra esistenza e, non appena le lancette dell’orologio scoccano, decretano l’incipit di una completa rivoluzione, ottenendo l’opposto di ciò che siamo, lieti di smettere la vecchia versione di noi per abbracciare la novità più che accolta, svincoli necessari da prevedere qualsiasi sia la nostra volontà perché, tutto sommato, non abbiamo voce in capitolo e non possiamo far valere il nostro legittimo cogitare, pensieri in libertà incanalati verso un unico punto, il nostro intimo desiderio.

Tante dinamiche risultano perciò precluse, in particolar modo l’amicizia e l’amore, due entità emotivamente instabili che creano, in maniera paradossale, una specie di baricentro saldo, punto fermo intorno al quale tutto vacilla e tutto è ben fisso nella sua posizione precaria, perno di una vita, cardine di ognuno di noi. Oramai ci si chiede se, in modo concreto, ciò di cui ci vantiamo è il fulcro da osannare e idolatrare. E se fosse sbagliata la concezione che lo vede come protagonista? E se i riflettori fossero da rivolgere verso le nostre cosiddette mancanze che, qualora venissero osservate più da vicino, interessandole di un’indagine approfondita, esame scrupoloso fatto su ogni loro piccolo particolare, si potrebbero associare al contrario dell’etichetta che abbiamo affibbiato loro?
Basta poco affinché le nostre finte virtù presunte tali si trasformino in condanne da manuale, galera forzata dove ci accolgono anni di ergastolo a una vita concepita in modo sbagliato, gabbia dorata dalla quale le immagini scorrevoli dell’esistenza appaiono nella posizione errata, come se un velo fosse steso su di esse e in qualche modo le schermasse, filtrandole e distorcendole, creando nuove istantanee a partire dalla realtà presa goccia a goccia, distillata con pazienza per generare una sua verosimile ricostruzione, mera falsità di cui esultare e disperarsi insieme.
Ci fraintendiamo, prendendoci diversamente da ciò che siamo.
Ci sminuiamo dove non dovremmo, ridicolizzandoci senza una valida motivazione.
Ci demoralizziamo, mascherando da bravi giocatori di poker l’impatto emotivo che l’esser masochisti provoca nei nostri riguardi.

In realtà, sotto quella corazza che ci siamo costruiti addosso, un’armatura scintillante e bellissima che non solo si erge in tutta la sua magnificenza sotto lo sguardo attento e perspicace degli altri, ma si rivela monumentale anche di fronte a noi stessi, piccoli e indifesi rispetto la sua impetuosa sostanza, grattando poco per volta la scorza che ricopre il nostro essere e togliendo la patina che ci riveste come una seconda pelle, avvalendosi del ruolo di scudo protettivo dai malefici del mondo, troviamo un’altra realtà, totalmente differente a proposito di ciò a cui siamo avvezzi, un universo parallelo che, per poter cominciare a esistere, necessita di una sveglia non indifferente, uno scossone ben assestato che lo aiuti a ingranare la marcia, causando in noi stessi la sola sommossa imprescindibile, quell’unico maremoto che sia capace di scrollare dalla nostra mente le convinzioni di una vita e dal nostro cuore i tarli amari di sempre.

Se prima la paura di rimanere isolati al mondo e il timore di un’esistenza senza solide prospettive future ci avevano spinti ad offrire qualsiasi parte di noi pur di salvaguardarci da un destino così infausto, barattando persino la nostra felicità in cambio di ciò che davvero sembra contare, ponendola all’ultimo posto al pari di merce avariata e senza alcun valore, come se questo comportamento significasse sacrificarsi per un bene superiore e quindi impersonare un supereroe dalle scintillanti vesti, ora, dopo aver aperto gli occhi e aver realmente visto, ci domandiamo se in effetti ne vale la pena.
Conviene vivere una vita a metà, lanciata verso una destinazione che ci definirà trionfanti a conti fatti, ma sconfitti e aridi nell’anima?
Conviene davvero essere succubi di un’esistenza bella esternamente e marcia nelle sue profondità?
E se magari esiste un’altra soluzione non prevedente l’annullamento totale di noi stessi, portandoci ad auspicare in una via d’uscita che non comprenda per forza l’agonia malinconica a cui malauguratamente ci sottoporremmo?
Rompere gli schemi iniziali e le pianificazioni mirate che ci hanno costato comunque uno sforzo senza pari personifica la scappatoia che, inconsciamente, stavamo attendendo, un cambiamento completo e globale che ci induce a riflettere e credere all’inaspettato, cioè al fatto che là fuori, contro ogni nostra pessimistica previsione, c’è un posto per noi, un luogo dove sentirci realmente a casa, un caldo abbraccio nel quale l’abito non fa il monaco e la diversità è soltanto il simbolo più sincero di unicità: ognuno di noi, infatti, è bello, contando tutte le sue differenze peculiari, dentro e fuori, sempre.

Un imprevisto chiamato amore di Anna Premoli è da considerarsi una favola moderna dove l’amore è l’assoluto protagonista, l’unica entità capace di cambiare, nel migliore dei modi, chi entra in contatto con essa e di modificare il mondo di ciascuno, donando una nuova visione di vita che fa sorridere e rende felici, un plus ultra che trasforma un’esistenza spenta in un’esplosione di colori, toni delle sfumature più disparate che aggiungono tutto e tolgono niente. In questa libera rivisitazione di Colazione da Tiffany, l’autrice utilizza il suo caratteristico stile scherzoso che pone le premesse ideali per le scene esilaranti tipiche dei suoi romanzi, nonostante vengano, peraltro, trattate tematiche significative e decisamente non superficiali, provocando un netto bilanciamento tra le due parti, necessario passo da compiere per smorzare l’intensità relativa, evitando di cadere nell’errore di una pesantezza disturbante, e mantenere un’atmosfera frizzante e scanzonata, permeando l’ambiente dell’usuale aria letteraria di casa.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Un imprevisto chiamato amore
Autrice: Anna Premoli
Casa editrice: Newton Compton Editori
Pagine: 246
Anno di pubblicazione: 2017
Genere: Romance
Costo versione cartacea: 9.90 euro
Costo versione ebook: 2.99 euro
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