Nonostante siano passate tante settimane dalla prima volta che ho accettato di recensire su richiesta degli autori i loro libri, ancora non sono riuscita davvero ad abituarmi a questa bellissima situazione: sapere che gli scrittori si interessano alla Nicchia Letteraria è sempre una notizia stupefacente che lascia nei nostri cuori di bookblogger una sensazione di pura beatitudine, una sorta di dimostrazione che, sì, alla fine stiamo lavorando bene, come ci eravamo prefisse di fare fin dall’inizio. Se, poi, tra le tante email ricevute si materializza quella di un’esponente letteraria di spicco, lodata da moltissime tue amiche, allora ti senti ancora più lusingata e desiderosa di leggere per la prima volta una sua opera. Ora sono qui, a mangiarmi le mani, perché avrei dovuto, già da tempo, buttarmi a capofitto nelle sue storie. Meglio tardi che mai, giusto? Voialtri, però, non commettete il mio stesso grossolano e imperdonabile errore: se fino ad ora non l’avete letta, non indugiate ulteriormente e catapultatevi tra le righe poetiche e calamitanti di Mariangela Camocardi.

Siamo a Milano nel 1414. Cristiana Mariani, incinta dell’uomo che ama, si ritrova dopo due anni nella vecchia casa di famiglia, una dimora lugubre e deserta, desolata nel destino che le è stato concesso, cupa e malvagia negli anni che l’hanno vista popolata, tetto testimone di atti maligni e tiri mancini, a cui tutti erano stati iniziati in maniera brusca e inevitabile, forzando gli animi di qualche membro della famiglia a una vita arida, triste, vuota. È bastato un attimo per far rivivere alla diciottenne i ricordi distruttivi di quel periodo, rimembranze che ha sempre cercato di sedare, di isolare in un antro cavernoso della sua mente, relegandoli lì e catalogandoli come incubi e null’altro, spettri di un tempo che ormai non esiste più, sopraffatto adesso da giorni felici, gioiosi come sperava di avere fin dall’inizio, testimonianza di aver forse intrapreso la strada giusta da seguire o, semplicemente, prova tangibile dell’arrivo della famosa quiete dopo la tempesta, bufera che avrebbe potuto distruggerla senza possibilità di ricostruirsi, crepandole lo spirito spensierato di quell’età superata, defunta come qualcuno, ma rinata ora come il sole che ogni giorno sorge e ci allieta con il suo calore, abbraccio che inonda il mondo, rinvigorendolo. Con qualche ex cursus storico, intrusione narrativa che si addice decisamente al momento, Cristiana, ancorata a una colonnina di terracotta, volgendo lo sguardo verso quelle scale maledette, gradini insidiosi e gravidi di sventura, affronta i suoi demoni per l’ultima volta, ripercorrendo la sua storia, ciò che le è successo, ciò che l’ha portata a essere la persona che è, lì, in quel momento, aspettando che il teatro degli istanti più difficili della sua adolescenza troncata venga finalmente venduto a un nuovo proprietario che, sicuramente, la nostra protagonista non invidierà mai.

È ragionevole pensare che, dopo molte tribolazioni, si possa trovare finalmente la serenità, quella felicità che tanto si andava cercando, ma che per un motivo o per l’altro ancora non si era raggiunta?
È difficile rispondere a una domanda del genere, soprattutto se si è nella condizione per la quale fidarsi e sperare sono due atteggiamenti in cui proprio non crediamo più, predisposizioni dell’animo, vitali per anche solo pensare di avere una qualche possibilità di ripresa e rinascita future, ormai però decedute col passare del tempo, sotto i colpi micidiali di un fato che sembra volersi prendere gioco di noi, destinandoci esclusivamente momenti penosi di una vita sembrante giunta al termine, attimi di violenze e scelleratezze inaudite, dove solo noi, persi, vaghiamo, indiscussi e malcapitati protagonisti di tragedie non ancora scritte ma annunciate, istanti così bui e imprigionanti da farci annaspare e soffocare, tra le sbarre di un oblio profondo e dimenticato, anche in quello spazio caldo e accogliente, nel quale identifichiamo il nostro rifugio candido che credevamo immune da qualsiasi contagio malevolo e che, invece, purtroppo, non siamo riusciti a preservare.
In simili condizioni invivibili e ingestibili, come si potrebbe mai sopravvivere? Chiaramente, non si può e non si deve sperare di non rimanerne toccati, stravolti, cambiati. Non ci è più concesso vivere con serenità e spensieratezza la vita che ci stava accogliendo a braccia aperte, non ci è permesso continuare a esistere in quel mondo di bambagia a cui eravamo abituati, un regno di fantasia così reale dove l’ovatta ci racchiudeva amabilmente, permettendoci un soggiorno più che dignitoso in quell’Eden personale, paradiso terrestre nel quale ancora eravamo capaci di ridere di gioia e sorridere fiduciosi verso il nostro avvenire. No, niente di tutto questo ci è ancora consentito: ormai, la nostra bolla, il rassicurante scrigno dove la felicità faceva da padrona, è esplosa in tante piccole gocce, esigui segni di un tempo che era, non è più e mai sarà. Accogliendo questa nuova consapevolezza, anche se indesiderata, cresciamo, volenti o nolenti, fase di sviluppo obbligata dagli avvenimenti che si susseguono intorno a noi, consentendoci, in tal maniera, di non rimanere indietro, di non perdere la bussola, di non smarrire la strada maestra, quella che stavamo solcando e che ora sembra farsi sempre più ripida, erta, difficoltosa, allontanando a poco a poco la meta che ci eravamo prefissi, trasformandola in un’entità lontana e remota, miraggio di qualcosa che c’era ma che adesso è semplicemente indefinito, scomposto, fumoso come la nebbia fitta in cui la realtà, in questo istante, ci relega impunemente, senza remora alcuna. Legittimo è avere paura, covare in seno un notevole timore, che, strisciante e insinuante, si sedimenta sotto pelle e pone le sue radici infette nella nostra carne pura e incontaminata, distorcendo tutte le nostre convinzioni fin dalle fondamenta, persuadendoci a riflessioni fin troppo dure, fin troppo falsate di una realtà che esiste davvero solo in minima parte, imponendoci delle idee che cozzano, nella loro natura, con quelle stelle polari che una volta ci confortavano attraverso la loro presenza fissa e rassicurante, nelle notti senza fine dove anelavamo una mano amica che ci potesse aiutare, una spalla amorevole su cui piangere, una persona caritatevole che ascoltasse ciò che avevamo da dire, senza imporci limiti o un silenzio non necessari in quel frangente. Tutto ciò non basta, però, a spezzarci, almeno non interamente: la temerarietà del nostro animo ci consente, infatti, di non vacillare di fronte ai soprusi, di non demordere, sebbene tutte le situazioni vissute e che viviamo ora paiono urlare nella direzione opposta, di non avvilirsi proprio là dove il nostro spirito combattivo deve stagliarsi eretto, sul primo posto del podio, fiero e consapevole della sua forza interiore, sfidando qualsiasi individuo e qualsivoglia evento che può lederci con ogni corpo contundente a sua disposizione, facendoci nutrire una piccola fiammella di speranza, non nel genere umano nel quale riporre un certo tipo di appiglio ottimistico ormai è decisamente vano, ma in un’entità superiore, l’unica che forse a modo suo può proteggerci e avere una voce significativa in capitolo.
Tuttavia, la caparbietà è un’arma a doppio taglio, fortunatamente: essere testardi è il primo passo da compiere per poter lanciarsi all’avventura, verso quell’occasione perduta in precedenza ma che ora vediamo nitida stagliarsi all’orizzonte, dove il sole, simbolo per antonomasia riconducibile alla rinascita, continua imperterrito a riscaldarci i cuori, infondendo stille di esistenza e speranze senza eguali, imperiture e positive, contro ogni nostra previsione sibillina. Il coraggio certo non ci manca e, proprio grazie ad esso, strumento utile e necessario per la riconquista della nostra vita, capiamo che, dopotutto e nonostante tutto, noi meritiamo molto di più dalla realtà che ci circonda, noi meritiamo tutto ciò al quale un comune essere umano può aspirare, una famiglia da accudire e da amare, delle amicizie solide che potrebbero lenire le nostre ferite e aiutarci a vedere il lato giusto della medaglia, un amore sconfinato verso colui o colei che ci merita totalmente, senza freni, e che è meritato, a sua volta, proprio da noi, quelli che fino a poco prima potevano essere considerati alla stregua di reietti, degli scarti il cui unico destino è chiaramente marcire e nulla più, un presente che veramente è il dono tanto acclamato e desiderato da tempo immemore, un passato degno di essere ricordato con profondo affetto e nostalgia, un futuro tutto da scrivere, pagina dopo pagina, a quattro mani, con chi dividerà il nostro avvenire, tenendoci una compagnia insperata e anelata al tempo stesso, e da vivere, un passo alla volta, senza fretta, senza limiti, oltre ogni paura, solo con il sorriso sulle labbra. Sebbene siano obiettivi i suddetti che potrebbero risultare difficili da raggiungere ormai, a questo punto del nostro cammino, alla fine, là dove la boscaglia si dirada e ci permette di vedere il panorama nella sua interezza, troveremo la pace che ci aveva guidati fin lì, scopo ultimo che ci fa sperare in un lieto fine, facendoci ritrovare il nostro positivismo di tanti anni prima, dimostrandoci che, sì, dopo la tempesta, c’è sempre e solo la quiete. Non può piovere per sempre, dopotutto.
A quel punto, tutti i tasselli del puzzle cominciano a sistemarsi nella loro giusta ubicazione, ritraendo l’immagine che da soli celavano imperterriti, agguerriti sostenitori di una visione prettamente menzognera ed enigmatica della realtà, incalliti nel loro compiere raggiri e sotterfugi, nascondendo ciò che effettivamente era ed è. A lungo andare, purtroppo per chi ha tentato in ogni modo di occultare l’evidenza, i nodi vengono al pettine, permettendo rivalse dalle parti lese, consentendo loro di impadronirsi di tutto quello che si erano visti rubare, senza poter porre alcun ostacolo, senza poter impedire che ciò avvenisse, senza poter combattere davvero per difendere la propria fortezza e difendersi dall’attacco frontale dirompente, prendendo parte, quindi, a un gioco dove la disparità era di casa, osannata e protetta a spada tratta, con ogni mezzo possibile e immaginabile. La vendetta è un piatto che va servito freddo, magari accompagnandolo anche con contorni di tutto rispetto, sorpresine che lasciano il segno, rincarando con gli interessi i prestiti non voluti ma avuti in passato. Anche il nostro cuore, di fronte a questo scenario, rimarrà gelido o forse saremo mossi da un qualche inizio di pietà, richiamo ancestrale e antico a cui solo chi non è avvezzo all’umanità può non rispondere? Sicuramente no, ma altrettanto sicuramente non possiamo farci trovare deboli e indifesi, mostrando le feritoie da cui, ancora una volta, gli avversari, coloro che ci hanno sbeffeggiato sempre e comunque, potrebbero infilarsi di soppiatto e conquistare i nostri possedimenti. Il caso conosce parecchio bene l’ironia: che sia nei nostri confronti o in quelli degli altri, il destino attacca con il suo sarcasmo da quattro soldi, portando con sé un prezzo altissimo da pagare, conto salato che qualcuno, prima o poi, deve saldare.

I pirati del lago è una storia di passioni, intrighi, tragedie, gioie e dolori, raccontato in maniera magistrale da un’autrice decisamente avvezza nel suo ruolo di narratrice esperta e coinvolgente. Mariangela Camocardi, con una narrazione fluente e avvincente, porta il lettore all’interno di un’avventura al cardiopalma, dove il cuore non può che perdere battiti ad ogni pagina che volta, vortici di parole che catturano il pubblico, arpionano il suo animo e lo lasciano morente, abbandonato al suo destino infausto, strappato di tutte le sue emozioni, sentimenti che vengono esaltati nel corso della lettura, richiamandoli a gran voce, e che, alla fine del romanzo, lasciano stremati, svuotati di tutto ciò che potevano dare. La scrittrice, attraverso un linguaggio diretto, studiato nei minimi particolari e molto evocativo, permette di vivere sulla propria pelle le vicissitudini di Cristiana e di chi l’accompagna in questo viaggio verso la felicità che tanto si merita, scortandole con una spiegazione molto dettagliata e sicuramente in linea con il genere letterario de I pirati del lago degli eventi storici del periodo preso in considerazione, buttando il lettore nella mischia, trasportandolo là, nella Milano del 1400 dove i sogni e le speranze del suo popolo risuonano in lontananza, all’arrembaggio di un’esistenza che ancora non li ha ricompensati davvero degli sforzi e delle conquiste per cui hanno combattuto, combattono e combatteranno. Fino alla fine.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: I pirati del lago
Autore: Mariangela Camocardi
Casa editrice: AmazonEncore
Pagine: 330
Anno di pubblicazione: 2016
Traduttore:
Genere: Romance storico
Costo versione cartacea: 9.99 euro
Costo versione ebook: 4.99 euro
Link d’acquisto: Amazon