Prima di incominciare il libro di cui ora vi parlerò, temevo che il mio cuore ne sarebbe stato fortemente intaccato. Credevo che sarei rimasta molto scombussolata a seguito di questa lettura, incassando i “colpi” della storia, senza fiatare, attraverso sbalzi d’umore decisamente evidenti e rilevanti, altalene emotive che, come tanti pendoli di Foucalt, imperterrite non avrebbero esitato a perpetrare il loro movimento oscillatorio pressoché infinito. Ed effettivamente, Storia di Aya. In fuga dalla Siria per amore mi ha colpita nel profondo, centrando in pieno la mia sensibilità e facendomi riflettere su una parte di realtà quotidiana, situazione che vede la nascita ad ogni alba e la morte ad ogni tramonto, riprendendo il giorno dopo lo stesso iter esistenziale e così da moltissimo tempo: attraverso un focus sulla vicenda che ha colpito i due giovani siriani protagonisti, vediamo tra le pagine del libro di Marinella Fiaschi e Maurizio Quilici uno spot puntato sul fenomeno dell’ondata migratoria che sta colpendo l’Europa, in particolare e soprattutto l’Italia, e la verità che sta dietro questa storia fa comprendere quanto ciò che pensiamo di conoscere sulla questione sia solo la punta di un iceberg della cui natura, a conti fatti, non sappiamo assolutamente nulla.

Fadi è un siriano di trentaquattro anni che si è stabilito in Svezia con sua moglie, della stessa nazionalità, e i suoi due bambini. Una decisione radicale questa, presa in seguito a delle avvisaglie che avevano coinvolto il ragazzo, tra cui interrogatori, dal tono quasi minaccioso, riguardanti le sue opinioni politiche e quel lavoro che lo portava a intraprendere continui spostamenti in diversi stati, e alla paura costante che ormai aleggiava nell’aria da tempo, un timore profondo causato dal clima pericoloso ed elettrico derivante dalla guerra che peggiorava giorno dopo giorno, dai bombardamenti sempre più vicini alla possibilità di ferire irreparabilmente i suoi cari e, infine, dalle uccisioni a mano a mano maggiormente frequenti e sadiche, bagni di sangue che segnavano tutti coloro che li notavano anche solo da lontano o per sentito dire, mari rossi che di cristallino non avevano proprio nulla, pozzanghere illimitate di morte che ben rappresentavano il proverbiale inferno sulla terra. L’unica soluzione era abbandonare quella barca, che ancora oggi sta affondando con lentezza e costanza, e con essa i genitori, gli amici, la vita che sempre lo aveva caratterizzato e che da ora in poi sarà solo un lontano ricordo sfocato, sbiadito.
Aya, invece, è una diciottenne siriana che convive da fin troppo tempo con un male incurabile, un osteosarcoma per intenderci, sostanzialmente un tumore osseo maligno, localizzatole nel piede, che prevede la diffusione rapida delle metastasi fino ai polmoni. Per cercare di bloccare questa propagazione mortale, ponendo un possibile fermo definitivo alla degenerazione della sua giovane vita, i dottori avevano fortemente consigliato alla ragazza di farsi amputare l’intera gamba, così da permetterle, con un’alta probabilità di buona riuscita, l’esistenza di cui era proprietaria di diritto. Tuttavia, nonostante la paura del suo destino ormai scritto e diverso da quanto aveva auspicato anni prima, quando ancora non sapeva nulla di questa rivelazione pesantissima da digerire, la nostra protagonista si impone sulla situazione, dichiarando di voler vivere ciò che le rimane, qualsiasi sia la quantità di anni, mesi, giorni che ancora le restano, completa, come è sempre stata, e non in un corpo deformato e storpiato da quel male che la vorrebbe sconfitta, che vorrebbe gettasse la spugna e si inginocchiasse al suo cospetto ormai vinta. Aya è una ribelle e abbraccia il suo futuro incertissimo, vivendo il presente, un minuto alla volta, tra una visita e l’altra, tra un picco di dolore e quello immediatamente successivo, tra ciò che è e ciò che sarà, forse.
Cosa potrebbe mai accomunare due persone così lontane, con vite decisamente diverse e un futuro altrettanto opposto? Dopo un anno dal trasferimento in Svezia, Fadi potrebbe divorziare dalla moglie per mettere un punto fermo ai continui litigi che ormai facevano compagnia ogni giorno alla sua vita coniugale. Magari potrebbe recarsi dal cugino Basel, abitante stabile in quel di Berlino con la neo moglie e i genitori, cogliendo quell’occasione per conoscere la sua donna e vedere il video del loro matrimonio in Siria, al quale il ragazzo non ha potuto partecipare. Probabilmente, durante la visione della pellicola, il protagonista maschile di questa storia potrebbe rimanere affascinato nel vedere la sorella della sposa, la nostra Aya, e innamorarsene, chiedendole, dopo svariate conversazioni tramite il web, grazie alle quali approfondisce la conoscenza iniziata da semplici racconti dei parenti che lo ospitano in Germania, di diventare l’altra metà della sua mela in Libano. Lei potrebbe accettare e decidere di lasciare definitivamente quel paese sconvolto dalla guerra che da sempre chiamava casa per andare col marito in Svezia, dove magari essere curata con ulteriori mezzi mirati quel male che la sta divorando pian piano.
Sembra una storia a lieto fine, senza alcuna complicazione, senza alcun problema che potrebbe ribaltare la vicenda. Eppure, questo è solo l’inizio, l’incipit di una realtà vera e tangibile, l’esordio di una serie di peripezie faticose, tutte rivolte a un solo obiettivo, arraffare quella felicità tanto sognata, molto anelata, ovviamente idolatrata, ardentemente voluta, da due giovani che non vogliono altro che vivere. Vivere liberi.

Nel momento in cui la propria vita comincia davvero, ingranando finalmente la marcia tanto desiderata, rinascendo dalle ceneri, come un’araba fenice, grazie alla persona con la quale vogliamo dividere il resto della nostra esistenza da ora in poi, una realtà che ha la possibilità di porre le sue radici in un terreno decisamente fertile quale è il nostro stato attuale, avido di quella gioia negata da tempo, progettare il futuro che ci appartiene di diritto, qualsiasi sia la sua natura, che quest’ultima risulti essere rosea o di un altro colore, è una normale conseguenza dell’entusiasmo sempre più dirompente che frantuma ogni limite incontrato sulla propria strada, tutti i confini con i quali ci si è scontrati, onda che con il suo impeto travolge, maroso che nel suo abbraccio stritolante avvolge.

I piani per il domani cominciano, perciò, a farsi nitidi, non più parvenze in essere ma tangibili schegge di esistenza da afferrare e possedere, definite in ogni loro particolare, anche nei più piccoli, in continua evoluzione col ticchettare dell’orologio, minuto dopo minuto, ore che si susseguono in cascata, giorni che trascorrono pigramente e avidamente in contemporanea, attimi longevi che, al pari delle diapositive, si avvicendano davanti agli occhi rimanendo impressi nella nostra mente, cesellati finemente anche nel nostro cuore.
Dopotutto, la speranza è l’ultima a morire, ma anche la prima a essere ferita dagli eventi della vita, vicende che riescono a scalfirla, un graffio alla volta, fino, molto spesso, a distruggerla, in maniera irreparabile. Infatti, appena all’orizzonte si mostrano le prime difficoltà, problemi che sanciscono l’incipit di una escalation apparentemente senza una fine, quasi non ci si crede che siamo noi i diretti interessati di tali calamità, bufere esteriori che si rispecchiano e riflettono nei recessi della nostra anima, in profondità, all’interno del fulcro del nostro essere, epicentro di noi, epicentro di tutti, causando tempeste emotive che rischiano di minare lo spirito combattivo e l’ardente desiderio di conquista a cui ci siamo talmente abituati da esserne quasi assuefatti e impossibilitati, di conseguenza, a dimenticare. Tutto il nostro mondo, perciò, comincia la sua rovinosa caduta, discesa in picchiata che non pare prevedere superstiti, ma solo frantumi di uomo, macerie di donna, ruderi vuoti di esistenze bloccate, tranciate, amputate.

E proprio a questo punto la realtà si mostra per ciò che è, svelandoci la sua vera natura senza più risparmiarsi, smettendo, quindi, di ingannarci ancora e ancora, senza più celarsi, non nascondendosi un’altra volta all’ombra della sua prospettiva più positiva, come aveva già saggiamente provveduto a fare, illusione creata su misura per i nostri poveri occhi, forse troppo immaturi per comprendere davvero o semplicemente oltremodo speranzosi, votati al futuro memorabile descritto nell’opuscolo informativo della vita, dépliant suggestivo che mostrava il paradiso, sottintendendo, invece, l’inferno. Così, veniamo a conoscenza delle due facce di una stessa medaglia, forze uguali ed opposte, negativo e positivo che in una lotta millenaria si fronteggiano senza esclusione di colpi, togliendoci il respiro perché di fronte all’evidenza non possiamo far altro che sorprenderci. Di fronte all’evidenza rimaniamo stralunati e sbigottiti: se da una parte ci rendiamo conto dell’indifferenza dell’umanità, un’erba gramigna nata dai ricchi pregiudizi, cresciuta tra gli intensi sospetti, disinteresse alimentato ed acuito grazie a una paura rabbiosa, compagna che destabilizza e incarna un’alleata pericolosa, fuorviante nel suo atteggiamento, portandoci a essere ipocondriaci nei confronti dei nostri oggi e domani a causa di una sequenza di ieri da dimenticare, precedenti penali che danneggiano le elucubrazioni di ognuno, annullando persino la possibilità di una smentita, quel beneficio del dubbio che potrebbe cambiare le carte in tavola, dall’altro lato troviamo la generosità del prossimo, un’inaspettata misericordia che, dopo l’uragano dell’apatia più assoluta, incarna perfettamente la cosiddetta manna dal cielo, dono miracoloso a cui stentiamo di credere ma che accettiamo di buon grado, abbracciando ogni opportunità che il mondo sembra offrirci in piccole dosi, brevi quantità, certo, ma concentrate, capaci di sprigionare una potenza gigantesca, big bang improvviso e devastante che sa di speranza ritrovata, convinta ripartenza e nuova vita, scialuppa di salvataggio nel mezzo dell’oceano in tempesta, faro luminoso che fende l’oscurità e permette il ritorno anche ai naufraghi più disperati e rassegnati, mano che si tende verso di noi per afferrarci con vigore, salvandoci da una fine prematura, proteggendoci da tutto e tutti, compresi noi stessi, amandoci oltre ogni probabilità più ottimistica.

Solo in un’occasione simile, nella quale rarità e unicità sono di casa, comprendiamo quanto non dobbiamo darci per vinti. Solo in questo frangente particolare, capiamo davvero l’importanza di riprendere in mano la nostra esistenza, riportando in auge la vera essenza dell’indole che ci caratterizzava, una personalità risoluta in cui fede e speranza stavano per essere soffocate e disintegrate dalle continue fatalità, disco rotto che riproponeva le stesse tracce di sempre, nauseanti e noiosi brani il cui testo, ormai, conosciamo a memoria fin troppo bene.
Non possiamo mollare proprio ora.
Non dobbiamo mollare.
Non adesso.
Non domani.
Mai.
Come siamo entrati in questo tunnel di disperazione, prima o poi ne usciremo: non importa quando, non importa come, ma riusciremo a riemergere dall’oscurità, potendo perciò continuare la nostra vita dove l’avevamo lasciata, così, di punto in bianco, senza preavviso o alcuna preparazione strategica in merito, riportandoci finalmente nel mondo da cui siamo stati strappati improvvisamente, quel mondo che ha iniziato a farci paura e a cui ora, scettici, ci avviciniamo molto cautamente, aspettandoci un suo attacco a sorpresa, ormai abituati alla sua reticenza nell’accoglierci a braccia aperte.

Il bello, dopotutto, deve ancora venire. Continuare a credere in un futuro migliore è il passo giusto da compiere, la strada corretta da percorrere, l’esatta alternativa da scegliere dalla rosa di possibilità che il destino ci pone dinanzi agli occhi: questa è la nostra forza, perseverare nella conquista concreta dei nostri obiettivi, mete che si raggiungono con calma e costanza, entità necessarie a fronteggiare tutti gli ostacoli con lucidità, evitandoli con l’abilità coltivata e sviluppata nel nostro periodo di prigionia obbligata.
Con uno sguardo rinnovato scopriamo il velo delle dicerie, voci di corridoio che celavano le meraviglie del creato, un inedito scorcio di esistenza che affascina con le sue mere fattezze, fiume in piena che trascina grazie al suo entusiasmo contagioso, sbalordendoci con quell’apertura mentale che sapevamo esistere ma che ancora non avevamo visto in azione, un antidogmatismo a cui non vediamo l’ora di abituarci, un passo per volta, adattandoci a esso con le dovute accortezza e prudenza, l’esordio di un’inconsueta realtà da affrontare con i piedi di piombo.

Nonostante questo risveglio, è chiaro che la paura non verrà mai cancellata, il cui spettro ingombrante si è ormai sedimentato negli anfratti della nostra mente: rimarrà per sempre lì, dietro l’angolo, pronta a sferrare il suo ennesimo attacco quando meno ce l’aspettiamo, guadagnandosi un’alta percentuale di atterrarci senza possibilità di ripresa a meno che non ci costringiamo a rimanere all’erta, preparati per destreggiarci tra il timore di un ritorno alle origini e l’inquietudine di fronte a tutti quegli aspetti che esulano dalla nostra conoscenza diretta. Dopotutto, l’ignoto e il passato sono due baluardi fortificati tremendamente difficili da abbattere. Tuttavia, non è questo ciò che conta. L’importante è impegnarsi al massimo e immergersi in un’esistenza tutta da svelare, riuscendo magari ad apprezzarla, poco a poco, volendolo nel profondo perché, in fin dei conti, volere è potere. L’essenziale è vivere il presente, senza elucubrare troppo su quel che sarà, accadimenti futuri che non possiamo controllare in alcuna maniera: il domani può proporsi in ogni veste possibile e inimmaginabile, riservandoci l’inaspettato, strabiliandoci. Facciamoci trovare pronti e lasciamoci contagiare.

Con un linguaggio semplice e d’impatto, che fa intuire maggiormente l’argomento chiave del libro e le vicissitudini reali dei suoi protagonisti, Marinella Fiaschi e Maurizio Quilici regalano una telecronaca di vite, alternando il loro personale mondo con l’esistenza di Fadi e Aya, ponendo i due a confronto, incontro e scontro di tradizioni del primo e di usanze dell’altra, amalgama forse obbligato all’inizio, connubio perfetto sicuramente alla fine. I due autori, personificazioni della solidarietà e dell’accoglienza più pure, danno voce a due ragazzi che, come tanti altri loro connazionali, vengono costretti a un silenzio coatto, afonia indotta dai pregiudizi e dai sospetti dovuti al loro essere stranieri ed immigrati, considerati in qualche modo malvagi, in un altro diversi e in un altro ancora ambigui nei loro intenti, conseguenze ovvie del potere immenso (mal)celato nelle trame della generalizzazione più universale.
Storia di Aya. In fuga dalla Siria per amore non è un libro, ma è il libro, un racconto dove si nascondono alcune delle verità che, credetemi, non conosciamo davvero in toto, a parte, forse, un unico aspetto, quella fortuna che non bacia proprio tutti, un lieto fine che è concesso solo a pochi, lo stesso epilogo che Fadi e Aya hanno avuto ma di cui, magari in altre condizioni, non avrebbero potuto fruire.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Storia di Aya. In fuga dalla Siria per amore
Autori: Marinella Fiaschi e Maurizio Quilici
Casa editrice: Imprimatur
Pagine: 144
Anno di pubblicazione: 2017
Traduttore:
Genere: Narrativa contemporanea
Costo versione cartacea: 13.00 euro
Costo versione ebook: 6.99 euro
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