Ho aspettato parecchio tempo prima di iniziare a leggere Shining, forse perché ancora non era arrivato il momento giusto, forse perché mi incuteva “timore” il genere letterario a cui questo libro fa parte, visto che bene o male la storia narrata in esso è conosciuta un po’ o totalmente da tutti o forse semplicemente perché affrontare 588 pagine, sapendo di poter leggere solo di sera/notte, come una zavorra mi impediva di immergermi in questa avventura, esplorando fin nei meandri l’Overlook Hotel.
A conti fatti, adesso, quale fosse la vera ragione del blocco nei confronti di tale libro non importa più perché la verità è che dovevo leggere prima questo romanzo: il mio sbaglio, infatti, è stato proprio il mio continuo e imperterrito indugiare la sua lettura.

Jack Torrance, uno scrittore e un ex insegnante di inglese di un istituto preuniversitario del Vermont, che ha avuto problemi di alcol più di un anno fa, sta avendo un colloquio di lavoro con il signor Stuart Ullman, il direttore dell’Overlook Hotel, un albergo situato in un posto non solo magnifico ma anche parecchio isolato, dato che domina le montagne elevate del Colorado. L’incarico consiste nel diventare il guardiano invernale dell’hotel: esso infatti rimane aperto durante la stagione che va dal quindici maggio al trenta settembre. Durante il resto del tempo, l’Overlook rimane chiuso e, a causa del deprezzamento invernale, onde evitare una riduzione massiccia dei guadagni, è necessario assumere una persona con la mansione di far funzionare la caldaia, riscaldando così le varie ali dell’albergo, riparare i guasti, eseguendo eventuali riparazioni, e infine sorvegliare il posto. È sottinteso che, una volta assunto, Jack dovrà rimanere stabilmente all’albergo, insieme alla sua famiglia per tutto il tempo necessario.
Il “piccolo stronzo intrigante”, come il nostro stesso letterato lo definisce aprendo così il primo capitolo del libro, non sarebbe intenzionato ad affidare al protagonista il lavoro perché non crede sia adatto per questo incarico. Ma dopotutto, l’amico dell’ex insegnante, Albert Shockley, oltre a essere un’autorità nell’istituto dove Jack lavorava, fa parte del consiglio d’amministrazione dell’Overlook Hotel, dove vi aveva investito parecchi soldi: non volendo contrariare un uomo così potente, Ullman decide allora di venirgli incontro, assumendo il signor Torrance. Ma quale sarebbe la ragione dietro cui un uomo come Jack non andrebbe bene per questo incarico?

«[…] Nell’inverno 1970-71, quando già avevamo rimesso a nuovo l’Overlook ma non era stato ancora riaperto al pubblico, ho assunto quel… quel disgraziato di Delbert Grady. Grady si è installato negli alloggi che lei dovrà dividere con sua moglie e suo figlio. Aveva moglie e due figlie, lui. Io avevo avanzato certe riserve, tra cui l’estremo rigore del clima invernale e il fatto che i Grady sarebbero stati tagliati fuori dal mondo per almeno cinque o sei mesi. […] Le ha ammazzate, signor Torrance, e poi si è ucciso. Ha assassinato le bambine con un’accetta, la moglie con una doppietta, e altrettanto si dica per lui. Aveva una gamba rotta. Senza dubbio era così ubriaco che dev’essere rotolato per le scale.»

Jack però non sembra essere preoccupato di questa situazione: sta scrivendo una commedia e inoltre nutre la stessa passione per la lettura che caratterizza sua moglie Wendy; suo figlio Danny porterà con sé dei giochi, degli album da disegno e ovviamente la sua radio. Insomma, è sicuro che tutti e tre riusciranno sempre a tenersi impegnati, a non infastidirsi reciprocamente. Dopotutto, l’errore di Ullman è stato un altro, cioè assumere uno sciocco come Grady.

«Uno stupido […] è più incline a sparare a qualcuno durante una partita a carte o a commettere una rapina dettata dall’impulso del momento. Si annoia. Quando arriva la neve, non gli resta che la televisione, o fare un solitario e barare con se stesso, se non gli escono tutti gli assi. Non gli resta che maltrattare la moglie, prendersela con i bambini e darsi al bere. Diventa difficile dormire perché non si ode alcun rumore. Così, per dormire, beve fino a stordirsi, e si sveglia con la nausea e col mal di testa. Diventa nervoso. Magari il telefono si guasta, l’antenna della televisione crolla… Non resta altro da fare che pensare, barare al solitario e diventare sempre più nervosi. Sin che, alla fine… bum, bum, bum.»

La spiegazione del signor Torrance non fa una piega. Ne è assolutamente convinto e sembra esserlo anche il direttore dell’Overlook Hotel, che si sente quindi rincuorato dalle parole del nuovo guardiano invernale. Ma siamo davvero sicuri di questo? Avete tempo per rispondere alla domanda, ma posso anticiparvi che, certamente, Danny non lo è, lui l’unica persona contraria al trasferirsi per quel periodo in quel luogo dimenticato da Dio e spaventata al solo pensiero di questa “migrazione” temporanea verso l’ignoto, un semplice bambino di cinque anni, un tipetto strano, che possiede, in aggiunta a un’intelligenza smisurata e una capacità di apprendimento oltre la norma per la sua età, la cosiddetta “aura”, una sorta di chiaroveggenza, un potere che non lo abbandonerà mai, nel corso della narrazione. Perché è così sospettoso, però? Cosa ha “visto”? Ovviamente, ciò non gli impedisce di soddisfare la richiesta del padre e acconsentire al trasferimento nel periodo invernale all’Overlook Hotel.
Ma la domanda principale rimane in ogni caso: Jack e la sua famiglia saranno in grado di vivere in profonda solitudine per tutti quei mesi e quindi a non impazzire come successe a quel Grady? Sappiamo benissimo le risposte a questi quesiti, vista la notorietà della storia, ma nessuno vi giudicherà negativamente se decidete di leggere comunque questo libro per avere conferme rispetto i suddetti responsi.

Nel dizionario inglese-italiano, possiamo trovare “overlook” sia sotto forma di sostantivo che come verbo. Il primo significa “punto panoramico” e la cosa non ci sorprende in quanto il fantomatico hotel di Shining si trova in una posizione da cui si può ammirare l’ambiente naturale circostante in tutta la sua magnificenza. Il secondo, invece, ci potrebbe far storcere il naso: che relazione può avere “sottovalutare” o anche “ignorare” con la struttura dove i Torrance devono trascorrere in una specie di esilio forzato tutti quei mesi del rigido inverno? Quando Jack si reca in questo hotel per la prima volta, ignora completamente ciò che troverà ad accogliere lui e la sua famiglia: dopotutto è difficile credere che eventi simili possano accadere, figuriamoci. Ma, dopo aver assistito di persona a situazioni enigmatiche, al limite dell’assurdo, non farà altro che sottovalutare la loro pericolosità e le conseguenze che porteranno, catalogando tali episodi come allucinazioni e poi come principio di demenza. Ecco, quindi, spiegato anche il secondo significato del termine. “Coincidenza? Io non credo” (cit.).
La prima cosa che colpisce di questo libro è la caratterizzazione di tutti i personaggi: con uno stile “camaleontico”, Stephen King permette al lettore di conoscere i componenti di questa famiglia con un occhio di bue puntato su ognuno di loro, a mo’ di interrogatorio di terzo grado. Nonostante la narrazione sia in terza persona, l’autore riesce a farci entrare in sintonia con i pensieri di Jack, Wendy e Danny, offrendoci dapprima una semplice panoramica ma poi una descrizione via via più mirata e particolareggiata del loro flusso mentale: questo espediente ci consente di conoscere a 360 gradi tutte le paure e le speranze nutrite da questi tre personaggi, permettendoci di intuire inoltre che tutti quanti loro, in piccola o grande misura, hanno dei problemi con i quali convivono da sempre, ad esempio la gelosia e l’invidia verso l’altro, la rabbia e la vergogna per i demoni del passato, la paura nell’affrontare ciò che succede nel presente e cosa potrà succedere in un futuro prossimo. La vera bravura di King, tuttavia, è stata il trasmettere delle forti emozioni, come mai prima d’ora mi era capitato di leggere tra le righe di un romanzo: oltre alle sensazioni legate all’amarezza, alla tristezza, alla commozione di fronte a determinati eventi successi nel filone narrativo, ciò che mi ha colpita e affondata, stile battaglia navale, è stata la paura, quella vera, quella che arriva con calma e ti rimane addosso, tanto da farti bloccare la lettura e riprenderla dopo almeno una decina di minuti, quel timore che ti spinge a determinate reazioni, ad esempio a saltare dalla seduta quando senti un rumore in casa e di conseguenza a guardarti intorno cercando la fonte di quel suono, come se effettivamente attorno a te ci sia stato qualcuno, una presenza che fino a pochi istanti sembrava non esserci. La vera sorpresa, però, è stato constatare come tutto questo sia stato tradotto adottando un linguaggio semplicissimo, che variava a seconda del personaggio che la voce narrante presentava nel capitolo corrente: nessuna artificiosità, nessuna ricercatezza nelle parole usate, ma questo non ha leso affatto la narrazione, anzi forse ha aumentato la sua spettacolarità, in quanto il momento in cui si riscontra che un concetto complesso viene descritto in maniera limpida ed elementare facendola comprendere velocemente a pieno da chi legge è decisamente un evento difficile da dimenticare, uno di quelli da annotare sul calendario per ricordarsene.

Devo aggiungere altro o basta questo per elogiare Stephen King? Credo che non sia una coincidenza quel suo cognome di alto lignaggio: dopotutto, come ampiamente dimostrato, è un Re della scrittura e del maneggiare le parole a suo piacimento, coinvolgendo il lettore e tramortendolo con un’infinità di sentimenti, tra cui, e soprattutto, un panico e un’angoscia senza precedenti.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Shining
Autore: Stephen King
Casa editrice: Bompiani
Pagine: 588
Anno di pubblicazione: 2014
Traduttore: A. Dell’Orto
Genere: Giallo, Horror, Thriller
Costo versione cartacea: 13.00 euro
Costo versione ebook: