Dopo che l’assolato mese di Agosto è terminato, è giunto il momento, anche per me, di andare in vacanza, una volta conclusa, certo, la sessione universitaria di esami. Avevo proprio bisogno delle ferie, l’unico periodo di tempo che mi permette di rilassarmi davvero, scaricando la tensione accumulata nel corso delle giornate, e vivere un’avventura inedita tra nuovi posti da esplorare, persone da conoscere e culture da amare. In tutto ciò, i libri chiaramente detengono uno spazio d’onore perché, dopotutto, non sarebbe autentico relax senza di loro. E, quindi, non vi stupirete se vi dico che il Kindle mi ha fatto compagnia in questo viaggio: sarà che forse mi mancava la mia stagione preferita, l’inverno, e perciò mi sono sentita in dovere di rimediare, o sarà semplicemente che dovevo per forza dedicarmi a una lettura su richiesta facente parte di una lista infinita che mi terrà compagnia per tantissime altre settimane, ma, mentre soggiornavo in Abruzzo, la mia scelta è ricaduta su Lieve come la neve di Chiara Trabalza, un delicato romanzo che coinvolge in modo inevitabile il lettore, grazie a una trama ben architettata ed emozionante, senza però risultare in qualche maniera invadente o asfissiante, lasciando chi legge libero di vivere la storia narrata secondo il suo personale punto di vista ed esplorando i sentimenti più disparati nella loro interezza.

Camilla è una grande lavoratrice stacanovista con una vita senza orari e imprevedibile. La sua esistenza programmata nei minimi dettagli oscilla tra l’impiego di segretaria tuttofare alla casa di moda Gigli e i weekend spericolati con Ethan, il suo capo nonché fidanzato, grazie al quale vive avventure lussuose tra feste molto in a cui si ha la possibilità di partecipare solo su invito e unicamente se si possiede una nomea di tutto rispetto, mini fughe romantiche in luoghi da sogno, utopie che diventano realtà concrete da affrontare con lo slancio proprio delle sfide più rilevanti, sofisticati episodi quasi quotidiani a cui si fa ben volentieri l’abitudine, cene sfarzose ed eleganti che solo chi è più abbiente può permettersi e, ultimo ma non meno importante, sesso bollente, fuoco indomabile che la coppia riesce a sfogare con la sua sintonia profondamente evidente tra le lenzuola, la cui rinuncia potrebbe equivalere a un peccato capitale.
Questo iter vitale, come si può notare in maniera facile, non ammette alcun imprevisto, a meno che, in modo assai paradossale, non sia stato in precedenza programmato. Tuttavia, si sa, la vita non segue alcuna regola e ad essa piace portare con sé problematiche più o meno gravose che potrebbero rivoluzionare nel profondo i protagonisti delle suddette vicende, esperienze da fronteggiare e risolvere, volenti o nolenti. Ed è ciò che capita a Camilla una mattina qualunque quando sua madre, un’elegante francese sui generis di Parigi, la chiama, stranamente in ufficio, per avvisarla che Alessia, sua sorella, è morta in un incidente d’auto. Rinunciare all’ennesimo fine settimana con Ethan diventa, perciò, necessario per recarsi nella capitale d’Oltralpe e partecipare al funerale di quella parente a cui era tanto legata fino a otto anni prima ma che dopo era considerata come un’estranea, a causa del raffreddamento del rapporto fraterno che caratterizzava le ragazze.
Cosa mai sarà successo tra le due? Cosa le avrà portate ad odiarsi e perdersi di vista per sempre, senza alcuna possibilità, ora più che mai, di riconciliazione?
Il lettore lo capirà procedendo nella storia e comprenderà, inoltre, quanto un “particolare” fiore può cambiare le carte in tavola, plasmando una vita superficiale e vuota in qualcosa di più.

Con una vita come la nostra, è decisamente normale sentirsi soddisfatti e felici. D’altronde, abbiamo tutto ciò di cui una persona può aver bisogno: un ottimo impiego lavorativo che ci gratifica, nonostante tolga alla nostra esistenza la maggior parte del tempo disponibile, a volte logorandoci e imponendoci di stare sul chi vive fino a che la situazione non comincia a migliorare e a rischiararsi, a volte inorgogliendoci grazie ai successi, molto spesso ardui, ottenuti solo con la testardaggine e il profondo desiderio di vincere che ci contraddistingue e di cui ormai fare a meno è impensabile, in taluni casi facendoci anche arrabbiare, poiché, dopotutto, ogni rosa ha le sue spine ed evitarle, aggirandole, è necessario affinché non ci ritroviamo doloranti e sanguinanti, risultato unico di uno scontro diretto, una batosta da incassare che solo l’ira più funesta sa digerire e attutire, in altri permettendoci di guadagnare nuovi traguardi da aggiungere alla collezione di cui siamo gli unici estimatori e beneficiari, i soli amatori di questi trofei da lustrare e mostrare come piatto forte del nostro personale menu; una relazione amorosa che ci soddisfa e ci porta a scoprire nuovi lati di noi, inedite sfumature passionali che non credevamo di possedere tanto vanno oltre la nostra indole semplice e senza pretesa alcuna, discostandosi quindi parecchio dalla persona che siamo, un individuo che, a quanto pare, nutre appetiti insaziabili e in continuo divenire, desideroso di vivere e avventurarsi in terre inesplorate, mettendosi in gioco e affrontando ogni nuova sfida come se fosse la prima, conquistando anche in questo campo piccoli tasselli che serviranno a completare il puzzle della nostra autostima, magari pure introducendo ulteriori scenari e panorami, infinite possibilità in cui trovarsi ed esistere al meglio delle nostre capacità; e infine quella libertà necessaria ad appropriarsi di ogni offerta del destino, prendendo al volo tutte le palle al balzo che esso magistralmente orienta nella nostra direzione in modo tale da non perdere alcuna occasione che ci viene servita su un piatto d’argento, un’indipendenza atta a concederci le ampie manovre che siamo soliti adottare per scandire il tempo accordatoci, quei momenti pianificati in ogni dettaglio dall’inizio alla fine, organizzazione obbligata qualora volessimo esistere nel modo che più confà alla nostra persona, scheduler umano che predispone e regola tutto ciò che può essere predisposto e regolato.

Tuttavia, questo castello, che pare essere costruito su certezze ancestrali, è composto unicamente da carte: un alito di vento e tutto ciò che abbiamo creato, plasmandolo con accortezza e perseveranza, adattandolo alla nostra indole energica in costante movimento, si volatilizzerà in men che non si dica. E cosa mai potrebbe impersonare quest’aria così pericolosa, nonostante la sua natura la renda indispensabile ed essenziale? Un qualsiasi imprevisto può mettere in discussione il nostro intero mondo, scombinandone i piani e provocando il crollo delle leggi della nostra vita, come se sotto sotto sapessimo bene che le fondamenta del nostro essere hanno falle importanti da non sottovalutare, come se, benché non ci faccia alcun piacere modificare qualsivoglia caratteristica da sempre nostra di diritto, un’imposizione questa quasi radicale e scomoda che sottolinea quanto, col tempo, le nostre priorità siano cambiate, dimostrando che dopotutto stiamo sbagliando nella condotta, avessimo bisogno di una rinascita totale, una rifioritura che solo un completo aggiornamento di vita potrebbe portare alla luce, faro di speranza che inonda il cuore e l’anima di una cascata di colori, toni cangianti che accendono e rivitalizzano anche le esistenze più cupe e desolate.

In ginocchio di fronte all’evidenza, scopriamo, un passo per volta, che è molto facile farsi illudere dalla superficialità dell’attimo, perdendo quindi le caratteristiche degne di nota che solo uno studio approfondito potrebbe svelare nella loro interezza e completezza, aprendo, di conseguenza, un mondo simile al nostro consuetudinario ciò nondimeno discrepante, come se venissimo catapultati in una dimensione difforme con la quale essere costretti ad approcciarsi, trasformandola nella nostra nuova routine, senza avvisarci o comunque procedere con cautela, evitando di indorarci la pillola indigesta e svezzarci gradualmente al pari di una madre amorevole nel suo iniziale ufficio quotidiano: infatti, non avevamo tenuto conto della bellezza che con parsimonia poteva materializzarsi di fronte a noi in tutta la sua magnifica sontuosità attraverso questa levataccia da maestro, esemplare prova di vita da voler conseguire e superare a pieni voti, svelando ai nostri occhi la dimostrazione che lo splendore pregresso della nostra esistenza era solo un simulacro mal riprodotto della vera avvenenza, un ideale di cui forse non avevamo compreso a pieno il significato, paragonando quest’ultimo involontariamente a un’astrazione erronea con la quale ingannarsi è fin troppo facile, un tranello in cui cadere è certo destino di ognuno di noi.

A questo punto, ci si accorge che forse ci stiamo accontentando e che l’ora giunta per cambiare rotta è arrivata: anche se nel nostro profondo crediamo di essere destinati alla mediocrità peggiore, precludendoci la gioia a cui tutti dovrebbero aspirare, dobbiamo comprendere che, malgrado qualsiasi esperienza lacerante e distruttiva, emotivamente parlando, abbiamo vissuto in passato, pure noi valiamo la pena e una seconda possibilità è di nostro diritto, l’unico metodo attraverso il quale ottenere la nostra favola, un “e vissero per sempre felici e contenti” che sentiamo di possedere ancor prima di viverlo sulla pelle, coronamento di un’unione scoperta per caso e protratta per propria decisione.

Domandarsi ora se ciò che abbiamo ci appaga davvero è lecito. Chiederselo e poi affrontare un esame di coscienza interrogandosi ulteriormente su ogni singolo aspetto che fin qui ci ha accompagnato è ormai un obbligo nei confronti di noi stessi, un dovere che ci mette in discussione e sottolinea una crisi d’identità in atto ormai da tempo, da quel lontano giorno in cui la vita e il dolore arrecatoci hanno lasciato il loro zampino, ferendoci inevitabilmente, dissanguandoci del nostro bagaglio sentimentale, indurendoci il cuore e, infine, lasciandoci senza alcuna via d’uscita. Ed è la sofferenza che, ancora una volta, entra in gioco e ironizza con noi, schernendoci di ciò che siamo: la carenza di autostima, calata col passare del tempo, ci induce a provare timore nelle nuove avventure che potremmo e dovremmo vivere perché lasciarsi andare e seguire il proprio cuore, di tanto in tanto, è la direzione giusta da prendere, senza sentirsi in qualche modo in colpa o in difetto, senza provare alcun rimpianto o rimorso, “se” e “ma” che non rientrano nel quadro, dettagli da non considerare perché non facenti parte del nostro panorama personale.

L’angoscia che il passato si riproponga in veste nuova è sempre lì, dietro l’angolo, ad attenderci famelica al varco, presentando, daccapo, in maniera inedita, le difficoltà del proprio trascorso, investendoci ancora e per questo distruggendo ciò che è rimasto di noi poiché, nonostante sembri indistruttibile la corazza posta intorno al nostro animo per salvaguardare, con più probabilità di successo, i rimasugli a cui non abbiamo detto addio, parti del nostro essere non accessibili a nessuno, compresi talvolta noi stessi, a protezione dello scrigno racchiuso in loro, la debolezza, accompagnatrice di una vita, rimane sottocutanea in attesa di diventare la preda più idonea a rispondere all’annuncio di un fato ironico e senza scrupoli.

Eppure, non tutti i mali vengono per nuocere. Le esperienze negative, molto spesso, servono a crescere e maturare, rivedendo le situazione vissute e spiegandole sotto un’ottica diversa, rielaborandole e, magari, lasciandosele alle spalle. Il passo successivo, quindi, è il perdono, un atto di umanità ritrovata per cui diventiamo finalmente artefici, al pari di un buon samaritano nell’azione di compiere del bene per sé stesso, una sorta di liberazione dell’animo dalle catene di una prigionia forzata, conseguenza di antichi dissapori tanto radicati nel profondo da farci il sangue amaro, dente cariato che con intermittenza provoca scariche di dolore costanti, una ferita che all’inizio potrebbe portarci a pensare a un’impossibilità nel sanarla, cicatrice che non si forma neanche grazie al balsamo del ritmo stabile del tempo, ma che, con lo scorrere dei giorni, viene lenita da quelle scappatoie che, seppur non direttamente coinvolte con il nostro pregresso, consentono di fare ammenda, malgrado ormai sia troppo tardi per pentirsi e ritornare sui passi, sentendo quasi nel proprio cuore il desiderio spasmodico di riavvolgere il nastro e ripartire da zero, come se il tempo non fosse effettivamente esaurito, rintocchi persi nel nulla eterno.

I dissapori vengono quindi sconfitti e si disgregano di fronte a una serenità che non fatica a investirci, una bellezza che di fronte a noi prende vita nella sua autenticità, invisibile ai nostri occhi ciechi fino alla svolta rivoluzionaria di cui ci siamo trovati a vestire i panni dei protagonisti, la quiete dopo la tempesta furiosa e battente, un sorriso che segue l’ultima lacrima amara versata per purificarsi e finalmente trovare pace.
Emergono, perciò, i veri valori, pilastri che dovrebbero risultare portanti nella vita di tutti, l’amore e la famiglia, fondamenti che, al pari di stelle polari, ci guidano nel cammino impervio e ricco di fuoriprogramma propri dell’esistenza, dove, ragion per cui, si manifesta un incredibile moto di protezione nei riguardi delle persone a noi più care, i nostri adorati compagni di viaggio e di avventure estemporanee, gli unici individui che rimarranno per sempre, in un modo o nell’altro, al nostro fianco, mano nella mano, doni del cielo da preservare ad ogni costo, presenti che, intrecciati al passato, ci assicurano un futuro.

Malgrado le molteplici riflessioni che il romanzo può suscitare nel lettore, Lieve come la neve presenta alcuni punti deboli che non passano di certo inosservati a un occhio attento e ben concentrato: da una parte abbiamo una pesantezza dovuta, sicuramente, non solo al proliferare eccessivo, in alcuni punti, di similitudini, ma anche alle ripetizioni concernenti, in minoranza, parole che appartengono a uno stesso periodo e, soprattutto, a interi concetti che identificano il pensiero della protagonista, una maniera questa per rimarcare e sottolineare la caratterizzazione mentale di Camilla che, purtroppo, a lungo andare fa perdere di agilità la narrazione, quasi stufando il pubblico e costringendolo anche a credere che il personaggio principale, in qualche modo bloccato nell’approfondimento emozionale, sia un semplice abbozzo di ciò che in realtà è, dimostrando un’evidente pochezza di personalità; dall’altro lato, l’opera di Chiara Trabalza evoca un romanticismo profondo in grado di far palpitare pure i cuori più glaciali, ma risulta essere anche capace di sovraccaricare l’atmosfera, già di per sé suggestiva, rendendola così melensa da perdere il suo aspetto realistico e guadagnare una peculiarità ideale che fa svanire la sua credibilità per ottenere un’utopia esageratamente sopra le righe.
Per fortuna, come luci nell’oscurità, appaiono con intermittente frequenza paragrafi che incantano e dimostrano quanto l’autrice sia un’esperta manipolatrice di parole e, di conseguenza, incantatrice di anime come la mia, avidi forzieri che racchiudono con gelosia e salvaguardia la passione infinita per i sentimenti e l’amore in particolare.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Lieve come la neve
Autrice: Chiara Trabalza
Casa editrice: Lettere Animate
Pagine: 277
Anno di pubblicazione: 2016
Traduttore:
Genere: Romance
Costo versione cartacea: 13.00 euro
Costo versione ebook: 1.99 euro
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